«Ecco a voi il lotto numero tre: ottimo intelletto, di buona famiglia, carattere difficile, ancora vergine, millecinquecento ducati in dote… nessuno la vuole? Signorina la dichiaro non sposata!». (Marta Cuscunà, La semplicità ingannata)
A volte tramandare una storia può essere un atto sovversivo. Soprattutto se quella storia è stata taciuta, o raccontata sempre dal punto di vista dei soggetti dominanti. Verso la metà del Cinquecento alcune monache Clarisse del Monastero di Santa Chiara di Udine – monache di clausura, non per vocazione ma per costrizione – compirono un piccolo miracolo. Si dotarono di libri proibiti di ogni tipo e iniziarono a leggerli e a farli circolare tra di loro, diventando così un piccolo polo culturale d’avanguardia, in un’epoca in cui alle donne non era concessa la minima facoltà d’intelletto, oltre che di scelta libera delle sorti della propria vita. Usarono quella prigione come una fortezza in cui praticare la propria autodeterminazione attraverso la conoscenza: erano talmente avanti che le famiglie più nobili e facoltose della città mandavano i figli a studiare da loro. La loro fama si sparse in tutto il Friuli e oltre: ben presto due inquisitori provarono a processarle per eresia. Anche grazie al supporto di tutta la città – crogiuolo all’epoca di libero pensiero e cultura – le monache furono assolte. Per anni, riuscirono a mandare avanti un sistema alternativo ai dogmi di quella società sessista e retrograda, non molto dissimile, in quanto a stereotipi di genere, da quella in cui viviamo oggi.
Di questa storia, come di tante altre, poco si sa: fu secretata e poco è rimasto agli atti. Anche per questo è notevole il lavoro che sta alla base de La semplicità ingannata, “seconda tappa del progetto sulle Resistenze femminili in Italia” di Marta Cuscunà, che mette in scena la storia delle Clarisse, a partire dal libro Lo spazio del silenzio di Giovanna Paolin. Classe ’82, l’attrice, performer e regista friulana pluripremiata per l’impegno civile del suo teatro, da anni porta avanti un lavoro di ricerca sulla questione femminile unico nel suo genere, che vede il teatro e la narrazione in forma artistica come lente d’ingrandimento (e di capovolgimento) della Storia, passata e presente.
Dopo una prima parte monologante in cui la Cuscunà ricorda la penosa sorte di ogni donna in epoca medioevale e rinascimentale, l’attrice scompare per far parlare direttamente le protagoniste. La scena è abitata da sette bellissimi pupazzi di monache/pipistrelli dai lineamenti Tim Burtoniani che Marta Cuscunà anima come un’abilissima ventriloqua con voci e toni diversi. Se la prima parte è storica, la seconda è fantastica. Esilarante. Come la scena in cui l’autrice riscrive e immagina il processo alle sei Clarisse che, nel performare la parte di donne addomesticate e senza intelletto, prendono beatamente per i fondelli lo scatenato (e incredulo) inquisitore che le descriveva diaboliche e sovversive.
Il lavoro semplice, diretto e dissacrante, presenta livelli multipli di complessità che girano tutti attorno al tema della narrazione come (auto)determinazione. Il recupero della Storia; la ricostruzione immaginifica delle singole storie che la compongono; la costruzione di una doppia modalità di narrazione tra monologo e un uso completamente sperimentale del teatro di figura che la Cuscunà ha approfondito all’estero. In Italia è probabilmente una delle poche artiste che affronta le questioni di genere senza retorica né pigli radical chic e accademici, assai diffusi nell’ambito performativo. In questo lavoro troviamo rigore, spessore e immaginazione nelle giuste dosi, assieme a un evidente invito a problematizzare il presente che stiamo vivendo, in cui l’oscurantismo ha solo cambiato forme e modalità e di certo non bastano le parate dell’otto marzo per cambiare lo stato delle cose.
Lo spettacolo, debuttato nel 2012, ha fatto incetta di premi e di pubblico, anche scolaresco, eppure quella del 10-11 marzo è stata la prima di Marta Cuscunà in tutta la Campania: al combo Teatro Area Nord/Interno 5 va ancora una volta il merito di averla invitata nella loro stagione. In questi giorni i Teatri Uniti della Basilicata hanno ospitato tutto il trittico del Progetto sulle Resistenze femminili a Matera, progetto che, oltre a La semplicità ingannata, comprende È bello vivere liberi (2009) e Sorry, boys (2016). Un lavoro necessario, più che mai in questo momento storico. Chissà quando lo vedremo per intero, anche da queste parti. (francesca saturnino)
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