Paolo Berdini è stato per alcuni mesi assessore all’urbanistica di Roma, nominato da Virginia Raggi all’indomani della vittoria dei Cinque Stelle nel giugno 2016. Ma Berdini è anche un urbanista che con rigore e passione ha combattuto negli ultimi vent’anni contro la degenerazione e la svendita della città pubblica, mettendo a disposizione le sue competenze a quanti hanno deciso di mettersi di traverso a un percorso apparentemente inarrestabile. La sua breve partecipazione alla giunta Raggi rappresenta quindi un banco di prova non solo per capire lo stato dell’arte delle politiche urbanistiche nella Roma attuale ma anche per valutare le dinamiche dell’incontro tra una coscienza critica come quella di Berdini e un incarico istituzionale come quello che gli è stato proposto e che ha accettato.
Il racconto di questo incontro è stato sviluppato dallo stesso Berdini in un libro pubblicato dalla casa editrice Alegre: Roma, polvere di stelle. La speranza fallita e le idee per uscire dal declino. Il volume è ben scritto e organizzato attorno a quattro nodi centrali: la storia passata e recente dell’urbanistica nella città di Roma, inquadrata anche alla luce del contesto nazionale e internazionale; il diario dei sei mesi trascorsi al vertice dell’assessorato; le ragioni dell’incomprensione e dello scontro con Virginia Raggi e i suoi consiglieri; le opzioni alternative che le politiche della città potrebbero perseguire per invertire la rotta del declino e della privatizzazione.
Dal pubblico al privato
La storia dell’urbanistica nella Roma post-unitaria è articolata e puntuale, soprattutto nella parte che riguarda la fase più recente. La continuità di governo, nelle scelte e nelle prospettive, tra gli anni di Veltroni e quelli di Alemanno è sottolineata ricorrendo a esempi concreti: varianti, compensazioni, investimenti, affidamenti, valorizzazioni che hanno avuto come unico orizzonte il ridimensionamento dell’interesse pubblico e della mediazione politica a favore degli interessi di alcune grandi imprese private che hanno nell’edilizia romana il baricentro dei propri affari. Nel racconto di un secolo e mezzo di urbanistica si avverte un’enfasi notevole sulla sequenza di errori e di occasioni mancate, a scapito delle rotture e delle conquiste che comunque ci sono state e che occorrerebbe ricordare meglio: non compaiono mai, per esempio, le grandi mobilitazioni che hanno imposto la costruzione delle case popolari e la liberazione dal cemento di migliaia di ettari di verde, acquisiti al pubblico e oggi a rischio in tutto il perimetro comunale.
La continuità nelle scelte di governo del territorio non si ferma con l’elezione di Marino né con quella della Raggi. Nonostante le promesse della campagna elettorale anche la giunta Cinque Stelle si muove nel solco degli equilibri imperanti da decenni, rinnovando nei fatti decisioni e visioni orientate al taglio delle politiche sociali, alla sudditanza verso lo strapotere del privato in campo edilizio, alla riorganizzazione dei servizi per i cittadini quali quelli sui trasporti e sui rifiuti su basi esclusivamente liberiste.
La città reale e la città ideale
La lezione principale che il lettore ricava dalle pagine di Berdini è l’evidenza di una continua e drammatica scissione tra la città reale e quella ideale. Tale scissione esplode con forza nelle pagine in cui viene ricostruita la partecipazione alla giunta presieduta da Virginia Raggi. Berdini passa in rassegna le varie figure che a suo avviso hanno di fatto commissariato la sindaca, depotenziando quella possibile rottura di equilibri che la vittoria elettorale del 2016 aveva fatto balenare. Avvocati, dirigenti comunali, faccendieri hanno preso in mano le redini della giunta fino a determinare l’esito della partita più grande: il nuovo stadio della Roma nella zona di Tor di Valle, approvato grazie al diktat della proprietà giallorossa secondo le volontà dei costruttori che ne hanno pilotato la progettazione, forti anche di un battage mediatico che ha coinvolto giocatori e allenatore.
