«Bisogna sapere la verità, bisogna sapere come è morto un nostro fratello», il grido di rabbia composta rivolto verso l’ospedale Loreto Mare, il cui ingresso è presidiato dagli agenti di polizia della Celere, con tanto di caschi e scudi, risuona netto nel caldo insopportabile. Una scritta nera su uno striscione bianco recita “Verità e Giustizia per Ibrahim. Basta razzismo”. Qui, l’altra notte, è morto a soli ventiquattro anni Ibrahim Manneh, ivoriano, «un ragazzo gentile, era in Italia dal 2010, parlava cinque lingue, quando veniva allo sportello dava una mano a tradurre le informazioni ad altri rifugiati», nel ricordo dei compagni dell’ex Opg, che, assieme agli amici e ai familiari, hanno organizzato un presidio-conferenza stampa. Una storia assurda, in ogni punto della sua trama, che da banale si fa tragica.
Ibrahim domenica scorsa, 9 luglio, avverte forti dolori addominali e si reca al Loreto Mare. Qui, dopo una iniezione, senza che gli vengano fatte analisi, viene rimandato a casa. I dolori però non si attenuano, le sue condizioni peggiorano e il fratello e gli amici, chiamati in aiuto, lo portano in una farmacia di Porta Garibaldi. Il farmacista non apre la porta, ma viste le condizioni del ragazzo, chiama (o dice di chiamare) un’autombulanza che però non arriverà mai. Gli amici provano a rivolgersi allora ai carabinieri che non sono disponibili ad aiutarli. Contattano un tassista che prima si dice disposto a portarli al Pronto Soccorso (ovviamente a pagamento) poi si tira indietro perchè «non ha l’autorizzazione della polizia». Un secondo farmacista, al quale si rivolgono, gli vende alcuni farmaci che però non producono effetto, anzi. Tornato a casa Ibrahim comincia a vomitare, inutili anche qui i tentativi di chiamare un’ambulanza, la risposta dal 118 è che occorre prima andare da una guardia medica. Così, gli amici di Ibrahim lo portano, trascinandolo di peso, alla guardia medica di turno a Piazza Nazionale che, vista la gravità della situazione, allerta subito l’ambulanza che finalmente arriva. Alle 2:30 del mattino Ibrahim entra al Loreto Mare, per essere operato di urgenza, per una sospetta peritonite. Solo dieci ore dopo qualcuno troverà il tempo di dire a suo fratello Bakary, che ha atteso l’intera notte, che Ibrahim è morto.
Se finisse qui questa storia, tra “malasanità” e razzismo, sarebbero già tante le domande da porsi, ma non finisce qui. Dagli uffici della Questura, secondo quanto riferito, si rifiutano di raccogliere la denuncia presentata dagli attivisti, dai familiari e dagli amici di Ibrahim, dicono che bisogna presentarla al presidio di polizia del Loreto Mare. Si torna, dunque, al Loreto Mare, dove nel frattempo si sono radunati gli amici di Ibrahim e della comunità ivoriana. Qui, però, la polizia presente sul posto comunica un nuovo cambio di procedura. La denuncia va presentata in questura – dicono – non senza aver prima identificato, con modi bruschi, l’avvocato Stella Arena, incaricato di seguire il caso. Le dicono anche, riferendosi ai migranti presenti fuori l’ospedale, «dovete farli andare tutti quanti a casa, altrimenti interveniamo noi, poi non vogliamo sapere niente di video e reato di tortura».
Per oggi, 12 luglio, alle ore 16, l’ex Opg ha promosso un corteo che partirà da piazza Garibaldi. Tra le prime voci di solidarietà, quella di Abou Backar Soumahoro, dell’esecutivo nazionale USB e portavoce della CISPM (Coalizione Internazionale Sans-papiers, Migranti, Rifugiati e Richiedenti asilo) che parla di una morte evitabile che “grida vendetta” e punta il dito contro “lo smantellamento della sanità pubblica, con tagli, licenziamenti e privatizzazioni”. Silenzio, per ora, sul versante istituzionale, se non fosse che, per una beffarda coincidenza, proprio oggi il ministro della Salute, Beatrice Lorenzin, ha annunciato la presentazione delle linee-guida «per fornire raccomandazioni sui controlli sanitari di profughi e richiedenti asilo intercettati dal sistema di accoglienza italiano e fugare così tutte le incertezze in materia» prendendo «in considerazione le principali malattie infettive e diffusive».
Chi sa se predono in considerazione anche il razzismo. (dario stefano dell’aquila)
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