È domenica sera, e la situazione dovrebbe essere un po’ più tranquilla, alla rotonda Panoramica. Si discute (sotto le tende, davanti lo striscione Welcome to the rubbish national park, tra i fuochi accesi per riscaldarsi) soprattutto della “proposta Bertolaso”, quella che la signora Angela definisce «una buffonata degna di Pulcinella». Riepilogando, il capo della protezione civile propone: per tre giorni niente rifiuti a cava Sari, che verrà bonificata, mentre la situazione di cava Vitiello resta “congelata”. In cambio ha chiesto agli abitanti di Terzigno, Boscoreale, Boscotrecase, di sgomberare il presidio, subito. La proposta sembra non essere stata accettata, dal momento che in piazza anche quest’oggi la gente è venuta eccome. Tante persone come gli altri giorni, anche se non hanno compattatori da bloccare, nella loro quotidiana salita verso la cava.
Antonio ha un’età non definibile tra i venti e i trent’anni. È di Terzigno, ma studia sociologia alla Federico II di Napoli. Sembra avere una certa autorevolezza nel parlare, le persone lo ascoltano, la sua posizione è quella della maggioranza dei presenti: «Non ci interessano accordi con chi ha sempre promesso e mai mantenuto. Se vogliono che ce ne andiamo, devono darci due cose: iniziare la bonifica non solo di cava Sari, ma anche delle terre circostanti, che ora sono assolutamente non coltivabili. Poi presentare un documento che garantisca che cava Vitiello non verrà aperta».
Stasera dovrebbe essere una serata tranquilla, si diceva: il fatto che non ci siano camion da scortare, da un certo punto di vista, diminuisce le probabilità dello scontro con le forze dell’ordine. Eppure, dalle facce delle persone si direbbe tutt’altro. Ci viene mostrato un lacrimogeno di tipo “AL CS” – che non potrebbe essere usato – a cui, prima di essere sparato, pare sia stato predisposto un accorgimento: una piccola striscia di nastro adesivo rosso, per evitare – mostrano i ragazzi – che il lacrimogeno si apra, per dividersi in quattro parti. Se invece rimane compatto, l’effetto è lo stesso, perché il gas ha comunque la possibilità di fuoriuscire, mentre il metallo sparato diventa quasi un proiettile vagante, pesante e pericolosissimo, nel caso dovesse centrare qualcuno.
Proprio davanti agli uomini in assetto antisommossa, intanto, va in scena il solito show di Bruno, un signore del luogo, che ogni giorno regala una decina di minuti di cabaret di ottimo livello, tutto in dialetto: «Bertolaso mi ha telefonato. Mi ha detto: “Chi te lo fa fare Bruno? Ogni sera a prender botte, a correre di qua, a scappare di là?”. Io gli ho risposto: “Bertolà, sto facenn’ ‘a palestra!”».
Lo spettacolo di Bruno riconforta un po’ gli animi, le persone ridono di gusto per il suo muoversi e parlare così strano. Quando le luci della piazza vengono spente, però, (e non si capisce nemmeno se a farlo sia la polizia o i più duri tra i manifestanti) alcuni cominciano ad allontanarsi preoccupati, mentre altri si coprono il volto pronti al solito scontro serale. La dinamica, infatti, è questa: alla fine dell’ultima diretta televisiva, le luci vengono spente, quasi come una sorta di invito ai manifestanti ad allontanarsi. Al buio la tensione sale, fino ad arrivare alla carica della polizia, o a un lancio di oggetti da parte dei manifestanti. Dopo, il corpo a corpo per le strade, i lacrimogeni, le pietre, e così via fino a mattino.
Solo che quella di stasera dovrebbe essere una serata tranquilla. Una mamma ha fatto appena in tempo a riportare suo figlio (tra i tredici e i quindici anni) in casa, dopo averlo visto sgattaiolare alla rotonda con un passamontagna, e radunarsi con gli amici in attesa dei fuochi di artificio. Dopo circa dieci minuti le luci vengono riaccese. Altri poliziotti, carabinieri, persino finanzieri, si sono aggiunti a quelli già presenti per dagli il cambio, ma nel frattempo bloccano tre strade su quattro di accesso alla rotonda. I manifestanti che rimangono, una cinquantina, si sentono circondati, e temendo il peggio si rintanano all’interno dell’ultima strada rimasta libera, chiudendo l’accesso ai blindati della polizia con i resti delle auto andate a fuoco nei giorni precedenti. Una volta chiusi tutti gli accessi, a volto coperto, si radunano in una piccola piazzetta, dove all’improvviso sbucano quattro auto della polizia, in borghese, a tutta velocità. Qualche pietra, e nemmeno il tempo dei soliti fuochi d’artificio, che da una Punto blu parte uno sparo. Le persone rimaste (una trentina, tra quelli in cerca dello scontro, e quelli più tranquilli che si erano allontanati dalla rotonda) scappano. Forse gli spari sono due. Le auto della polizia continuano la loro corsa per disperdere quelli che restano, e scoraggiarli dal continuare. In effetti ci riescono: molti di loro sono giovanissimi, non hanno mai sentito uno sparo in vita loro, e allora chi si nasconde nei campi, chi scappa verso il paese, chi entra in qualche palazzo lasciato aperto. Quel rumore ha fatto paura, non succede più nulla, e in un modo o nell’altro il campo è stato sgomberato. Una serata tranquilla, insomma. Come previsto. (riccardo rosa)
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