Il 7 aprile a Giugliano è nato il comitato Ermes contro la costruzione del nuovo campo rom. C’era da aspettarselo. A questo punto di solito si legittimano gli schieramenti: la destra è contro i rom e la sinistra per i rom e quindi costruisce i campi ghetto. L’idiozia istituzionale sulla questione rom in Campania continua a produrre i suoi effetti e le politiche di inclusione sono ancora molto lontane.
Ma andiamo con ordine. La comunità rom a Giugliano ci sta da oltre trent’anni, per lungo tempo insediata nei campi della cosiddetta zona Asi, in una condizione di disagio e precarietà estreme; poi nel 2011 lo sgombero per ordine della Procura: una parte della comunità viene spostata in un campo “attrezzato”, costruito nel frattempo con finanziamenti pubblici, adiacente al sito sequestrato, un’altra parte si trova senza alloggio e inizia a girovagare, trovando spazi dove sistemarsi da cui viene puntualmente obbligata ad allontanarsi. Alla fine del 2012, il comune di Giugliano – nella persona del commissario prefettizio per lo scioglimento del consiglio comunale – individua una zona dove collocarli e chiede finanziamenti al ministero, circa 400 mila euro. Si tratta di un rettangolo di terra, nemmeno asfaltato, con una decina di bagni comuni. Molto meno del solito villaggio attrezzato. Ma quello che più colpisce è che si tratta di un sito collocato proprio nell’area di Masseria del Pozzo-Schiavi, ovvero una delle sette aree vaste individuate come ad alto rischio ambientale nel piano regionale delle bonifiche, il quale descrive una situazione particolarmente compromessa.
Il rettangolo attribuito ai rom confina con le discariche Masseria del Pozzo-Schiavi, Novambiente, Ex Resit ecc. Quando vi si insediano, nel marzo 2013, la notte non riescono a dormire per la puzza, mentre tutto intorno al campo si vedono fumi di biogas che esalano dal terreno. L’Asl, prima dell’insediamento, aveva dato tre pareri tra loro contrastanti sulla possibilità di collocarvi circa quattrocento persone, di cui più della metà bambini: dapprima dà parere favorevole, poi ferma tutto e dice che non può garantire e alla fine conferma il parere favorevole, attribuendo la scelta alla circostanza che dall’analisi di ortaggi della zona non si rilevano problematiche di inquinamento.
In occasione della sesta edizione del Festival dei Diritti Umani, un gruppo di attivisti redige un dossier che sottopone alla commissione del Senato per i diritti umani. Nel marzo 2014 gli attivisti, insieme a un abitante del campo, vengono ricevuti per un’audizione in Senato. Lì, senatori allibiti e scandalizzati promettono che faranno di tutto per porre fine a questa sciagura. Dopo pochi giorni una delegazione della commissione si presenta per un sopralluogo. Alla vista delle condizioni del campo, lo sgomento dei senatori aumenta, con punte di commozione di mamme-senatrici in lacrime per i poveri bambini. Poi tutto tace.
Il gruppo di attivisti nel frattempo presenta un esposto alla procura di Napoli Nord. E continua a sostenere i rom, perché non solo si battano per andare via da lì, ma anche per reclamare soluzioni abitative diverse dai campi, case normali, come in altre parti d’Italia e come prevede la legge europea e nazionale. I rom sono scoraggiati e pensano che a Napoli le cose non cambieranno mai, perché, è vero, i loro parenti in Sardegna hanno avuto le case.
Nonostante la sfiducia, nell’agosto 2014 i rom, sostenuti dagli attivisti, scrivono una lettera alle istituzioni locali, nazionali ed europee chiedendo aiuto per andare via da lì e per avere una casa, per non far vivere ai loro figli la stessa vita che hanno vissuto loro. Tutto tace.
