Il decreto Gelmini sull’università è legge, approvato definitivamente con il voto di oggi al Senato. Una decisione che è stata preceduta da mesi di proteste degli studenti universitari e medi e che verrà seguita, assicurano gli stessi, da nuove contestazioni. Dopo essere riusciti, più che negli anni precedenti, a legare la contestazione della riforma universitaria all’esasperazione che unisce diversi settori della società colpiti dalla stessa crisi economica e democratica – lavoratori precari, terremotati, immigrati, comitati antidiscarica, anti Tav e pro acqua pubblica – gli studenti chiedono adesso ai sindacati di promuovere uno sciopero generale per i primi di gennaio. Per cercare di dimostrare una volta per tutte che non si tratta solo di contrastare i tagli o i criteri di valutazione nelle università e nelle scuole, ma di dare nuova legittimazione a un movimento trasversale che sta portando studenti e lavoratori in piazza in Italia e in altre parti d’Europa. E che molti ormai interpretano come sintomo di una crisi “sistemica” di cui l’istruzione è solo una componente.
Proprio con questo spirito, questo pomeriggio, duecento studenti si sono recati al museo archeologico, per unire la propria protesta a quella messa in atto già da qualche giorno dagli operatori sociali e per chiedere “la fruizione e l’accesso pubblico ai luoghi della cultura”. La manifestazione prevedeva una visita guidata gratuita del museo, ma il cordone di agenti di polizia ha ritenuto di dover impedire l’iniziativa, caricando gli studenti. Una scena simile a quella vista qualche settimana fa all’interno del teatro San Carlo, tanto che l’accostamento simbolico (ma nanche tanto) proposto dagli studenti tra protesta e luoghi di cultura, rischia di diventare sempre di più un inedito accostamento tra manganelli e quadri, caschi e statue.
Eppure durante i cortei degli ultimi giorni, in una città assediata dagli acquisti natalizi, migliaia di studenti avevano sfilato in maniera pacifica, proprio mentre la legge era pronta per essere approvata. Nessuno scontro, data la natura del corteo e le decisioni prese dagli studenti nelle assemblee, ma anche grazie a un inatteso basso profilo adottato della questura napoletana, che ha invece improvvisamente cambiato direzione durante la protesta di questo pomeriggio. Al corteo di ieri, però, erano presenti tutti: davanti gli studenti universitari, dietro i medi, i Cobas, gruppi di lavoratori precari e di genitori, in fondo i disoccupati del progetto Bros. «Altro che ignoranti, conosciamo tutti i dettagli del ddl Gelmini, e siamo qui per dimostrare che non vogliamo solo lo scontro in piazza ma siamo ben consapevoli di quello che chiediamo», spiegava un ragazzo del liceo classico Vittorio Emanuele. Uno striscione degli universitari recitava invece “il casco salva la vita”, in risposta alle raccomandazioni pacifiste prodigate da intellettuali e scrittori dopo gli scontri di Roma. Dopo un lungo peregrinare tra il centro, il molo Beverello e il varco Pisacane, il corteo si era infine concluso con l’occupazione dei binari della stazione centrale, senza alcuno scontro con la polizia che aveva fatto capolino sui binari per poi indietreggiare inaspettatamente.
Insomma, il Natale è arrivato, ma gli eventi di oggi – dopo il museo gli studenti hanno occupato il cortile di Palazzo reale, riunendosi in assemblea – sembrano aver dimostrato che forse, nonostante il movimento debba forse ancora guadagnare compattezza e capacità di proposta a lungo termine, la protesta sta allargando le proprie vedute. Lunedì all’Orientale un’assemblea aveva ricordato, grazie a un semplice collegamento via skype con studenti a Londra, Nanterre e Bari, oltre a interventi in assemblea dalla Grecia e dalla Spagna, come molte delle istanze che muovono gli studenti italiani siano assolutamente internazionali. «I presupposti della protesta sono diversi – diceva la prof. Tiziana Terranova – ma la crisi è internazionale perchè è strutturale, anche se i governi pretendono di fare finta di niente».
Da Londra Kirsten, dottoranda del Goldsmiths College, ripercorreva la rapida evoluzione di una protesta che è diventata strabordante e che vede protagonisti soprattutto i giovanissimi studenti medi dei quartieri periferici, che aprono i cortei al ritmo di dubstep. Persino Aaron Porter, il presidente dell’Unione degli studenti britannici, dopo avere inizialmente condannato le proteste si è trovato costretto ad ammettere pubblicamente che l’Unione avrebbe dovuto spalleggiare più fermamente le mobilitazioni. Uno studente greco, ancora, ha raccontato della profonda crisi che il suo paese si è trovato ad affrontare: «Il governo ha servito per anni gli interessi delle multinazionali, contraendo debiti di bilioni di euro da pagare nei prossimi trent’anni. Vogliamo sapere: che fine hanno fatto questi soldi? E come pensano che possano sopravvivere i giovani e le famiglie con redditi ridotti al minimo, quando sono note a tutti le truffe dei parlamentari, protetti da immunità?». Anche in Francia, come ha spiegato Jean Baptiste in collegamento telefonico, la più grande mobilitazione degli studenti degli ultimi vent’anni nasce dalla contestazione delle politiche sociali del governo Sarkozy, in particolare della riforma delle pensioni. Da Bari arriva infine una domanda rivolta a tutti i partecipanti in ascolto, e in particolare ai ragazzi inglesi: «Quali sono gli obiettivi condivisi su cui possiamo costruire un percorso coordinato? Dobbiamo dimostrare che non solo non pagheremo la crisi creata dai nostri governi, ma che possiamo essere anche l’alternativa». La risposta ancora non c’è, e sarà quello su cui concentrarsi nei prossimi mesi. Intanto, buon Natale? (viola sarnelli)
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