La notte a cavallo tra lunedì 18 e martedì 19 marzo, su disposizione del pubblico ministero del tribunale di Verona, Raffaele Tito, con un decreto di perquisizione locale e personale, sono stati sequestrati i telefoni cellulari e i computer di tre sindacalisti del Si Cobas di Milano, Pavia e Brescia. Dall’alba di venerdì 15, i tre sindacalisti avevano presidiato i quattro cancelli dell’azienda insieme ad altre decine di lavoratori, fino a ottenere un incontro in prefettura in data da stabilire.
La notifica del decreto si inserisce nel quadro del procedimento penale avviato il 29 febbraio, riguardante gli scioperi proclamati da sessanta lavoratori in sub-appalto presso la sede di Belfiore in provincia di Verona del gruppo Maxi Di S.r.l., operante nella grande distribuzione.
Ai tre sindacalisti vengono contestati i reati di nove scioperi non autorizzati, blocchi stradali, accensione di fuochi non autorizzati, violenza privata, violenza, minaccia e resistenza a pubblico ufficiale, e presidi non autorizzati presso gli esercizi commerciali riconducibili alla società Maxi Di. Le indagini sono partite a seguito delle denunce dell’azienda e delle società appaltatrici, in virtù di un danno di impresa provocato da diciassette scioperi. Secondo quanto riportato nel decreto di perquisizione, il sequestro delle apparecchiature telefoniche e dei device è giustificato per capire “quali siano le reali intenzioni, non tanto dei manifestanti, quanto quelle dei promotori; quale sia la responsabilità consapevole dei partecipanti; e soprattutto chi ne sia il regista occulto”.
Le agitazioni sono iniziate il 2 giugno 2023. Circa un centinaio di lavoratori, addetti al magazzinaggio con diverse mansioni, si sono organizzati per bloccare la produzione della cooperativa Skycoop, commessa dalla Maxi Di S.r.l. di gestire uno degli impianti di carico e scarico merci. I facchini della cooperativa hanno protestato per ottenere degli aumenti salariali attraverso un passaggio di livello per le mansioni coperte, in linea con quanto previsto nelle declaratorie della contrattualistica di riferimento. Inoltre hanno rivendicato l’elargizione di ticket mensa giornalieri, l’indennità di freddo per chi svolge il turno con temperature che vanno dai 5 ai -5 gradi, e un premio di risultato annuale in base al raggiungimento di un monte ore presenze, da concordare con l’azienda.
Dall’autunno fino al mese di dicembre, la cooperativa Skycoop avrebbe più volte rifiutato l’avvio di una trattativa con il sindacato. Spinte sono arrivate dal prefetto di Verona, nel tentativo di arginare le proteste dei lavoratori in funzione dei periodi di aumento e di calo dei volumi, ma tutte le convocazioni sono risultate “informali” e puntualmente annullate, motivo per cui i lavoratori si sono ricomposti in picchetto. Alla fine di gennaio, la società fornitrice ha annunciato un rapido cambio dell’appalto e il passaggio dei lavoratori alle dipendenze di una nuova società, la Manhandwork. Dal cambio-appalto, i lavoratori rivendicano ancora il riconoscimento sindacale, in assenza del quale l’azienda committente potrà, di fatto, rifiutarsi di trattare formalmente e siglare verbali e accordi migliorativi. Il sito Maxi Di a Belfiore conta all’incirca cinquecento operai, la cui parte maggioritaria ha già aderito al Si Cobas, fa sapere il sindacato.
Nel corso degli scioperi, gli operai sono stati più volte costretti ad azioni radicali per rispondere al dispiegamento dei reparti antisommossa chiamati da più aziende del polo logistico di Belfiore e da singoli autotrasportatori. In due episodi, alcuni lavoratori e uno dei tre indagati tra i sindacalisti, sono stati ammanettati e rilasciati dopo alcune ore di fermo in questura. Nel motivare i capi d’accusa, viene riportato dal procuratore che a ogni tentativo di disperdere i partecipanti, questi si sono velocemente riorganizzati a distanza di centinaia di metri dai cancelli di Maxi Di e nelle vicinanze del centro abitato, talvolta sdraiandosi sul manto stradale per bloccare i veicoli e “addirittura, ancorandosi alla parte sottostante dei mezzi rischiando per la loro stessa incolumità”. A febbraio, anche il sindaco Alessio Albertini ha denunciato a mezzo stampa il verificarsi di disordini e ha richiesto un incontro urgente al prefetto di Verona: “Si fa appello alla responsabilità di ciascuno affinché Belfiore continui a essere un luogo tranquillo, ordinato e pacifico”.
Nel testo redatto dal procuratore viene anche menzionato l’episodio risalente alla notte tra l’1 e il 2 febbraio. In quell’occasione, una guardia giurata ha estratto una pistola e l’ha puntata contro alcuni dei presenti in presidio presso lo stabilimento. I titoli dei giornali locali testimoniano, anche con video fatti circolare dai lavoratori, che il grave episodio si è registrato in un clima di “protesta pacifica”, eppure nel provvedimento si sottintende come l’uomo abbia reagito a una paventata minaccia per legittima difesa, dopo aver provato a spegnere un falò intorno al quale gli operai si erano raccolti per riscaldarsi dal freddo. La guardia giurata ha sporto denuncia per l’accaduto perché “accerchiato, offeso e spintonato”, si legge, “tant’è che estraeva la pistola in dotazione individuale per alcuni istanti”.
Negli ultimi mesi, i lavoratori hanno presidiato con megafoni e volantini alcuni dei punti vendita nel veronese, come Galassia e Iperfamila, ricondotti al gruppo Maxi Di. Per i lavoratori è stato importante denunciare, alle persone che si recano a fare acquisti, che dietro le brochure dei prodotti in offerta stampati dalle grandi catene di supermercati, troppo spesso si nascondono paghe da fame per chi lavora nella distribuzione e nei depositi della movimentazione merci. Anche in queste occasioni, non sono mancate le segnalazioni e le identificazioni a danno dei partecipanti. Spesso, invece, a mancare sono stati i prodotti sugli scaffali.
I provvedimenti di sequestro dei cellulari e i dettagli rispetto alle accuse del procedimento iniziato a fine febbraio danno la misura del clima all’interno del quale si intende collocare l’intensificarsi delle lotte degli operai di questo territorio, e di come il lavoro delle procure si consolidi sempre più come uno strumento di gestione di una conflittualità che tanto la politica, quanto la “sicurezza pubblica” si rifiutano, e sono probabilmente incapaci, di gestire. Schiacciate da questa dialettica, però, rischiano di restare le vite dei lavoratori, delle lavoratrici e dei loro familiari, che anche in caso di archiviazione delle inchieste o di assoluzioni, pagano un prezzo altissimo per le lotte che decidono di portare avanti in termini di condizionamento delle proprie esistenze personali. (alessandra mincone)
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