Il 20 maggio è morto a Roma Nanni Balestrini. Scrittore, poeta, animatore di riviste, ha saputo tradurre in versi e percorsi letterari tanto i contesti di formazione e radicamento quanto le istanze espresse da uno dei gruppi della sinistra extraparlamentare più discussi della storia recente del paese. Nato a Milano nel 1935, nella sua attività intellettuale organica all’area di Potere Operaio e dell’Autonomia, ha costantemente espresso una sensibilità e attenzione al Mezzogiorno e alle sue complesse dinamiche politico-sociali. Nel 1971 pubblica per Feltrinelli il romanzo Vogliamo Tutto nel quale un giovane operaio campano Alfonso, a cavallo dell’autunno caldo del 1969, attraversa i diversi stadi della condizione operaia dalla crisi del fordismo alla ristrutturazione capitalista nella penisola. Assunto in una fabbrica del salernitano aperta grazie alle sovvenzioni per lo sviluppo industriale della Cassa del Mezzogiorno, viene mandato al nord per un apprendistato. Qui dopo varie vicissitudini arriva a Torino e alla Fiat. Scopre la catena di montaggio e lo sfruttamento dell’operaio-massa, si scontra con il riformismo sindacale e sviluppa una personale idea di liberazione ed emancipazione molto simile al rifiuto del lavoro salariato che, proprio in quegli anni, inizia a essere teorizzato dall’Autonomia. Alfonso è stata la figura letteraria dell’operaio sociale, l’interprete d’avanguardia del “proletariato giovanile” che negli anni successivi sarà al centro del movimento di contestazione politico, sociale e generazionale.
La rabbia, rarefatta ma permanente, che emerge in Vogliamo Tutto è l’effetto di un’esperienza esistenziale di sradicamento, reazione all’alienazione e allo sfruttamento che accumunava le migliaia di giovani meridionali emigrati nel triangolo industriale (e a Torino in particolare) descritti da Goffredo Fofi nel suo Emigrazione meridionale a Torino, pubblicato sempre da Feltrinelli nel 1964. Balestrini è stato tra i primi a riconoscere e raccontare il peso che la grande migrazione operaia dal meridione, con i suoi corollari culturali e i travasi di pratiche sociali, manifestò nella modernizzazione della classe operaia e dell’intera società italiana.
Come il romanzo del 1971 fu capace di anticipare questioni, contraddizioni, pratiche e protagonisti che segneranno la storia del decennio successivo, al principio del nuovo millennio Balestrini riportò al sud la sua scrittura renitente alla punteggiatura. In un momento insospettabile scelse di raccontare un contesto periferico, marginale, subalterno che diventerà poi celebre come una delle cornici di Gomorra. Nel 2004 Einaudi pubblica Sandokan. Storia di camorra. È di nuovo lo sguardo di un giovane meridionale a raccontare. Un giovane di Casal di Principe che assiste all’ascesa malavitosa di un gruppo di suoi coetanei che, da soldati del boss della Nuova Famiglia Bardellino (antagonista alla NCO di Cutolo), danno vita al clan dei casalesi.
È Balestrini il primo a raccontare la violenza della camorra rurale del casertano. La sua scrittura indisciplinata e selvaggia tratteggia il contesto (individuale e collettivo) di un fenomeno criminale che sarà, di lì a breve, al centro dell’attenzione nazionale. L’uscita del libro non provocò reazioni scomposte. Al contrario Francesco Schiavone Sandokan, il boss del clan, chiese in sede giudiziaria il sequestro e il ritiro di tutte le copie. Il testo, pubblicato mentre i processi in cui era imputato per associazione camorristica, detenzione di armi e omicidio erano ancora in corso, avrebbe potuto condizionare a suo sfavore il libero convincimento dei giudici. Il tribunale di Torino respinse la richiesta, tuttavia la vicenda dei casalesi restò sommersa fino all’esplosione del fenomeno Gomorra. Il Sandokan di Balestrini è stata una narrazione inattuale, un libro che, al contrario di altri, prova ad affrontare le radici e la genealogia di un fenomeno. Non costruisce né certezze né simboli ma si interroga sull’origine di un dominio, e sulle forme di resistenza. Perché il protagonista non è un malavitoso, ma uno dei pochi giovani che – in tempi non sospetti – ha scelto un’altra vita, ha resistito all’autoritarismo camorrista.
Balestrini ha raccontato un meridione inusuale, conflittuale, lontano dalla vulgata fatalista e subalterna. La sua scrittura orale è una risorsa per chiunque scelga di fare i conti con quelle che Carlo Ginzburg ha chiamato le “complicazioni della vita”. (marcello anselmo)
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