Marco ha 16 anni. Suo padre fa l’impiegato e sua mamma pure. Non si droga, non ruba, non stupra in branco. L’anno scorso, dopo l’ennesima giornata di noia e giudizio a scuola, Marco a scuola ha deciso di non andarci più. Non riusciva più a capire perché avrebbe dovuto andarci. Né il miraggio del diploma, né la punizione di mamma e papà, né lo sguardo pesante dei vicini riuscivano a tirarlo giù dal letto. Non che dopo fosse andata meglio. Casa, televisione, play station e, quando gli altri finiscono di fare quello che hanno da fare, qualche chiacchiera e un po’ di compagnia. Tedio e respiro corto. Ma almeno niente scuola. Nel rione c’è l’associazione dove gli altri vanno a fare il laboratorio di video, di ceramica, di cucina. Che scemi! Vanno e si divertono pure, appresso a quei quattro punkabbestia che si atteggiano a professori. Ma lui no, Marco no. Lui non è così scemo.
Marco è convinto che il video, la ceramica, la cucina e tutte le altre belle attività dell’associazione, siano una trovata per tenere a bada i perditempo, servano ad acchiapparli perché non facciano danni. Meglio la noia, la televisione e, quando agli altri avanza un po’ di tempo, quattro chiacchiere con chi può.
Gionni invece da scuola è stato cacciato. Ha 15 anni e l’ultima volta ha messo le mani addosso al prof di matematica, due paccheri e uno spintone. All’ennesima sfida, all’ennesima minaccia, all’ennesima ebbrezza di nullità che gli aveva fatto vibrare quel facciadimerda, Gionni non ce l’ha fatta e gli ha messo le mani addosso. L’hanno espulso, cacciato, mandato via in malo modo e lui, che della scuola già da un po’ non sapeva che farsene, ha deciso di non tornarci. Il padre ha le mani grosse e le ha usate tutte, le sue mani, su Gionni. Ma lui se n’è fregato. Poi hanno saputo di quell’associazione che fa il recupero, con le classi per soli evasori (scolastici). Hanno saputo pure di quell’altra associazione che fa gli aquiloni con i ragazzi che non vanno più a scuola. In una stanza fanno gli aquiloni e nell’altra lezione, che quando uno decide che vuole ricominciare a studiare passa nell’altra stanza. Gionni ci è andato, ha provato. Col risultato che alla fine del nuovo anno ha iniziato pure a tirare coca.
A Napoli, come nel resto d’Europa, la scuola non funziona più.Soprattutto per gli adolescenti. Nidi, asili ed elementari un qualche senso continuano a conservarlo, dalle medie in poi questo senso svanisce. La scuola è il carcere con qualche ora d’aria fatta di ricreazione e progetti extrascuola (nel migliori dei casi e nelle intenzioni dei docenti; spesso infatti per gli alunni l’extrascuola diventa più noiosa della scuola stessa). La scuola, con i suoi strumenti di tortura, conserva immutata la struttura autoritaria originaria, connotata dalla rigida gerarchia (preside-docente-bidello-alunno), con l’intero impianto pedagogico fermo a Pavlov e al suo sistema di premi e castighi, ancora pieno di bastoni (bastoncelli) e carote. Secoli di pedagogia (da Socrate fino a Frenet, a Dewey, a Montessori, a Le Boech ecc.), a infarcire la retorica di circolari ministeriali e corsi di formazione subiti quanto inutili. Oppure ad alimentare l’utopia (e le pratiche quotidiane) delle poche isole – intere scuole o singoli docenti d’eccezione del pubblico e del privato – che tentano, a fatica, di mettere quotidianamente in atto modi di fare scuola non autoritari.
Fuori dalla scuola, per gli adulti, c’è il male. La strada, la play station, la tv e tutto quanto fa educazione oggi più della scuola, diventa per gli adulti il tabù. A meno che non sia extrascuola ufficiale, quella fatta di spazi ben controllati e vigilati da persone fidate. Variabili, imprevisti e avventura sono il vero nemico, da tener lontani dai ragazzi. Sono il male (anche se poi tutti si chiedono perché gli adolescenti si annoiano). Il corso di ceramica, di scrittura creativa, di teatro… finiscono per essere anche loro il bene. Ore d’aria consentite.
Lo sanno bene i tanti operatori dei doposcuola, delle ludoteche e delle altre attività extrascolastiche del privato sociale, spesso costretti a fare da sfogatoio per la frustrazione accumulata dai loro frequentatori nelle ore di scuola. Il problema è che i più sembrano ormai essersi rassegnati alla schizofrenia carceraria che la scuola finisce per essere oggi dagli 11 anni in poi.
