L’esproprio delle terre, dei mari e delle città da parte del capitale non è solo un racconto che appartiene ai libri di storia, ma un processo ancora in atto in ogni angolo del pianeta. Nei giorni scorsi la vocera María de Jesús Patricio Martínez “Marichuy” del CNI (Consiglio Nazionale Indigeno del Messico) è stata a Roma, insieme alle delegazioni di zapatisti e zapatiste che hanno invaso consensualmente l’Europa, per far conoscere le lotte, le forme di resistenza e di organizzazione che vengono portate avanti in quella parte di mondo contro gli attacchi speculativi dei grandi fondi finanziari. Abbiamo avuto modo di incontrare e conoscere Marichuy il 30 ottobre scorso a Fiumicino durante un incontro con il collettivo “No porto” che si batte contro la realizzazione di un grande porto croceristico nell’area del Vecchio Faro alla foce del Tevere.
Lo scambio tra queste due realtà è stata un’occasione per affrontare alcuni punti importanti, ovvero come viene organizzata e legittimata l’estrazione di ricchezza dalle risorse naturali e dai territori per convertirla in valore monetario, e come potersi organizzare per combattere questi grandi interessi e costruire coalizioni con le popolazioni locali.
In molte zone d’Italia, così come in moltissime parti del mondo, vengono imposte grandi opere senza il consenso degli abitanti. La costruzione di centrali idroelettriche, dighe, gasdotti, treni ad alta velocità, porti crocieristici e altre opere impattanti per la salute e il territorio sono realizzate per alimentare il sistema capitalistico che ha necessità di approvvigionarsi di risorse, far circolare le merci e produrre altro capitale. Gli zapatisti e le zapatiste raffigurano questo attacco come un’idra, un mostro a forma di serpente che ha tante teste che si diramano in mille angoli del mondo. Spesso la narrazione che legittima queste opere e divide la popolazione mette al centro lo sviluppo e il lavoro. Ma l’illusione del progresso nasconde spesso devastazioni e saccheggi delle aree più vulnerabili. Dietro la promessa di occupazione si cela lavoro sfruttato e sottopagato, che viene delocalizzato altrove non appena le condizioni non sono più favorevoli alle grandi imprese, lasciando dietro di sé licenziamenti di massa, disoccupazione e povertà. Queste false promesse tendono a dividere le comunità. Una questione sottolineata dal collettivo No porto riguarda proprio questo aspetto. Fiumicino è una periferia vicino a una grande città come Roma. «Come molte periferie del mondo – ha affermato un’attivista del collettivo – ci sentiamo una terra di sacrificio, uno spazio sacrificabile che deve essere asservito affinché tutto il sistema città possa sopravvivere. Vorremmo provare a uccidere questo tentacolo insieme ad altre realtà, ma a volte è difficile spiegare alla collettività che sarà impattata dalla costruzione di questa grande opera, perché uno degli argomenti per convincere è il ricatto occupazionale».
Spesso le imprese sono più abili e trovano la forma migliore per presentarsi come fonte di progresso e occasione di ricchezza per tutti, perché è più facile ingannare che reprimere; questo tuttavia non fa altro che generare una contrapposizione tra i cittadini che dicono di “sì” e accettano queste offerte e chi invece esprime il proprio dissenso. Marichuy ha ribadito che il compito di chi resiste è capire come sensibilizzare le collettività, senza la foga di avere risposte immediate, perché «dobbiamo tenere conto che il capitale ha modificato il modo di pensare delle persone, arrivando al paradosso che ci sono lavoratori che difendono la propria condizione di sfruttamento. Bisogna mostrare cosa succede con i mega progetti, come modificano i modi di vita […]. Il capitale ha tutti gli strumenti per perseguire il suo obiettivo, ha molto denaro, possiede i mezzi di comunicazione e ha tutto a suo favore. E questo può togliere fiducia».
Ci si chiede allora come si può comunicare e spiegare a più persone possibili che l’attacco dell’idra capitalista ha pesanti ripercussioni sulle nostre vite e sul mondo in cui viviamo perché attacca contemporaneamente vari ambiti dell’esistenza umana: i grandi fondi e la rendita immobiliare che abbattono il diritto alla casa, la privatizzazione del welfare che smantella gradualmente servizi pubblici essenziali, la ricerca di profitto da parte di imprese e multinazionali che alimenta lavoro sfruttato e sottopagato, l’attacco alle foreste, ai mari, ai laghi, ai fiumi, ai territori per estrarre risorse e servizi che vengono trasformati in ricavi monetari. L’obiettivo delle popolazioni che combattono in tutti gli angoli del mondo contro questi attacchi è non perdere di vista il nemico comune. Bisogna condividere i metodi di contrattacco alle grandi élite e ai fondi finanziari che, in alleanza con i governi, provano a dividere e disarticolare le lotte. Gli sgomberi degli abitanti, l’installazione dei cantieri, la realizzazione di mega progetti – spesso realizzati con la commistione di mafie e gruppi criminali – rendono visibili e chiare le alleanze di potere. Non bisogna accettare che venga accontentata qualche richiesta individuale, ma pretendere che vengano rispettati i diritti collettivi e il benessere di tutti gli abitanti. Come Ercole si fece aiutare da Iolao, nelle leggendarie dodici fatiche, anche i gruppi e le comunità che resistono devono avere chiaro che ciascuno può contribuire a recidere uno dei tanti tentacoli dell’idra capitalista. (chiara davoli)
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