Domenica pomeriggio me ne sono andata al Nostos Teatro di Aversa. Sì, ad Aversa c’è un teatro. Veramente un tempo ce n’era un altro che era bello assai, il Cimarosa, che da parecchi anni, per via della crisi, è diventato un cineclub di prime visioni; d’illustre ha conservato la meravigliosa facciata stile liberty che risale ai tempi in cui a teatro ci andavano in massa per conoscersi, divertirsi e papariarsi coi vestiti nuovi. Al Nostos invece si sono ingegnati contro la crisi del teatro italiano semplicemente aprendone uno, che mi sembra anche il modo migliore di far fronte a una crisi. Se ci metti poi in cartellone tanti spettacoli belli puoi fare finta che la crisi non esista proprio, che sia solo un’invenzione di disfattisti, debosciati e pseudointellettuali sbobbén.
Devo dire che non è stato semplice arrivare ad Aversa. Non che ci voglia assai, da Secondigliano con l’asse mediano sono quindici minuti ma da percorrere praticamente al buio, e se invece scegli di fartela “per dentro”, via Melito/Giugliano, se piove come quella sera, meglio fittare un gozzetto, tanto larghe e profonde sono le pozze d’acqua, però il posto è così accogliente da ripagarti la traversata. La luce calda all’ingresso, il buonumore dei ragazzi al bar, le maschere della commedia dell’arte sugli scaffali ti scaldano il cuore e ti confermano di essere giunto in un posto nato per amore.
Io stavo un poco nervosa, e quando sto così mi scoccio di andare a teatro perché va a finire che parto già contrariata e non me la godo, vedo solo i difetti e giudico con parzialità, ma l’occasione stasera era più unica che rara visto che Il Teatro nel Baule, così si chiama la compagnia, in due serate ha fatto il pienone, che se non prenotavo in anticipo col cacchio che riuscivo a entrare! Altre date a breve non ce ne stavano e così eccomi qua, intossicata e buona.
Il teatro è piccolino ma delizioso, ci fanno entrare dieci alla volta, il capa di leone che ci fa da maschera sembra più un parcheggiatore abusivo – «Alt, voi due là sopra, più a destra, più a sinistra. Stop» – ma in breve tempo ci organizza tutti a sedere, caldi e vicini, coi cappotti sotto le panche «che tanto non cadono giù». Noto nel pubblico molte facce conosciute, attori, registi, molti giovani… forse aspiranti teatranti, parlano di copioni, di scritture, sembrano felici. Ci sta pure del pubblico vero, gli affezionati, quelli che hanno visto tutti gli spettacoli e sanno riconoscere gli attori per nome. Io pure sono un’affezionata.
Lo spettacolo si chiama Desidera e racconta la storia di un vecchio pilota che da giovane, tutto preso dagli aeroplani, ha trascurato la sua bella fidanzata che è morta prematuramente e ora, volendo rivederla, studia il modo di rendere visibile la dimensione temporale e ci apre le porte di uno spazio quadrimensionale in cui i due innamorati esistono contemporaneamente a età differenti. L’idea è geniale, una roba da film di fantascienza. I ricordi del vecchio si materializzano davanti a noi, la storia d’amore raddoppia sotto gli occhi degli spettatori, senza la necessità di un montaggio alternato, di proiettori in scena o di lunghe tirate per introdurre la cosa. La scena è muta, appena all’inizio qualche frase accennata dal vecchio e una voce fuori campo di due piloti in comunicazione radio, per il resto la vicenda è affidata al lirismo dei corpi che creano immagini toccanti, e sembrano essere la sintesi di un pensiero complesso, uno studio filologico sul rimpianto e la memoria in cui il gesto assurge a simbolo, diluito e prezioso.
Ogni oggetto in scena è funzionale, così come le scenografie, dai fogli al ventilatore, passando per la porta e la finestra a rotelle, tutto è coniugato al verbo volare, la precisione delle traiettorie che creano le coppie incrociandosi ricorda i voli di certi stormi in primavera. La leggerezza dei saltelli e degli abbracci non è mai mera coreografia, mai manierismo. C’è una verità in questi haiku di fiato e di ossa che non ha l’indole cervellotica del filosofare pedante ma l’essenza del puro spirito del pensiero. La ricerca di forme belle, nonostante l’ineccepibile esecuzione degli attori, non è mai subordinata alla pregnanza del discorso che si serve anche di forme grottesche e accenni di pantomima in un ritmo che incalza per settanta minuti senza cedere mai, facendomi dimenticare di essere arrabbiata e in alcuni momenti finanche di essere lì.
Penso ai bambini presenti in sala. Che fortuna aver visto uno spettacolo così magico! Sono commossa ed emozionata per loro. Penso al pubblico che non riusciva a smettere di battere le mani, come a voler trattenere qualcosa di prezioso che era nell’aria. Penso che il teatro oggi e ogni giorno è messo in crisi da chi pensa ad autodeterminarsi in una poetica e non lascia che sia la poetica stessa a determinarlo, a cambiargli i connotati; dai presuntuosi e dagli spocchiosi che postulano quesiti sbrodolando retorica spiccia invece di tradurre le idee e le smanie personali in partiture di ritmo, in epifania di immagini. Oggi e ogni giorno il teatro è messo in crisi da chi non lo sa fare e stasera il teatro in crisi non era qui. (stefania spanò)
Desidera – una storia d’amore e di stelle
drammaturgia e regia: Simona Di Maio e Sebastiano Coticelli
con: Giuseppe Brancaccio, Sebastiano Coticelli, Simona Di Maio, Amalia Ruocco, Dimitri Tetta
musiche originali: Tommy Grieco
scene: Damiano Sanna
disegno luci: Paco Summonte
costumi: Gina Oliva
foto: Diego Bernabei De Nicola
produzione: Il Teatro nel Baule
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