da: Wots Magazine
Sabato 1 ottobre 2016, Il Post, noto quotidiano online diretto da Luca Sofri, pubblica un articolo dal titolo L’Argentina sta tornando un Paese normale?. Ad accompagnare la descrizione del “Cammino verso difficili ma apprezzabili misure economiche finalmente intraprese” – cito – una foto di un sorridente Mauricio Macri, neopresidente argentino, eletto nel dicembre del 2015.
A dispetto del pacatissimo e cautamente ottimista ritratto che ne fa l’articolo, Macri non è un “politico pragmatico e moderato” – non cito –, ma l’impersonificazione di un colpo di spugna da dare a 12 anni di governo dei Kirchner, Nestor e Cristina.
Ma chi sono i Kirchner?
In un guscio di noce – efficace metafora anglofona che vale il nostro più barocco “in estrema sintesi” – il governo di Nestor Kirchner, dal 2003 al 2007, prende in mano un paese collassato sotto il peso della tremenda crisi economica del 2001 e, con politiche di forte sviluppo di impronta socialdemocratica e peronista, lo riporta a una situazione sopportabile. La società, nel frattempo, si è mobilizzata, organizzata e attivata come poche altre volte nella storia. Da una parte, il governo mette a posto i conti, si allinea alla “marea rosa” delle sinistre latinoamericane, caccia a calci il Fondo Monetario Internazionale restituendo in una sola botta il prestito contratto durante la crisi. Dall’altra, la società argentina ricostruisce pezzo per pezzo i legami sfibrati dalla crisi, ma non si ferma, e addirittura rafforza la già profonda capacità di reazione del popolo argentino alla violenza e ai soprusi del potere neoliberista.
Poi arriva Cristina, moglie di Nestor, che subentra al marito durante le elezioni del 2007. Rimarrà in carica sino al 2015, tenendo la barra a dritta verso la direzione intrapresa da Nestor: supporto ai lavoratori, ai disoccupati, al consistente strato debole del paese. Le riforme dei Kirchner, soprattutto quelle di Cristina, non sono esenti da molte ombre e contraddizioni, contraddistinte da un culto della persona e del potere assoluto che piace e non piace agli argentini.
Mettiamo però un attimo da parte l’opinabile gestione del potere dei Kirchner, perché c’è una cosa che fa Nestor durante il suo primo mandato, ed è degna di nota. Annullando le Leyes de la impunidad di Menem (presidente pre-crisi del 2001 che molti argentini non vogliono neanche sentir nominare) riapre de facto i processi ai criminali di guerra della dittatura argentina del 1976-83. La storia è più complessa di così, ma è innegabile che l’atteggiamento dei Kirchner verso i desaparecidos sia stato più confortante rispetto a praticamente ogni altro governo post-dittatura.
Quando Il Post pubblica l’articolo su Mauricio Macri, subentrato a Cristina nel 2015, scrive che il neopresidente ha “un atteggiamento piuttosto controverso nei confronti della sanguinosa dittatura di Jorge Rafael Videla”. Per dirla meno pacatamente, Macri non è dalla parte dei desaparecidos (sostiene per esempio che siano stati al massimo novemila, non trentamila come universalmente riconosciuto), e immagino provi un senso di fastidio quando vede che imperterrite, ogni giovedì da quarant’anni, le Madri fanno la loro ronda in plaza de Mayo.
Macri sale al potere, cancella i sussidi alle classi povere, avvia una sfolgorante era di austerità, rinsalda i rapporti con le destre latinoamericane e gli Stati Uniti, addirittura invita il Fondo Monetario Internazionale a fare un giro per i conti del paese, per dimostrare a (presunti) investitori stranieri quanto l’Argentina sia pronta, finalmente, a rituffarsi nel magico mondo del turbocapitalismo neoliberista. Ma succede un’altra cosa degna di nota durante il suo primo mandato: sparisce un ragazzo. E non sparisce per caso.
Il 1 agosto 2017 Santiago Maldonado, un attivista, sta manifestando nella provincia di Chubut, in Patagonia. Si è unito a un gruppo di Mapuche, la Resistencia Ancestral Mapuche, in lotta per riavere le loro terre che ora sono di Luciano Benetton (quello della Benetton? Proprio lui. Ci arriviamo). Santiago sta manifestando, arriva la Gendarmeria Argentina – gente tradizionalmente poco simpatica – e se lo porta via. Se lo llevaron, come scriveva Carlotto raccontando dei desaparecidos nel bellissimo e agghiacciante Le irregolari. Questa è la storia. I dettagli, costruiti e decostruiti ad arte in collaborazione con larga parte dei mezzi d’informazione nazionali, contano veramente poco.
Santiago sparisce ma l’Argentina non tace
Cominciano le manifestazioni, le assemblee, un processo di resistenza attiva al silenzio. Molti dei media nazionali sono obbligati a cambiare strategia: dal torpore iniziale passano a una complessa costruzione di specchi per le allodole in cui si nomina la sparizione senza chiamarla tale, e non di rado arrivano vicinissimi ad accusare Santiago di terrorismo, facendo intuire che in fondo è tutta colpa sua, se l’è cercata, ed è forse anche giusto che sia finita così. Quelli che privilegiano questo racconto evidentemente scarseggiano di fantasia, perché sono le stesse cose che si dicevano dei desaparecidos all’epoca della dittatura.
Macri, intanto, tace. Si fa strada nel cuore di molte persone, però, che l’Argentina stia rischiando qualcosa di più delle ingiustificabili e opprimenti riforme neoliberiste del nuovo governo. Un’enorme massa di argentini scende in piazza, facendo di Santiago un simbolo della lotta contro questa nuova oppressione. Plaza de Mayo viene invasa di persone, poi di nuovo poco fa, a distanza di due mesi, il primo ottobre. La potenza della società civile organizzata è sinceramente da brividi da queste parti. Lo è anche perché ciò che deve affrontare è stato, e teme di nuovo sia, assolutamente spaventoso. Dice una scritta su un muro: «I 30.000 cominciarono con uno».
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