«Perché sono scappato? Perché non avevo nulla da perdere». Questa era la risposta classica che davano i giovani tunisini che vivono in Europa quando gli si chiedeva perché avevano deciso di lasciare il loro paese. La rivoluzione di questi giorni, che ha costretto il dittatore Ben Alì a scappare, forse cambierà la vita anche di quella parte della Tunisia che abita questo lato del Mediterraneo.
Le rivolte tunisine sono state seguite con molto interesse da chi da quel paese se ne è andato, giovani che per gli stessi motivi che hanno spinto migliaia di persone a scendere in piazza in questi giorni hanno deciso di fare la valigia e tentare la fortuna altrove. Chi si trova in Italia, spesso è costretto alla clandestinità, o per paura di fare richiesta di asilo politico (una scelta che avrebbe potuto avere ripercussioni negative sulla propria famiglia rimasta in Tunisia), o perché non è riuscito a rinnovare il permesso di soggiorno a causa della crisi occupazionale. «I soldi che il governo italiano ha dato alla Tunisia per bloccare l’immigrazione clandestina sono finiti nelle mani della nostra mafia, incrementando l’isolamento dei giovani e sostenendo la dittatura, e non facendo altro che aumentare la clandestinità dei migranti», racconta Nasser Hidouri, mediatore culturale e imam di S.Marcellino. «Solo nel Sud Italia siamo più di cinquantamila, e molti di noi non hanno i documenti. Ma adesso vogliamo tornare, non abbiamo più paura».
«Io un giorno mi sono espresso contro il governo tunisino – continua a raccontare Nasser – e da allora mi hanno etichettato come terrorista islamista, sono stato costretto a scappare e per molti anni gli agenti di Ben Alì mi hanno sorvegliato, ho vissuto a lungo nel terrore, con un permesso di soggiorno che avevo paura di perdere in ogni momento. Ma ora sappiamo che possiamo tornare, perchè il nostro paese è ricco. Le risorse ci sono e tutti quelli che hanno un capitale, anche fosse di mille euro, oggi potranno aprire un’attività, perchè la mafia tunisina non metterà più i bastoni tra le ruote ai nostri sogni. La popolazione, dopo aver fatto cadere il nostro Pinochet, è scesa in strada con le scope e le carriole per pulire le strade».
Quella a cui stiamo assistendo in questi giorni non è la prima rivolta che scoppia in Tunisia. Il 5 gennaio 2008, a Redeyef, la cittadina del bacino minerario di Gafsa, inizia una protesta per la corruzione e il caro vita. La popolazione è molto organizzata, ma deve fare i conti con la repressione dello Stato: due persone perdono la vita, tante vengono arrestate e torturate. A giugno del 2008, alcuni sindacalisti, ritenuti responsabili delle proteste, vengono arrestati e messi in carcere. Decine di persone finiscono in manette, centinaia di giovani di Redeyef fuggono in Europa. Dopo aver subito la repressione nel loro paese e affrontato il Mediterraneo, si ritrovano nel centro di prima accoglienza di Lampedusa e lì sono costretti a rimanere per mesi. Il resto della storia ci sembra di conoscerlo: una rivolta a cui partecipa tutta l’isola, l’incendio della struttura, il processo ai migranti, e così via. Ma l’odissea dei giovani di Redeyef non finisce qui. Partono per Nantes, una città della costa ovest della Francia, dove dagli anni Settanta si è stabilita una importante comunità di persone provenienti proprio da Redeyef. Arrivati in Francia, i giovani tunisini non chiedono l’asilo politico, sia per poter tornare nel loro paese, sia per paura delle minacce che potrebbero subire le loro famiglie rimaste in Tunisia.
Così come in Italia, il controllo dei tunisini in Francia attuato dagli uomini di Ben Alì è stato fino a oggi una pratica molto comune. La dittatura e la paura erano vive anche fuori dalla Tunisia. A Nantes c’erano dei sorveglianti del partito del dittatore che controllavano i migranti. Secondo Françoise Thoumas del Mrap Nantes et collectif de Soutien aux tunisiens de Redeyef, più volte molti tunisini di Nantes che tornavano in patria durante l’estate, «sono stati fermati al loro arrivo a Tunisi e sono stati interrogati a lungo dagli uomini del ministero dell’interno». Ma adesso la speranza di una nuova vita si è accesa anche da questa parte del Mediterraneo. La comunità tunisina che ha lasciato il paese attende con gioia, ma anche con inquietudine, di vedere che sorte spetta alla propria patria. (elise melot e marzia coronati)
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