“Lo Stato sta impedendo lo sbarco dei passeggeri di una nave Ong, bisogna andare a portare solidarietà”. È questo il messaggio arrivato la sera di sabato 5 novembre sul telefono di molti e molte di noi. Il varco 4, quello più vicino all’Humanity One, in men che non si dica si colma di solidali. Quel messaggio di poche parole si trasforma in un presidio che stazionerà nel porto di Catania per giorni, fino a che l’Humanity One e la Geo Barents – altra nave sbarcata poco dopo, con a bordo cinquecento persone – non riprenderanno il largo senza nessuno a bordo.
Quasi subito arrivano anche giornalisti e politici: il caso diventa nazionale e la posta in gioco sembra alzarsi. L’indicazione che arriva dal governo è di far sbarcare solo i soggetti “vulnerabili” della Humanity One: donne in gravidanza, minori e persone con disabilità. A queste indicazioni seguirà un decreto interministeriale che dispone l’allontanamento della nave dal porto, disatteso però da capitano ed equipaggio. Nessuno ha intenzione di muoversi e a rompere il silenzio sono singoli, collettivi studenteschi, associazioni e antirazzisti di tutte le età. Dalla nave rispondono lanciando richieste di aiuto mentre il presidio cresce sempre di più. Nel pomeriggio della domenica ad attraccare è la Geo Barents che sbarca duecentosettanta persone su cinquecento, secondo gli arbitrari criteri di “vulnerabilità” applicati il giorno prima. Anche il varco 10 si riempie di cartelli, striscioni e cori.
Un grande cancello e un grosso dispiegamento di polizia dividono i solidali dai migranti. Se ne accorgono tutti, anche chi ancora è sulla nave. “Help us!” è il grido di protesta e il testo che si legge nei cartelli che vengono esposti. “Freedom! Hurrya! Libertà!” si risponde dall’altro lato. La tensione sale: ancora una volta l’ordine di allontanarsi dato alle navi, ancora una volta il rifiuto.
Martedì 8 è il giorno del paradosso. Viene richiesto al presidio di spostarsi: lì dove ci sono gli attivisti e i solidali deve attraccare una nave da crociera. È così che si segna ancora di più quella linea di divisione tra migranti da respingere – o accogliere secondo i criteri più stringenti – e turisti da ospitare in quello che deve essere uno scenario pacificato e da vetrina – una qualunque città mediterranea da consumare, priva di conflitti. Nello stesso giorno si tengono anche le procedure sanitarie atte a verificare lo stato di salute fisico e mentale dei naufraghi a bordo della Geo Barents. Si tratta delle uniche procedure che renderebbero a questo punto autorizzabile lo sbarco di tutte e tutti. Dopo vari rimpalli di responsabilità tra livelli decisionali, i medici consegnano l’esito della loro missione a bordo: le condizioni di salute sono drammatiche e bisogna autorizzare lo sbarco.
Il presidio non molla fino alla fine: sono le 23 di martedì 8 novembre e siamo ancora in centinaia al porto quando a dividerci dai migranti, finalmente a terra, è solo il vetro dell’autobus e un sorriso di speranza e di forza.
Dopo quattro giorni, la vicenda delle due navi delle Ong bloccate al porto di Catania ha avuto un lieto fine. Tutti i migranti presenti a bordo, soccorsi in decine di operazioni di salvataggio nel Mar Mediterraneo centrale nelle ultime due settimane, sono stati fatti scendere a terra. Adesso potranno accedere alla procedura per la richiesta di protezione internazionale, un diritto riconosciuto dalle convenzioni internazionali sui rifugiati che lo stato italiano ha illegittimamente negato loro per ben settantadue ore. In precedenza, il ministero dell’interno aveva ostinatamente negato persino l’assegnazione di un porto sicuro alle navi umanitarie in attesa in alto mare da giorni, dopo aver soccorso e imbarcazioni di fortuna in difficoltà, con le quali i migranti erano partiti da Libia e Tunisia.
Nel frattempo, a dimostrazione della strumentalità della posizione del governo, nei porti di Augusta, Pozzallo, Lampedusa e Reggio Calabria sono approdate sul suolo italiano, autonomamente, con piccole imbarcazioni o soccorse dalla Guardia Costiera italiana, oltre diecimila persone. Abbiamo assistito, così, alla prima presa di posizione del nuovo governo sul tema dell’immigrazione – da sempre serbatoio per le fortune elettorali di tutti gli schieramenti – contraddistinta da questa inedita e giuridicamente bizzarra procedura di selezione tra i migranti, sulla base della loro fragilità sotto il profilo sanitario. Come era chiaro a tutti fin dall’inizio, questa nuova prassi introdotta con un decreto interministeriale d’urgenza, ed emanato ad hoc per le Ong, non presenta alcun requisito giuridico che ne giustifichi l’operatività. D’altronde, la violazione dei principi giuridici e umanitari di base in tema di rifugiati, e più generalmente di fenomeni migratori, sembra essere un tratto distintivo dei governi italiani di ogni colore politico. Tutti gli interventi che hanno animato il presidio permanente hanno ricordato la complicità italiana con le milizie libiche, la gestione criminale dei centri di accoglienza e dei centri di trattenimento per il rimpatrio, i decreti sicurezza di Salvini e le altre misure – di ogni colore – che hanno segnato le politiche governative degli ultimi anni.
La città di Catania era già stata teatro di sceneggiate politiche di questo tipo. Come già successo nell’estate 2018 con la vicenda della nave Diciotti, il governo ha cinicamente agitato la questione politica a livello europeo giocando la propria partita sulla pelle di poche centinaia di naufraghi sacrificati sull’altare della propaganda, salvo dovere alla fine capitolare in seguito alle mobilitazioni e all’inconsistenza dei provvedimenti emanati. Festeggiamo questa vittoria, quindi, pur consapevoli che la questione antirazzista è molto più ampia e non può fermarsi alle risposte agli attacchi ai diritti dei migranti che il governo di volta in volta propone a fini di visibilità mediatica. Tuttavia, rimaniamo critici su come si sono svolti i fatti e pensiamo che questa rimanga un’importante vittoria umanitaria, ma non di certo politica. È chiaro che la tendenza dei governi sarà quella di operare continue divisioni e frazionamenti, distinguendo sempre più arbitrariamente tra chi merita di sbarcare a terra e chi no. L’attenzione verso questo precedente deve rimanere dunque alta. L’obiettivo ultimo resta quello di rompere i confini imposti dagli stati e romperli proprio lì dove stridono di più: nelle terre di confine, nei luoghi di accoglienza, nelle nostre città meridionali. Romperli in una terra, la Sicilia, teatro di una mobilità “selettiva” imposta dalla ferocia di un modello di sviluppo che vorrebbe attirare un turismo predatorio e respingere chi guarda a queste coste come la prima speranza di sopravvivenza.
Per questo motivo per la giornata di sabato 12 novembre, alle ore 16, è stata indetta una manifestazione regionale che partirà direttamente dal porto di Catania. In questa fase è importante tornare a riempire le strade della città con la solidarietà e l’accoglienza che hanno caratterizzato questi ultimi giorni. (antudo)
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