Nel quartiere di San Carlo all’Arena, in via Nicolini 54, si trova la biblioteca Francesco Flora. Come i negozi, i bar e le farmacie, la biblioteca affaccia direttamente sulla strada.
È un lunedì di aprile, il primo giorno di riapertura al pubblico in zona arancione. Entro. Mi viene incontro la signora Adriana, con cui avevo preso appuntamento per mail. Altre tre donne, Consiglia, Rosa e Maria, tutte sulla sessantina, stanno discutendo con un ragazzo davanti a un computer. Ci sediamo in un ufficio rialzato dalle pareti di vetro da cui si può osservare il resto della biblioteca.
«Questa biblioteca – inizia Adriana – esiste da oltre quaranta anni. È stata una delle prime biblioteche cittadine. Prima ci lavoravano bibliotecarie di professione, ma da quando sono andate in pensione il Comune non ha fatto concorsi per sostituirle e ha assunto dei dipendenti comunali». Adriana e le colleghe, infatti, sono dipendenti comunali. Consiglia, prima di venire assunta al Comune, è stata impiegata per venticinque anni in lavori socialmente utili all’Inps.
«Non abbiamo avuto nessuna possibilità di qualificarci in questa professione – continua Adriana –, qui dentro un libro non è un libro e basta: c’è la catalogazione, l’inventario, il prestito. Quando sono stata assunta, venti anni fa, sono andata per mia iniziativa alla biblioteca di San Giovanni a Teduccio e mi sono fatta spiegare dalle bibliotecarie come funzionava la registrazione, il macero, le schede».
La biblioteca è aperta dalle 9 alle 19 ed è frequentata soprattutto da studenti universitari in cerca di uno spazio tranquillo dove poter studiare per gli esami; a volte anche da studenti delle scuole superiori e medie – «ma quelli meglio se non vengono! Fanno chiasso, disturbano chi studia e poi con loro dobbiamo stare attente che non fumano gli spinelli, controllare le coppiette… dobbiamo fare pure le sorveglianti qua dentro!».
La collezione comprende circa 12 mila titoli, provenienti in gran parte da donazioni, divisi in saggistica, narrativa, sezione napoletana, ragazzi, libri per ipovedenti. Da quindici anni non arrivano più riviste e quotidiani. «Lo vedi quello? – Consiglia mi indica un espositore accanto all’ingresso dove sono appoggiati vari volumi di un vecchio Atlante istituzionale d’Italia dalle copertine color oro – Prima ci mettevamo i quotidiani. I vecchietti venivano qui la mattina e si sedevano a leggere il giornale. Per loro era uno svago. Ora non vengono più».
Il prestito è frequente, dicono, soprattutto tra casalinghe, persone anziane, bambini alla prima iscrizione. Come in tutte le biblioteche comunali, il wi-fi rimane un miraggio. Le bibliotecarie-non-
Chiedo se i titoli della biblioteca sono inseriti sul catalogo digitale (OPAC). «Ci dovrebbe essere un archivio informatico, anche con la possibilità di fare il prestito online, ma noi non abbiamo le attrezzature». «Le biblioteche – continua Adriana – sono un “fitto passivo” per il Comune, perché non rendono nulla, come può essere un ufficio strade, un ufficio anagrafe… per questo non c’è alcun interesse a investire. Il passaggio dalla direzione culturale alla municipalità, poi, ha solo peggiorato le cose».
A questo punto inizia un dibattito tra le bibliotecarie-non bibliotecarie sulla possibilità di mettere una quota di ingresso per alcune iniziative che si svolgono in biblioteca, «come succede nei parchi, dove si paga l’occupazione di suolo». Tra loro c’è chi ricorda, per fortuna, che le biblioteche sono luoghi in cui la cultura deve essere gratuita e non si può pensare di chiedere una quota per gli eventi.
Chiedo che tipo di eventi si sono organizzati in passato. Mi raccontano di presentazioni di libri e di incontri con bambini, su iniziativa di associazioni. Le presentazioni, però, si sovrapponevano all’orario di apertura delle aule studio e capitava spesso, durante gli eventi, che gli studenti non riuscivano a studiare e andavano via. Mi mostrano una stanza, prima usata come ufficio e poi abbandonata, che potrebbe essere recuperata e usata per le presentazioni, in modo da non disturbare chi studia. «Se vogliamo migliorare questo spazio, tutto dipende da noi. Non c’è nessuno per la pulizia, ce ne occupiamo noi, abbiamo persino comprato i detersivi di tasca nostra, oltre a cestini, tende, zerbini».
Proseguiamo la chiacchierata tra le aule studio, dove mi mostrano come hanno catalogato i libri con le fascette – fatte a mano, con tanto di bordino laterale rosso, perché la stampante non funziona –, un pianoforte a coda su cui è poggiato un bouquet di fiori secchi, la tenda che hanno messo per separare l’anti-bagno dalle aule studio, i tavoli disinfettati. Alcuni scaffali sono coperti da un telo di plastica per proteggere i libri da un’infiltrazione d’acqua dal piano di sopra, di cui si sono accorte al momento della riapertura post-confinamento.
Saluto le bibliotecarie-non bibliotecarie e mi rimane la strana sensazione di essere stata, più che in una biblioteca, in un appartamento un po’ malmesso abitato da inquiline premurose, dove il tempo è rimasto intrappolato tra le pagine di quei vecchi atlanti color oro, poggiati sull’espositore per i quotidiani. (cecilia arcidiacono)
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