Una collega mi ha mandato un messaggio davvero lapidario: «Si parla troppo».
I bibliotecari hanno un rapporto travagliato con il silenzio, soprattutto con il loro. Sono giorni che ci penso. Da bambini tutti i miei zii avevano un soprannome, mia madre, per esempio, la chiamavano la mussilla, per anni ha deciso di non parlare. Venendo da giù, racconta che non la capivano – «Napoli colera vergogna dell’Italia intera», così ha reagito smettendo di parlare. Credo che per molti di quella generazione la lingua sia uno dei rimossi con cui fare ancora i conti.
In questo periodo è successa una cosa che non mi aspettavo: silenziosamente, alcuni bibliotecari hanno intrapreso azioni piratesche. Non tutti e non la maggioranza, ma alcuni hanno iniziato a rovesciare il piatto, hanno consegnato libri di nascosto, hanno letto al telefono e hanno tenuto le porte socchiuse. Pecco sempre di romanticismo quando ti mando queste mie, devo cercare di rimanere ancorato ai fatti e non alle voci; il nostro in fondo non è un lavoro eclatante.
Prima di salutarti ti mando un breve schizzo a proposito dei silenzi. Da poco mi hanno raccontato la storia di un vecchio ospedale partigiano sulle montagne, verso la Francia, e di una biblioteca spostata – assieme alle medicine, alla paura e ai feriti – senza che nessuno se ne accorgesse. La storia fa così. Nel 1944 i partigiani espropriarono la villa di proprietà dei fratelli Cibrario e la trasformarono in un ospedale con sessanta posti letto, sale operatorie, stanze per i feriti, un locale per la disinfezione e per la sanificazione. Tennero l’ospedale per molti mesi. Quando lo dovettero lasciare, venne trasferito in una specie di santuario a duemila e quattrocento metri d’altezza. Era un rifugio di proprietà di una società idroelettrica da cui si accedeva in maniera protetta attraverso un passaggio sotterraneo, quasi una catabasi. Lo tennero per qualche tempo tra sale operatorie, degenti, radio e una biblioteca circolante. Se questa non è un tipo di azione antisilenziosa, non ho idea di cosa possa esserlo. (luca valenza)
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