foto di Giuseppe Riccardi
Il 22 e 23 luglio si sono incontrati a Napoli i ministri dell’ambiente delle diciannove economie più grandi al mondo più l’Unione Europea. È il G20 per il clima, l’ambiente e l’energia, un forum multilaterale di cooperazione economica i cui membri rappresentano più dell’ottanta per cento del PIL globale, il settantacinque per cento del commercio e il sessanta per cento della popolazione del pianeta.
Proprio mentre gli eventi meteorologici estremi si moltiplicano e cambiamenti irreversibili minacciano il collasso di interi ecosistemi – conseguenza diretta di un’accelerazione degli effetti del riscaldamento globale e della distruzione della biodiversità – il G20 dei ministri dell’ambiente è chiamato a definire un approccio condiviso dei maggiori emettitori di gas serra verso la cosiddetta transizione ecologica, necessaria per limitare un innalzamento della temperatura oltre 1,5C, come da accordi di Parigi. Nell’anno della COP26 di Glasgow del prossimo novembre, quando saranno riviste al rialzo le ambizioni dei contributi nazionali alle riduzioni, il summit di Napoli è indicativo degli esiti e delle controversie che emergeranno dalla COP autunnale.
I due temi principali sul tavolo dei negoziati riguardano la questione della finanza climatica e la discussione sui contributi nazionali alle riduzioni di emissioni. I paesi ricchi si sono impegnati nel 2015 a mobilitare risorse economiche per la mitigazione e l’adattamento dei paesi più impoveriti e più esposti alla crisi climatica, riconoscendo il principio secondo cui i paesi storicamente responsabili per il riscaldamento globale devono impegnare più risorse e fornire più supporto al resto del mondo. Finora l’obiettivo di assicurare almeno cento miliardi di dollari all’anno di aiuti è stato mancato, generando l’ira dei paesi più vulnerabili e minacce di sabotare la COP. Allo stesso tempo, le attuali traiettorie di emissioni dei paesi ricchi anticipano un riscaldamento planetario di 3C entro la fine del secolo, mentre i piani di ripresa economica post-pandemia, a dispetto dei proclami, avranno un impatto molto limitato sul percorso di decarbonizzazione. Qualunque sia il contenuto del comunicato che risulterà dal G20 di Napoli, la realtà del continuo supporto degli stati all’espansione dei combustibili fossili e l’insufficienza delle ambizioni e delle politiche climatiche, insieme alla marginalizzazione dei temi sociali e delle richieste di redistribuzione della ricchezza, rendono evidente la necessità di una risposta sociale all’altezza della congiuntura, per invertire la rotta e perseguire la giustizia climatica.
Per questi e altri motivi, la passerella internazionale dei ministri è stata accolta a Napoli da una rete di movimenti, sindacati e associazioni della società civile con lo scopo di demistificare il supposto consenso intorno agli organismi di negoziazione climatica degli stati e imporre all’attenzione la necessità di azioni sostanziali ed efficaci per il clima e la società, a cominciare dalle questioni ambientali ancora aperte in Campania. Un “contro-forum” è stato organizzato il 21 luglio all’università Federico II dalla coalizione Bees against G20, con interventi da remoto di esponenti della giustizia climatica globale – come Vandana Shiva, Ashley Dawson e Sonja Guajajara – e la presenza di rappresentanti dei movimenti territoriali italiani. Il 22 luglio, dal primo mattino, una serie di azioni e blocchi coordinati al terminal container del porto di Napoli, all’Autorità Portuale e alla raffineria Q8 di San Giovanni a Teduccio, hanno intrecciato le istanze locali su lavoro, salubrità e democrazia, alla denuncia delle contraddizioni delle politiche sul clima. L’alleanza di sindacati di base, movimenti ambientalisti e climatici, associazioni giovanili, centri sociali e comitati di residenti, traccia i contorni delle coalizioni emergenti di cui si sente il bisogno. La giornata si è conclusa con il corteo dell’eco-social parade, in cui un migliaio di persone hanno sfilato per le strade della città ricordando le questioni aperte: il pianificato deposito di gas fossile a Napoli Est, l’inquinamento e i rischi sanitari nella piana campana, le fragilità del territorio napoletano ai fenomeni atmosferici estremi e l’orizzonte della fine dei combustibili fossili intorno al quale si giocano le possibilità di futuro per le generazioni attuali e future. (salvatore de rosa)
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