Piazza Castello è animata da un centinaio di biciclette: professionali, grazielle, personalizzate, sfasciate o prestate. Oltre a loro un gruppo di giovanissimi pattinatori armati di gambe e casse bluetooth: la musica è un generoso tributo agli Ottanta-Novanta. Alle Critical mass partecipa chiunque, sia per l’accessibilità dell’iniziativa che per il divertimento. Per qualche ora, una volta al mese, una massa critica su due ruote blocca la città, scampanella nei nodi nevralgici del centro, improvvisa girotondi agli incroci, ride, urla e si riprende le strade di una città inquinatissima e a misura di macchina.
Le Critical vengono “chiamate” ma il percorso si costruisce direttamente in strada, in base all’entusiasmo e alla sensibilità dei partecipanti. Il concentramento nella piazza è entusiasta, si scambiano chiacchiere, si aggiustano bici e si bevono birre: non sono necessari interventi o megafono, l’atto è così politico e forte di per sé che non ha bisogno di traduzioni o didascalie.
Lo sciame di bici parte col suo percorso che si forma in itinere, mi giro per gustarmi la vista: il colpo d’occhio è impressionante. Nelle vie del centro, scenografiche per natura, un esercito di bici invade le strade e paralizza porzioni di città per qualche minuto ciascuna. Ci muoviamo verso il fiume, attraversiamo il ponte di piazza Vittorio Veneto gustandoci la vista notturna dei Murazzi e c’impossessiamo della piazza davanti alla Gran Madre. I tram diventano gli ostacoli di una corsa campestre, ci giriamo intorno, esortiamo i passeggeri a scendere dalla giostra quotidiana e fare un respiro profondo. Anche gli automobilisti sembrano accettare di buon cuore, alcuni addirittura sorridono, che la loro vita metropolitana subirà qualche minuto di ritardo. «Dai spegni il motore due minuti», questo l’invito.
La fatica diventa astratta e sparisce, potremmo andare avanti per ore senza sentirla. Corsi pieni di controviali e regole di precedenza diventano enormi autostrade ciclabili. I tratti che percorriamo si fanno più lunghi, alternati dalle soste negli incroci dove partono girotondi euforici e ululanti. L’entusiasmo della prima ora ha azzerato il mio spirito di osservazione, non ho avuto occhi che per noi, ma non siamo soli: un esercito di polizia tra digos e celere ci segue provando a intimorirci con una presenza massiccia, aggressiva e soprattutto totalmente ingiustificata.
In questi mesi sembra essere diventata la prassi. Ogni iniziativa politica dal basso in strada è controllata, repressa e archiviata come socialmente pericolosa. Tra febbraio e marzo ho visto poliziotti inseguire e tenere in ostaggio manifestanti con uno striscione, celerini salire sui tram all’ora di punta per identificare persone con un megafono, funzionari della digos ordinare una carica durante un corteo femminista autorizzato, militari a mo’ di check point a ogni angolo di Aurora per un mese, ma quello che sta per accadere non l’avrei potuto né immaginare né prevedere: colta da un raptus la polizia carica da dietro il girotondo di biciclette, chi è più vicino ai blindati è disarcionato e percosso con violenza. I giornali diranno: “Tensioni alla Critical mass e cariche della polizia: i motivi sono ancora ignoti”, per mascherare la figura barbina della questura, la realtà è che di motivi non ce ne sono: celerini che caricano grazielle.
Non soddisfatta, la polizia ferma i manifestanti picchiati circondandoli e identificandoli. Dall’altro lato del cordone, l’empatia euforica del prima si trasforma in rabbia e incredulità generale. La manu militare che storicamente è utilizzata per sedare e neutralizzare il dissenso, a Torino è ormai un boomerang: la paura è stata superata dalla rabbia, dall’indignazione; a ogni offensiva poliziesca più persone, di composizione eterogenea e biografie diverse, decidono di opporsi con i propri corpi, con le proprie voci e con le proprie bici. Alla locura rispondiamo con la solidarietà e la determinazione.
Non ho trovato nei mesi sostantivi migliori di locura – follia – per identificare la strategia di forze dell’ordine e politica: i primi violenti e tantissimi in qualsiasi manifestazione, i secondi sempre pronti a difendere e in alcuni casi a rivendicare la gestione da stato d’emergenza della forza pubblica.
Questa follia ha una sua spiegazione, anche se delirante. Come nelle psicosi da manuale il delirio si poggia su poche verità che si espandono all’infinito nel discorso psicotico per dargli coerenza e possibilità di esistere. Questa però è l’unica forma di delirio che non difendo né apprezzo, la potremmo chiamare disturbo ossessivo anarco-antagonista, ovvero giustificare ogni intervento, ogni violenza, ogni abuso con la presenza di attivisti anarchici o antagonisti, “socialmente pericolosi”. Razionale, vitale e coerente per loro ma assurdo per noi: locura.
Esortati ad abbandonare l’incrocio dall’arrivo di blindati vari, al contrario ci accentriamo sempre di più, non si lascia indietro nessuno. Una decina di digos e celerini circonda i manifestanti seduti a terra mentre ciò che resta della Critical mass libera ne chiede la liberazione. «Sono prigionieri», aveva detto il questore Messina in tempi già sospetti, infatti il gioco dello sparviero poliziesco continua imperterrito cercando di prendere più manifestanti possibili, ancora “per motivi che restano ignoti”.
