La vita movimentata dei venditori migranti sulle vie dello shopping
Via Roma, che alcuni chiamano ancora Via Toledo, è contemporaneamente la strada centrale dello shopping e una sorta di soglia tra le diverse componenti della città. La strada se ne sta schiacciata tra i palazzi d’epoca ripuliti dei Quartieri Spagnoli e l’acquartieramento degli edifici istituzionali: la Questura, il Banco di Napoli, la Banca d’Italia, il Municipio. Venendo dal mare, via Toledo è nascosta da un muro di palazzi frutto di un’urbanistica grottesca, metafora di un territorio dove ambienti sociali diversi si scrutano, si annusano da secoli trovando sempre i modi giusti per negoziare la reciproca sopportazione. Il tutto è reso ancora più scabroso dall’arrivo di decine di migranti che vivono e lentamente si adattano alla vischiosità di Napoli.
Un giorno come un altro, dal selciato di via Roma scompaiono improvvisamente i negozi improvvisati dei venditori migranti. Con movimenti quasi automatici, custodie di legno piene di occhiali da sole e cd o lenzuola piene di borse dai marchi brillanti, vengono tirate su e messe in spalla da senegalesi, tamil, srilankesi e algerini, che velocemente iniziano a correre su per i vicoli dei Quartieri. Mahinda, chiamato dai napoletani “Gianni”, segue le altre decine di venditori migranti che ogni giorno stazionano in strada pronti a sfuggire alle pattuglie della Guardia di Finanza che proteggono i negozianti dai prodotti contraffatti. Sono coppie di agenti che percorrono a piedi o in automobile l’area pedonale di via Roma cercando di stanare i venditori stranieri. I più zelanti si avventurano nei vicoli con i manganelli in mano, e si spingono fin dentro gli androni, incutendo involontaria preoccupazione nei napoletani presi da altri tipi di traffici. Quindi può capitare che all’avvicinarsi degli agenti inizi un lungo “piove, piove…” che, in un gergo ancora antico, indica l’arrivo della polizia. Ma – a differenza di qualche anno fa – nessun tramestio o agitazione smuove i presenti. Anzi, il commento più diffuso è qualcosa di simile a: “calma calma, che tanto stanno qui per i neri… è solamente la finanza”. Dopo una giornata di caccia all’illegalità, all’ora della chiusura dei negozi, gli agenti restano in una via Roma finalmente bonificata dai venditori lasciandosi sfiorare dai motorini sfreccianti nell’isola pedonale. Fumano una sigaretta osservando insensibili le facce truci che ritirano gli incassi dai negozi dei brand nostrani. La dinamica, dietro un apparente e banale segregazione, nasconde in realtà un fenomeno interessante e contraddittorio.
Gianni e i suoi colleghi vendono principalmente due tipi di prodotti: le cineserie – occhiali, ninnoli colorati, fesserie plastiche che emettono suoni – tutta roba proveniente direttamente dai container stoccati in porto; e poi c’è il mercato della contraffazione, che, a sua volta, alimenta un mercato del lavoro fatto tanto di abilità di lavoratori e lavoratrici quanto di salari che diventano mesate a nero. Gianni le cose che vende le compra da un parente della sua padrona di casa, un commerciante della Ferrovia. Da lui compra stock interi di roba a pagherò, saldando il debito poco alla volta, mese dopo mese. In tal modo Gianni contribuisce ad un primordiale ma efficace sistema di credito parallelo, chiaramente esentasse. Per prendere la merce si fa accompagnare da un napoletano con l’automobile. Di solito è uno dei parcheggiatori abusivi che lavorano nella zona del Municipio assicurando il posto-auto ai dipendenti pubblici e privati della zona. Alla Ferrovia ci va, di volta in volta, con una persona diversa; dipende da chi tra loro ha il turno in strada per scendere a faticare al parcheggio.
Mahinda/Gianni lo sa di essere all’interno di quell’intreccio di connivenze, pacche sulle spalle, miseri e grandi affari che continuano a dominare la società (e la politica) napoletana. Il potere criminale, tutto sommato, è una persuasione minacciosa fatta di piccoli gesti ormai accettati anche dal più legalista cittadino medio partenopeo. In più, i venditori migranti alimentano anche il mercato degli affitti irregolari nei quartieri popolari. Gli stessi delle bancarelle vivono spesso ammassati in bassi o piccoli appartamenti rialzati, pagando ‘o pigione a proprietari che sono anche mediatori dell’economia criminale. La padrona di casa di Gianni, ad esempio, è una vecchia matrona che tra le sue proprietà può annoverare quattro bassi a livello strada e due appartamenti nei piani alti di due robusti ed antichi palazzi dei quartieri. Figli, nipoti, generi e cognati sono implicati a vario titolo nella quotidianità sottoproletaria fatta di servizi resi alla trama criminale e piccoli colpi di testa, di frequente pagati con qualche mese o anno di galera. La cocaina è il business principe della zona, man mano che si sale nei vicoli ogni angolo può diventare quello giusto dove aspettare il proprio uomo. E la Guardia di Finanza raramente si addentra nei vicoli troppo stretti dove i Suv rigano le fiancate incastrandosi e strisciando sul tufo.
Ma nei quartieri Gianni si trattiene giusto il tempo del riposo. Nel suo tempo libero frequenta una conoscente slava, Irina, una donna bionda di mezz’età, una di quelle che suppliscono a carenze familiari e assistenziali dei tanti anziani della città. Il loro è un rapporto di mutuo sostegno, quasi un esercizio di resistenza alla solitudine, fatto di passeggiate e altri incontri che vanno avanti in un italiano smozzicato diventato lingua franca tra due mondi. Una domenica qualsiasi sono andati insieme al mercato dei russi di via Brin, un po’ per delle commissioni un po’ per acquistare prodotti altrimenti introvabili. Nel caos organizzato che regna nel mercato si sono avvicinati alla zona delle partenze e degli arrivi dei pullman dall’est; due grossi automezzi stazionavano raccogliendo uomini, merci e denaro per i trasferimenti oltre frontiera. Gianni i pochi soldi che manda in patria li trasferisce utilizzando il sistema del money transfer, una sorta di banca di transito creata per le rimesse dei nuovi migranti. Irina, al contrario, si affida ad intermediari privati. Gli autisti dei bus raccolgono buste su buste piene di denaro da cui prelevano il cinque per cento per sé, mentre un altro due per cento va nelle tasche di un losco napoletano che mantiene l’ordine delle file e dei posti di parcheggio dei bus. Ogni busta ha mittente e destinatario, e sembra che il sistema funzioni efficacemente, sempre esentasse. Gianni e Irina si trovano quindi, nella loro quotidianità, ad alimentare un circolo economico sui generis, tollerato, quasi auspicato dal sistema di connivenze che lega la società legittima agli interessi criminosi. D’altra parte i due sono uno dei segni della modernità che si adatta agli usi e alle relazioni ancora biecamente arcaiche del nostro territorio. (-ma)
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