Gionni a un certo punto ha incontrato Gennaro. Un tipo un po’ fatto, spesso ubriaco, che la notte usciva, conosceva i posti dove i treni vanno a dormire, le mura dove l’intonaco è meno friabile, gli angoli più appropriati. Gennaro aveva 27 anni e si incontrava con queste parti di città quasi tutte le notti, lo faceva con spray e tappi, lasciava segni che per Gionni erano magie. Gionni se ne innamorò. Prese a uscire pure lui la notte appresso a Gennaro. Il giorno lo passava a fare schizzi su fogli bianchi, fogli sporchi dietro e bianchi avanti. Uno lo finiva e l’altro l’aveva già iniziato. Sotto gli occhi di madre e padre incazzati e stupiti più che mai. Che cazzo fai tutta la notte, pezzo di merda? Ma Gionni ora sapeva che faceva.
Marco aveva smesso di andare a scuola da un anno. Alla fine di quell’anno a Marco sembrava che stesse finendo l’aria. L’unica boccata di ossigeno era Pasquale, che la sera inventava strofe e cadenze ritmate. A Marco e Pasquale si aggiunge Lino. Tutte le sere i tre s’incontrano nello scantinato di Lino. Poi si incontrano anche i pomeriggi. Un giorno i tre scappano, prendono un treno e vanno a Palermo, c’è una “sfida”, ed è arrivata l’ora di partecipare. Dopo tre giorni sono di nuovo a casa: botte, urla, pianti. Ma ne è valsa la pena.
Ci sono dei tipi che Luigi conosce, gente strana ma brava, dice Luigi.Non si capisce bene che vanno trovando, fanno discorsi sconclusionati, dicono che vogliono costruire una nuova scuola per adolescenti. A Marco e Gionni non gliene importa più di tanto. Loro due vogliono solo partire per il viaggio che quei tipi strani stanno organizzando verso una città del nord. Di questo gli importa. Sanno che andranno a fare i graffitisti e i rapper nella periferia di quella città, ci andranno a segnare sulle mura la storia e le impressioni di un quartiere che verrà in parte abbattuto. Prima di partire si scambiano un po’ di immagini e di parole con un gruppo di ragazzi che nel quartiere della città del nord ci vive. Marco, Gionni, Lino, Luigi e altri ragazzi partono da Napoli con un compito da svolgere. Hanno taccuini, macchine fotografiche, registratori audio per lasciare le tracce di quello che incontreranno. Prima di partire hanno fatto qualche incontro di preparazione, hanno scambiato idee con uno scrittore sui modi di guardare il mondo e su quelli di rappresentarlo. Ora sono in viaggio. Si stupiscono dei modi che nella città del nord l’Istituzione ha trovato per far diventare la loro arte ribelle “recupero”, la cornice di prevedibilità in cui hanno rinchiuso pure quella. Ma per loro non è ancora questo il punto e il viaggio ha dentro molto altro.
Tornati a Napoli, Marco e Gionni fanno delle richieste ai tipi strani amici di Luigi. Gli chiedono di poter portare avanti alcune cose scoperte insieme, che prima non sapevano di volere (e poter fare), e ora lo sanno. Gionni e Marco il mese dopo partono di nuovo, per un’altra città del nord dove si tiene un importante festival del fumetto. Marco passa l’intera giornata in uno studio di grafici bravi quanto sfasciati, sfasciati quasi quanto lui. Gionni ha la passione per il fumetto, e quindi la giornata la passa con i grandi fumettisti presenti alla mostra, aiutandoli ad allestire i propri pannelli. A Gionni e Marco tutto questo non sembra vero. Dall’osservazione del getto di colore delle bombolette spray, sono nate domande strane, domande utili a una ricerca scientifica sulla fisica della luce. Dal racconto del nonno di Sara (di cui Marco si è perdutamente innamorato) è uscita una lezione di storia senza pari. Marco e Luigi hanno ricominciato a studiare italiano e scienze. Hanno chiesto ai tipi strani una mano per prendersi il diploma.
Fare scuola a partire dall’imprevisto, dalla scoperta, dall’esperienza, prestando cura a leggere e scrivere quanto si sta vivendo, per Gionni e Marco è l’unico modo per imparare. Per me e gli altri tipi che Luigi, Marco e Gionni hanno incontrato, è l’unico modo per dare una (piccola) spallata al carcere e alle sue ore d’aria. (giovanni zoppoli)
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