Che cos’è un uomo in rivolta? È innanzitutto un uomo che dice no. Ma se rifiuta, non rinuncia: è anche un uomo che dice sì. (albert camus)
Si presenta venerdì 6 dicembre a Napoli, (alle ore 17, presso la sala Nugnes del palazzo comunale di via Verdi), Umanità in rivolta. La nostra lotta per il lavoro e il diritto alla felicità (Feltrinelli), il libro manifesto di Aboubakar Soumahoro, attivista sindacale (Unione Sindacale di Base), impegnato in particolare nell’organizzazione dei lavoratori agricoli e nella lotta contro lo sfruttamento e il caporalato. Alla presentazione interverranno i lavoratori della Whirpool, Covisian Arzano, Sirti, imprese in stato di crisi e di protesta.
Dopo un impegno politico e sindacale di oltre quindici anni, Aboubakar Soumahoro è divenuto un protagonista nazionale delle lotte dei braccianti quando, dopo l’omicidio di Soumaila Sacko, bracciante e attivista sindacale, rinfacciò all’allora ministro Salvini il suo slogan contro i migranti (“La pacchia è finita!”). Da quel momento, molti hanno definito Aboubakar Soumahoro il “sindacalista dei migranti”, commettendo, magari in buona fede, un errore di interpretazione e di prospettiva. Perché Aboubakar Soumahoro è molto più di questo e il suo libro sta a testimoniare una maturità di analisi sociale e politica di chi sa ragionare sulla complessità del mondo del lavoro nel suo insieme.
Perché il libro, che pure è attraversato da riflessioni autobiografiche, è un breve saggio che parte dall’analisi del mondo della filiera agricola e della grande distribuzione organizzata, per arrivare ai lavoratori precari di ultima generazione, riders e lavoratori della logistica. Un mondo di sfruttamento, precarizzazione, isolamento, che non colpisce solo i migranti sebbene questi ne costituiscano la parte più ampia. Perché il processo di disumanità che colpisce il mondo del lavoro nasce da un sistema economico che sta trasformando gli uomini in merce e i lavoratori in schiavi. Da un lato, le grandi imprese globali, che in regime di semi-monopolio dominano il mercato dell’agro alimentare e impongono un sistema di prezzi che costringe i piccoli produttori a margini di guadagno irrisori e a paghe da fame i braccianti; dall’altro, migliaia di lavoratori privi di qualunque tutela sindacale, costretti a essere soli davanti al padroncino di turno.
Attenzione, sembra dire Soumahoro, quando per semplificare diamo la colpa dello sfruttamento al solo “caporale”. Se non guardiamo al sistema nel suo insieme, se non cogliamo le contraddizioni tra un sistema che genera miliardi di fatturato e che paga meno di tre euro l’ora lavoratori che lavorano per dieci ore consecutive nei campi, se non analizziamo il campo di forze e di poteri che definiscono gli equilibri attuali, non abbiamo la capacità di dare le risposte che servono. Stesso discorso vale per i conflitti della logistica sempre più duri e aspri (nel libro si ricorda Abd Elsalam Ahmed Eldanfe, travolto da un camion durante un picchetto sindacale), un settore fondamentale nel commercio on-line. Salari da fame e opprimenti condizioni di lavoro, a fronte di una crescita costante del volume di affari delle principali imprese del settore.
A questo processo di disumanizzazione, se ne affianca un secondo che questa volta è proprio della condizione dei migranti, un processo di “razzializzazione“ istituzionale che a partire dal 1990 fino ad arrivare al decreto sicurezza ha ridotto, compresso e differenziato i diritti dei migranti. Un processo normativo, analizzato con puntuale attenzione, che è stato condiviso da tutte le forze politiche di governo negli ultimi venti anni che ha trasformato centinaia di migliaia di esseri umani in persone invisibili, condannate ad un girone infernale di sfruttamento e ricattabilità. Questo fa si che i migranti siano doppiamente colpiti da questa disumanizzazione del mondo del lavoro.
Se c’è, dunque un filo sottile e saldo, dunque che lega le lotte e le ragioni dei braccianti con quelle degli altri lavoratori precari da dove partire per un cambio di direzione? Come impedire che chi lavora anche dieci ore al giorno non riesca a vivere dignitosamente del proprio salario (come avrebbe detto Giuseppe Di Vittorio, presenza costante in tutto il libro)? Aboubakar Soumahoro indica due obiettivi da raggiungere contemporaneamente. Bisogna recuperare l’agire sindacale, come dimensione di lotta e di partecipazione e non come comportamento burocratico e paternalistico. Se il mondo del lavoro vuole lavoratori isolati e atomizzati, l’agire sindacale deve unire e tenere assieme, unire le ragioni dei braccianti e dei riders, dei giornalisti precari e dei lavoratori della logistica. Così come bisogna respingere ogni tentativo di dividere il mondo in cittadini e stranieri (non prima gli italiani dunque ma prima gli esseri umani). In secondo luogo, questa umanità che si rivolta e che lotta non lo fa in nome di una felicità conquistata in modo egoistico, ma di una felicità che è frutto di un processo di liberazione collettiva da ogni forma di moderna schiavitù e di sfruttamento. Nessuno è libero se non sono liberi tutti. (dario stefano dell’aquila)
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