Ci riescono, nel caos, ma paura dello sparviero nessuno ne ha. Spiegheranno poi, nel nome della locura, che nel corteo erano presenti pericolosi attivisti, circa una decina su più di un centinaio di bici, che andavano fermati, identificati e portati in questura, in un caso, per evitare possibili tensioni.
Ci spostiamo spossati per raggiungere un luogo sicuro dove discutere di quanto appena successo, immaginare le prossime mosse e sincerarci che il fermo non sia convalidato. L’assemblea al chiaro di luna è agitata, spontanea ma determinata: tutti vogliono pedalare ancora. Aspettiamo intanto il rilascio tra birre, sigarette e imprecazioni che terminano dopo cinque ore di attesa. Siamo di nuovo tutti insieme pronti a pedalare ululando nella nostra città, il boomerang inizia il suo giro di boa, solidarietà e indignazione aumentano esponenzialmente: sarà ancora una volta Critical mass.
A una settimana esatta ci ritroviamo sotto Palazzo Civico. «Pedalare non è reato», e prendiamo il boomerang in mano: dopo sette giorni siamo dieci volte di più.
La composizione sociale della piazza è un puzzle con pezzi infiniti: chi è attivista, chi lavora con la bicicletta, chi la ama, chi ne ha fatto una scelta ecologica, chi ha costituito associazioni, chi ha sentito ribollire il sangue la settimana precedente e chi sale sul carro vincente dell’opposizione. Dopo qualche intervento al megafono sul palco improvvisato in mezzo alla piazza, utile a riassumere le puntate precedenti e far arrivare più persone possibile, il cuore ha la meglio sull’ostacolo e si parte per una Critical enorme e selvaggia. «Se ci va noi blocchiamo la città», non è una promessa ma una solida realtà.
Attraversiamo il centro, passando per le piazze vetrina, il primo girotondo è in piazza Carignano dove nelle stesse ore intellighenzie varie discutono sul visibile e l’invisibile, in sostanza costruiscono pubblicamente una sovrastruttura teorica e patrocinata per legittimare grandi speculazioni e conseguenti metamorfosi urbane di uno dei quartieri satelliti ma problematici del centro: Aurora, la nuova cavia della gentrificazione in salsa sabauda. L’iniziativa è Biennale Democrazia, il grande happening culturale, pieno di buoni propositi, nomoni e “democrazie” finanziate da Compagnia di San Paolo.
La polizia municipale in bicicletta ci bracca con difficoltà mentre a una ventina di metri dalla testa funzionari della digos in scooter ci scrutano, si appuntano nomi e costruiscono sistemoni sempre deliranti mai azzeccati, ma stanno buoni.
Ritorna pedalando quella sensazione di pienezza della settimana prima, cerco di fissarla il più possibile nella mente perché è meglio di qualsiasi sostanza, il vento ancora freddo ci scivola addosso e continuiamo senza freni la nostra corsa. Mi guardo attorno per vedere con gli occhi quell’empatia estrema che sento nel petto: tutti sorridono divertiti e beffardi, l’onomatopea di questo stato d’animo sono i campanelli e i nostri versi che ogni tanto vengono strozzati dall’euforia. «Tout le monde deteste la police», ci permettiamo di essere arroganti davanti alla questura, serrata su se stessa. L’irriverenza della bicicletta in strada e la sua naturale agilità permettono alla Critical di essere efficace e radicale, le casse bluetooh le danno grinta e un immaginario vincente. Quasi senza accorgercene paralizziamo l’asse che collega corso Vittorio a Torino Nord, più pedaliamo più aumentiamo più diventiamo radicali. Tutti insieme. Se avessi una camera riprenderei con un campo che dal dettaglio diventa lunghissimo, dal basso verso l’alto, dalle ruote alla massa critica, per immortalarne l’imponenza.
La polizia con le mani legate dall’opinione pubblica può solo stare a guardare il suo boomerang mentre un migliaio di biciclette bloccano piazza Baldissera per il girotondo definitivo attorno a una delle rotonde più grandi e nevralgiche della città. Già protagonista di polemiche sugli ingorghi, ora è il soggetto principale delle nostre urla, divertitissime: «Baldissera, Baldissera, ti blocchiamo, ti blocchiamo, stasera, stasera». Potremmo andare avanti in loop, la sensazione diffusa di liberazione potrebbe anestetizzarci dalla fatica per tutta la notte.
Ritorniamo verso il centro passando per il quartiere visibile/invisibile di Aurora, attraversiamo la parte alberata di corso Brescia che incrocia con l’Asilo: la città per qualche ora è nostra. Ci sciogliamo soddisfatti in piazza Castello, parte un applauso spontaneo dopo il girotondo di ordinanza seguito da cori e musica. Tra le chiacchiere sento ripetutamente domande e risposte sostanzialmente identiche: «Quando la rifacciamo? Prestissimo!». Sorrido, è primavera. (ilaria magariello)
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