Gli attivisti continuano a fare pressione e nel febbraio 2015 vengono ricevuti dal commissario prefettizio di Giugliano, insieme ai rom e, colpo di scena, riscontrano la disponibilità a fare un progetto per l’inserimento negli alloggi sul libero mercato con sostegno all’affitto. Il commissario chiede al ministero dell’interno un sostegno di circa 600 mila euro per sistemare circa sessanta famiglie con un percorso di inclusione in alloggi normali, come prescritto dalla Strategia nazionale ed europea. Il ministero riceve e tace. Le indagini della Procura vanno avanti e i rom riferiscono che ci sono stati i carotaggi nel terreno e altre cose. Nel frattempo ci sono le elezioni e si insedia una nuova giunta comunale con sindaco Pozziello e una nuova giunta regionale guidata da De Luca.
De Luca aveva già fatto riferimento alla chiusura dei campi e al pugno duro verso i rom in campagna elettorale e sappiamo dai documenti pubblicati poi che nell’agosto 2015 si è incontrato con Alfano per avere un sostegno nella risoluzione della questione Masseria del Pozzo, probabilmente perché – anche questo lo scopriremo dopo – la Procura ha chiesto il sequestro del sito. A quel punto si inizia a progettare il nuovo campo per Giugliano.
Ignari di ciò gli attivisti chiedono di incontrare la nuova giunta e nell’ottobre 2015 incontrano l’assessore alle politiche sociali Mauriello che li accoglie a braccia aperte, promettendo soluzioni e collaborazione, salvo poi far perdere completamente le sue tracce. Nel frattempo, con il sostegno dell’European Roma Rights Center, alcuni rom presentano al Tribunale civile di Napoli Nord un’azione civile per far riconoscere il carattere discriminatorio del comportamento dell’amministrazione che ha costruito Masseria del Pozzo, forti anche della vittoria a Roma della causa per il campo della Barbuta.
E veniamo a oggi. Nel dicembre 2015 la giunta regionale delibera per i rom che vivono a Masseria del Pozzo la costruzione di un nuovo campo monoetnico per rom, per circa duecentosessanta persone, mettendo a disposizione 900 mila euro come contributo straordinario del bilancio della Regione. Nel febbraio 2016 Alfano in persona si reca a Napoli per sottoscrivere un protocollo d’intesa con De Luca, la Prefettura e Pozziello offrendo l’ulteriore cifra di 400 mila euro. In tutto sono un milione e 300 mila euro per creare quarantaquattro moduli abitativi: con il doppio della cifra chiesta per dare un contributo all’affitto si sistemano la metà delle persone in un campo ghetto.
Nel protocollo paradossalmente si legge che tra gli interventi per i rom in Campania è necessario partire dal campo di Masseria del Pozzo perchè “di recente oggetto di sequestro da parte dell’autorità giudiziaria, a causa delle precarie e degradate condizioni igieniche e strutturali dell’insediamento, posto a ridosso di siti di discarica ancora da bonificare e di luoghi interessati da sversamento illegale e incendio di rifiuti”. Come se i rom vi si fossero insediati spontaneamente.
Gli attivisti di nuovo scrivono alle istituzioni nazionali ed europee per evidenziare il contrasto del progetto con le politiche di inclusione europee e nazionali. E il caso di Giugliano diviene simbolo per molte organizzazioni nazionali e internazionali per chiedere che l’Italia venga sottoposta alla procedura di infrazione per violazione della direttiva comunitaria contro la discriminazione.
Il nuovo nome scelto in questo caso al posto del buon vecchio “campo nomadi” – poi variamente appellato come villaggio della solidarietà, villaggio attrezzato, ecc. – è oggi “eco-villaggio”. Oppure, come lo definisce fantasiosamente lo stesso comune di Giugliano nella memoria difensiva dell’azione civile contro la discriminazione, “fattoria sociale”, perché i rom potranno coltivare i loro orti, “progetto primo ed unico in Europa”.
Nel frattempo, l’8 aprile 2016, nella giornata internazionale dei rom e dei sinti, Amnesty International ha lanciato una campagna aperta alla sottoscrizione di tutti i suoi sostenitori nel mondo contro la segregazione dei rom in Italia, simbolicamente rappresentata dal caso di Masseria del Pozzo a Giugliano in Campania. (francesca saudino)
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