Dopo tre anni e quasi nove mesi il porto di Napoli è uscito dal più lungo commissariamento della sua storia, iniziato il 15 marzo del 2013 con un decreto firmato da Corrado Passera, ministro dei trasporti del governo Monti. Il 5 dicembre scorso si è insediato il nuovo presidente, Pietro Spirito, che dirigerà un porto con una struttura profondamente trasformata nella forma.
Spirito è nato a Maddaloni, classe 1962. Laurea in Scienze Politiche alla Federico II, docente di economia dei trasporti a Roma Tor Vergata. Quello che l’ex dirigente Atac e delle Ferrovie dello Stato, nonché ex direttore dell’Interporto di Bologna, guiderà per i prossimi quattro anni (più una sola eventuale riconferma) non è più soltanto l’Autorità portuale di Napoli, ma l’Autorità di sistema portuale (AdSP) del Tirreno centrale, sotto la cui giurisdizione sono raccolti ora gli scali commerciali della Campania: Napoli, Salerno e Castellammare di Stabia (quest’ultima già controllata da Napoli). È la nuova governance portuale avviata qualche mese fa con il decreto legislativo 169 del 4 agosto 2016. Riforma la legge 84 del 1994, quella che ha emancipato i porti, almeno in parte, dalla gestione militarizzata delle Capitanerie. Le ventiquattro autorità portuali italiane (per un totale di cinquantasette porti) sono state sostituite da quindici Autorità di sistema che gestiscono, nella maggior parte dei casi come per la Campania, gli scali commerciali di una regione. È la riforma del ministero dei trasporti guidato da Graziano Delrio che, passata di governo in governo, ci ha messo quasi dieci anni per essere legiferata.
Prima di parlare delle sfide che aspettano Spirito al porto di Napoli, è opportuno fare un veloce riassunto delle novità di questa riforma. Sostanzialmente, semplifica la “nomenklatura” dei dirigenti e la composizione delle assemblee. In precedenza il processo di nomina dei ventiquattro presidenti delle autorità portuali coinvolgeva governo centrale ed enti locali con il dicastero dei Trasporti e la Regione che si consultavano su una rosa di nomi indicati da Camera di Commercio, Comune e Provincia. Ora i quindici capi delle autorità di sistema portuale sono nominati direttamente dal ministero d’intesa con la Regione.
Sul fronte assembleare il Comitato portuale, il “parlamentino” che gestiva l’autorità portuale, viene sostituito dal Comitato di gestione. Il primo era composto da imprenditori e istituzioni, il secondo da sole istituzioni: presidente dell’AdSP e un membro ciascuno designato da Regione, sindaco e autorità marittima (Capitaneria di porto). Una modifica che restringe parecchio la rappresentanza in seno all’organo portuale che approva le delibere: si passa dai trecento trentasei membri complessivi dei comitati portuali ai settanta componenti dei comitati di gestione. Gli “orfani” privati confluiscono nel nuovo Organismo di partenariato della risorsa mare, con soli poteri consultivi. Una struttura decisionale che dovrebbe ridurre i conflitti d’interesse separando pubblico e privato, relegando quest’ultimo al ruolo di consultore. A Napoli, per esempio, è la fine, seppur soltanto in loco deliberatione, della paradossale situazione che a decidere della fideiussione di milioni di euro di canoni demaniali non pagati sia il creditore Autorità portuale insieme al debitore. In realtà, come ha evidenziato il Consiglio di Stato a maggio scorso, questa divisione crea un nuovo eccesso, uno “sbilanciamento in favore della componente designata dagli enti territoriali” riducendo eccessivamente “l’apporto della base socio-economica”. Come a dire: va bene limitare gli interessi economici nelle decisioni che riguardano lo sviluppo di un porto ma questa doppia camera deliberativa e consultiva potrebbe tradursi in una pratica poco realistica.
La prossima mossa di Spirito sarà ora la formazione del Comitato di gestione. Una volta istituito nominerà il segretario generale, figura fondamentale tanto quanto il presidente essendone il braccio operativo. Se non verrà riconfermato l’attuale Emilio Squillante, esito dato per scontato sia dal cluster che dal diretto interessato, il nome più accreditato è quello dell’ingegnere Francesco Messineo, dirigente portuale a Salerno, Gioia Tauro e presidente del porto dei marmi di Marina di Carrara. Una buona coppia essendo Spirito un esperto di trasporti e Messineo un funzionario portuale che ha mostrato una certa abilità a svincolarsi tra le scartoffie ministeriali (è uno dei padri di una recente riforma delle legge sui dragaggi che ne semplifica l’approvazione).
