Non ti scrivo da mesi. Il racconto breve è roba da persone costanti che si prendono cura del tempo, all’opposto la poesia ha qualcosa di scostante e assolutorio. Ora leggo nuovamente poesia, sarà per noia o per diletto, ma a questo proposito ti racconto una storia.
Tra i lavori che ho svolto, come quello nella fabbrica di polveri, una volta sono stato una cavia da ospedale e lì ho incontrato un poeta. Cominciamo dal principio. Una sera un conoscente mi chiama per dirmi che cercano gente per testare un materasso, e pagano; l’offerta è curiosa e quindi chiamo, vado e firmo. Mi danno appuntamento per la sera e mi chiedono di arrivare in reparto passando da una porta laterale e da un lungo corridoio con le piastrelle rotte e la luce verde. Così faccio, entro in questa lunga stanza, mi attaccano ad alcune macchine e spengono la luce. Ricordo la sensazione di essere osservato. La mattina accendono di colpo tutto, tolgono i cavi e ne collegano di nuovi a una centrale portatile per il monitoraggio diurno. Così faccio per tre notti e relative mattine, per circa cinquecento euro puliti.
In uno di questi viaggi ho conosciuto il poeta. Raccontava, senza la smania di essere ascoltato, di quando era arrivato la prima volta alla stazione di Torino Porta Nuova, dei rumori continui della fabbrica, del suo primo caffè alla macchinetta, di quando aveva incontrato Luigi Nono, di una musica per soprano e di un nastro magnetico a quattro piste. Raccontava di sé e della sua salvezza.
Non è il primo di loro che ho incontrato, conoscevo un poeta in una biblioteca in cui ho lavorato: era un gran lettore, un volontario, fumava mozziconi di sigarette, non aveva la lavatrice e spesso neanche la luce, rubava il tonno al supermercato, conosceva gli scrittori polacchi e scriveva poesie. Ci sono molti volontari nelle biblioteche, i più sfortunati tra i volontari sono quelli pagati, lui era felice, scriveva una poesia al giorno tutti i giorni. Alcune belle e altre brutte, scriveva del vuoto, dello scomparire piano, di amori perduti, di tonni rubati e del ritrovarsi da soli. Prima di salutarci, dopo aver sistemato tutti i libri, ripeteva sempre, per commiato, un brano di Bruno Schulz: “Il bello è malattia, è un brivido di segreta infezione, un oscuro annuncio di decomposizione, che si leva dagli abissi della perfezione e dalla perfezione è salutato con un sospiro di infinita gioia”. Concludeva poi raccontando che Schulz venne ammazzato da un nazista mentre tornava a casa con un pezzo di pane duro. (luca valenza)
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