Oggi è il giorno dell’impresa, devo calarmi nel fosso per recuperare i dischi e farli tornare volanti. Abbigliamento sportivo, ventolin come doping e nello zaino due frisbee nuovi. Magari risolvo tutto con una magia, mi dico. Mentre pedalo supero il buco di cemento e sterpaglia di Porta Vittoria, fallimento immobiliare con un debito di quattrocento milioni di euro del palazzinaro Danilo Coppola, dopo San Vittore ai domiciliari per bancarotta. Dopo, le palazzine liberty di viale Molise, in gran parte dismesse, fatta eccezione per gli spazi occupati da ATS – Agenzia Tutela Salute, Temporiuso.net e Macao, il collettivo artistico che in questi giorni sta proponendo al comune un percorso per comprare l’edificio dell’ex macello attraverso una forma di azionariato popolare, sottraendolo dal mercato immobiliare per renderlo un bene della città. Supero la 90, l’autobus che ai milanesi fa una smorfia di paura, leggo le scritte sui muri, “W Eddie Murphy” mi entra nella testa, svolto a destra in via degli Etruschi, con il sole in faccia, sono arrivata.
È andata così: la ringhiera da scavalcare è troppo alta e io troppo corta. Facciamo finta che mi allungo di un metro, con le gambe lunghissime salto l’ostacolo, mi si allungano anche le braccia, arrivano fino in fondo, è facilissimo, li ho presi. Realtà e immaginazione sono la stessa cosa.
Scendo le scale, entro nell’aula ma loro non ci sono. Vado a citofonarli a casa, si affaccia la mamma dal balcone, non ci sono, non me lo sa spiegare perché, si scusa. Io ci resto male, è l’ultima lezione, la scuola sta finendo ma non me ne vado, resto un po’ lì ad aspettare, magari arrivano, è già successo. Aspetto e intanto ripasso: l’alfabetizzazione creativa di Paulo Freire che educava gli analfabeti del nordeste brasiliano attraverso il mondo e non attraverso di sé, perché “nessuno disvela il mondo agli altri”; l’elogio dell’evasione scolastica senza punti esclamativi di Salvatore Pirozzi che chiede al mondo nuovo esploratori, non giudici che già sanno tutto; l’arte della conversazione di Carla Melazzini, statt’ zitt’ se vuoi imparare la durezza del dialogo vero; l’educazione popolare come pratica politica, la scuola come vita sociale di Piero Gobetti, la bambina che in Vito e gli altri di Antonio Capuano recita l’alfabeto con un filo di voce bloccandosi sempre dopo la i. «Daccapo!», le urla la maestra senza prestarle mai la sua L.
E mentre m’abbruciano ‘e cervella, arrivano. Di corsa, con i capelli bagnati, senza libri e con un unicorno sulla maglietta. Io ritorno felice, dimentico tutto a memoria e sono pronta a essere per loro un esempio di curiosità.
«Mi sono migliorato», mi dice subito, «ho preso dieci in matematica e nove in italiano». Raccontami qualcosa, gli chiedo, e mi dice che c’è stata la festa della scuola, ha fatto il calcio, ha bevuto la coca cola e ha cantato scioscialosa. Anche questa parola mi entra nella testa. Che significa? Non lo sappiamo, è una canzone africana, me la canta, a bassa voce: scioscialosa scioscialosa cule zontaba stimela sipume so d’africa uenuia ya baleka. Allora andiamo a vedere la cartina dell’Africa appesa alle pareti. «L’Egitto dove sta?», gli chiedo con la mia fissazione per la geografia. E punta il dito a sud, parte sempre da sud la sua esplorazione, si perde nello Zimbabwe, gira attorno al Chad, scaccia una zanzara e poi lo trova, in alto a destra.
Gli leggo una favola di Gianni Rodari, Il naso che scappa, ancora parole vecchie che per lui sono nuove: battello, pontile, fuggitivo, domestica, naufragio. Lui ne conquista due, le fa rinascere dalle ceneri: “affare” è quando qualcuno cade dal balcone, qualcuno lo vede e lo va ad aiutare. “Marinaio” è un persona che vive in acqua, una sirenetta. Le parole che mi dice, noi le dobbiamo ancora inventare.
«Adesso però ci divertiamo?». E io che pensavo si stesse già divertendo. Ora possiamo giocare. Elab. Nell’armadietto ci sono due tombole, monopoli, scacchi, shangai, un puzzle con Cenerentola a cui mancano i pezzi con la scarpetta e il gioco di Melrose Place, “dal famoso serial televisivo un appassionante gioco” c’è scritto sulla scatola. Gli propongo shangai, quello meno capitalista. «Maestra guardami però», mi dice appena mi distraggo a prendere appunti sul quaderno. Lo guardo mentre prova a sfilare il bastoncino dell’imperatore, quello più importante, vuole solo quello dopo aver scoperto che è speciale. Poi usciamo fuori e io faccio la magia di far uscire due frisbee nuovi dallo zaino, ce li lanciamo, loro bassi, io storti, li facciamo volare in infiniti giri e poi atterrare, si sente il rumore della plastica e tutti i battiti del mio cuore. (giusy palumbo)
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