Ma non sarà tanto la correttezza del curriculum e la “comprovata qualificazione professionale”, come esige la legge, a fare una buona dirigenza portuale, quanto una buona sintonia tra segretario e presidente, una solida strategia politica, tanto interna che esterna. Sul fronte interno gestire un’imprenditoria portuale napoletana dalla doppia faccia. Una corporativa, frammentata tra mestieri interconnessi ma indipendenti: armatori, spedizionieri e agenti marittimi. Un’altra trasversale, coesa, feroce, spregiudicata, con le spalle coperte dall’influenza del “comandante invisibile” nato a Sant’Agnello ma residente a Ginevra, Gianluigi Aponte, fondatore della Mediterranean Shipping Company, secondo armatore al mondo nel trasporto dei beni di consumo via mare con i container. Le sue aziende, tra controllate e compartecipate, coprono tutti i comparti chiave del porto multifunzionale di Napoli: terminal container con Conateco; sbarco dei crocieristi con la Terminal Napoli della stazione marittima; cabotaggio con la Snav; bacini di carenaggio con la Nuova Meccanica Navale. Un fronte interno che si è ingoiato tutti i commissari del porto succedutisi in questi anni. Interessi a cui si è dovuto arrendere anche l’ex capo del Consiglio superiore dei lavori pubblici Francesco Karrer, unica eccezione a Napoli di un commissario non militare. Sul fronte interno, quindi, l’abilità della nuova Autorità consisterà in questa complessa mediazione: compattare il grosso dell’imprenditoria portuale da un lato e disarticolare i forti interessi di pochi dall’altro.
Sul fronte esterno la questione è politica: nient’altro che un buon rapporto con il ministero dei trasporti, l’ente controllore e gestore dei porti italiani. E un buon rapporto anche con il ministero dell’ambiente, ente controllore e approvatore dei dragaggi dei fondali, manutenzione ordinaria fondamentale per mantenere gli accessi navigabili e far entrare navi moderne più capienti.
Infine ci sono i progetti, i finanziamenti, le opere e le infrastrutture. Dopo oltre tre anni di commissariamento e altrettanti di “presidenza debole” – come ha efficacemente apostrofato l’agente marittimo Umberto Masucci l’ultimo presidente prima di Spirito, l’ammiraglio ispettore capo Luciano Dassatti – il porto è infossato. Ci sono tante cose da fare, riassumibili nelle nove opere approvate dalla Commissione europea nella programmazione 2014-2020, pari a circa centocinquanta milioni di euro:
- completamento della rete fognaria
- ristrutturazione delle strade e ripristino dei tracciati ferroviari
- bonifica degli ordigni bellici nei fondali
- rilevamento dei reperti archeologici sottomarini
- allestimento dei reperti nel palazzo dell’Immacolatella Vecchia adibito a cantiere di restauro
- messa in sicurezza della darsena Marinella
- efficientamento energetico “con l’utilizzo di fonti alternative”
- prolungamento Diga D’Aosta
- dragaggio dei fondali con deposito in cassa di colmata della darsena di Levante.
Di questi al momento sono stati realizzati, o sono in corso di realizzazione, la bonifica degli ordigni bellici, il recupero del parco archeologico sommerso e il restauro dell’Immacolatella Vecchia. Ma l’opera di ammodernamento è al di là di un elenco di cantieri e appalti, è al di qua dei problemi reali. Il Piano regolatore portuale di Napoli risale al 1958, a quando navigavano i piroscafi, e oggi rispecchia un porto disordinato da Ponente (Acton) a Levante (San Giovanni): i passeggeri sbarcano al Beverello e all’Immacolatella Vecchia, due punti distanti un chilometro intervallati da parcheggi per camion, merce rotabile, cantieri della metro e una struttura abbandonata ma vincolata dai Beni Culturali come i Magazzini Generali. A piazzale Pisacane i palazzi istituzionali dell’Autorità di sistema portuale e delle Capitanerie anticipano il lungomare di calata Villa del Popolo, spazio semiabbandonato orfano della belle epoque dell’ingegneria nautica. A seguire i languenti cantieri navali. Quasi a San Giovanni c’è il terminal container affiancato da quello petrolifero e gasiero che lo strozza con tubazioni a vista e abitazioni a pochi metri. A chiudere il tutto uno stretto varco d’accesso dell’autostrada senza l’ombra di un paio di binari. Scalo secolare, millenario, con la città a ridosso, come tutti i porti commerciali d’Italia, quello di Napoli deve riorganizzare continuamente gli spazi che ha già: lo sviluppo si gioca sull’organizzazione degli spazi.
Tanto lavoro da fare. Fortunatamente il porto non è una comunità urbana ma una più semplice comunità di imprenditori. A Spirito toccherà quindi un’operazione strategica. Dovrà avere le spalle politicamente coperte, godere dell’appoggio dei ministeri e del governo, del favore della banca-Regione che va in Europa a chiedere finanziamenti, cercando di accontentare gli imprenditori più esigenti senza sacrificare troppo gli interessi di tutti. (paolo bosso)
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