A volte il termine “neomelodico” viene usato come un’etichetta nemmeno tanto sottilmente ironica e dispregiativa, con cui bollare una quantità di fenomeni musicali napoletani degli ultimi vent’anni. Canzoni a volte anche bellissime, anche apprezzate dal mainstream sempre alla ricerca di fenomeni, possibilmente provenienti dalla periferia, vengono definite neomelodiche: un enorme calderone in cui far entrare artisti molto diversi tra loro, con percorsi talvolta agli antipodi. Il termine è quasi diventato sinonimo di “canzone napoletana contemporanea”.
Per fortuna, già da tempo Franco Ricciardi si è affrancato da questa dannosa generalizzazione: forse già dai tempi della collaborazione coi 99 Posse, o più di recente, con il lavoro decisivo insieme a Peppe Lanzetta nel musical 167. Di sicuro, se ne è affrancato musicalmente, sul campo: una carriera cominciata quando era praticamente un bambino – ormai è al suo diciottesimo album – una maturità artistica costruita tra matrimoni, feste di piazza, ma anche grandi concerti in arene gremite di gente. Lo dimostra Zoom, il suo album più recente: un disco pieno di buona musica, di collaborazioni riuscite, di testi non sempre originali ma con momenti molto poetici. Soprattutto denso di ricchezza melodica, che di “neo” ha veramente poco, ma che anzi attinge alla più antica tradizione classica napoletana. Un bel lavoro, uscito con la sua stessa etichetta, Cuorenero Project, che fa sperare bene in quanto a capacità produttive e ad abilità di scovare talenti che si distinguano nel panorama napoletano. Purtroppo manca, alla musica della nostra città, una eco nazionale che pure meriterebbe a pieno titolo.
Colpisce in maniera particolare la capacità che Franco Ricciardi ha di spaziare in generi musicali distanti tra loro, mantenendo una coerenza artistica in tutto il disco, con pochissime scollature e qualche sporadico momento in cui viene a mancare l’ispirazione. C’è molto hip hop: il disco risente della collaborazione dei Co- Sang, e si sente l’eco del duo anche al di là dei due brani, Stand-by e Malammore, a cui hanno collaborato, e che sono i più riusciti dell’intero disco.
L’influenza hip hop è evidente nel modo in cui è assemblato il lavoro, molto editato in studio, con basi elettroniche e samples. Ma ci sono brani suonati, e anche bene, che nello stile richiamano certo pop-rock italiano di qualità: la bella Fragile, Bandita, Miezz a via – forse tra tutte quella più tradizionale – e A storia e Maria. In questi brani, a corredare la bellezza delle canzoni, ci sono arrangiamenti molto riusciti e ricchi di spunti interessanti.
I momenti meno riusciti dell’album, che a quanto pare sono anche quelli che più infiammano i live, sono quelli che strizzano l’occhio a un certo genere di dance music grossolano e datato, nei suoni come nei ritmi. A bilanciare questa tendenza, tuttavia, alcune venature di world music – nella già citata Bandita una fisarmonica dagli echi gitani fa veramente la differenza – che irrompono prepotentemente nel brano Te la canterò, in duetto con il rapper senegalese Thieuf. Per dirla con le parole di Franco Ricciardi: “La periferia, le sue contraddizioni, la sua universalità piena di contrasti, di eccessi e di esagerazioni sarà ancora una volta il propulsore delle mie nuove canzoni”. Se questo è l’intento programmatico, Te la canterò ne è l’espressione più diretta: la periferia come categoria, non solo Scampia o Secondigliano da cui proviene Franco Ricciardi. Tutte le periferie del mondo, in cui la cultura della strada si fa linguaggio musicale universale, in cui non esiste più nessuna barriera di genere. (ciro riccardi)
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