Nei suoi mesi da assessore, Berdini si scontra con rapporti di forza, interessi, alleanze che confliggono con la sua idea di città. Lui sembra non accettare questa realtà e si aggrappa alla speranza che alcune singole personalità possano invertire la rotta. Ripone speranze in Marcello Minenna e Carla Raineri (assessore al bilancio e capo di gabinetto del sindaco), che tuttavia si dimettono prima di lui. Di fronte a un quadro sempre più compromesso, continua a pensare di poter intervenire, ormai praticamente da solo, immaginando anche di poter volgere a vantaggio della città un progetto scriteriato e raffazzonato come quello delle Olimpiadi a Roma, sulle quali prende una posizione possibilista, diversamente dalla stessa sindaca. Si tratta di una scelta francamente incomprensibile o forse comprensibile alla luce di una percezione evidentemente alterata del proprio ruolo e delle proprie possibilità.
Nel volume, soprattutto nella parte finale, Berdini si sofferma sulla costruzione del consenso che il “partito unico della speculazione” riesce a mettere in campo ogni volta che nella città bisogna decidere le sorti di grandi e piccoli progetti urbanistici. Non solo calciatori ma anche blog come Roma fa schifo, giornali come Il Messaggero, Il Tempo e la Repubblica hanno gestito in modo corale e persuasivo quelle campagne di comunicazione che hanno delegittimato agli occhi dell’opinione pubblica le posizioni di Berdini e la stessa possibilità di una visione alternativa alla speculazione e alle guerre contro i poveri che sono avvenute a Roma negli ultimi anni (il libro si apre con il racconto dello sgombero di piazza Indipendenza dello scorso agosto).
Incidere, oltre la delega
Oggi evidentemente non è in alcun modo possibile pensare di poter trasformare dall’interno una macchina gigantesca e articolata come quella del governo capitolino. O almeno, non è possibile se il mandato popolare è quello di una delega in bianco, basata esclusivamente sul requisito dell’onestà. Non è giusto però fermarsi di fronte a questa evidenza, alla quale accenna nelle conclusioni anche l’autore, che pure confessa di essere stato messo in guardia da tante persone prima di accettare l’incarico. Le energie di quanti intendono costruire un’alternativa anche solo in campo urbanistico, in che modo possono allora agire concretamente? Occorre continuare a cercare una risposta, nella speranza che i movimenti sociali che scelgono di giovarsi del sostegno di figure come Berdini sappiano allargare le basi della mobilitazione, imponendo il tema della città pubblica alla classe dirigente senza limitarsi a coltivare piccole rendite o a delegare la partecipazione. Il caso Berdini dovrà fare scuola: anche l’assessore più competente e più disponibile, in assenza di un contesto capace di produrre conflitto, è privo di qualsiasi margine per incidere sulla realtà.
La lotta per il lago della ex Snia citata nel volume (ancora tutta aperta e da vincere, tra l’altro) ci insegna che i nodi vengono al pettine solo quando le mobilitazioni riescono ad avere una consistenza ampia e un sostegno di massa non limitato solo al mondo degli intellettuali o dei tecnici illuminati. “L’urbanistica è diventata una scienza di massa”, diceva a Ugo Gregoretti nel 1976 in Dentro Roma un militante del comitato di via di Portonaccio (proprio dove sorge oggi il lago ex Snia). Negli ultimi anni il percorso di chi ha scelto di combattere la speculazione edilizia si è spesso arenato sui numeri e sulla partecipazione. Il lavoro di Berdini, in quest’ottica, può diventare testimonianza e strumento di conoscenza. Ma va letto rovesciando l’impostazione che troppo spesso caratterizza lo sguardo dell’opinione pubblica colta e di sinistra, capace solo di rivendicare la correttezza delle proprie ragioni e denunciare la stoltezza delle masse che seguono altre vulgate. (michele colucci)
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