Sulla via Ardeatina, all’altezza di Santa Palomba, il traffico è intenso nonostante il periodo estivo: non si tratta certo di un’autostrada, eppure passano in continuazione mezzi pesanti, oltre al traffico locale. Nessun pedone, la viabilità non contempla molto spazio per chi non è alla guida di un veicolo motorizzato. L’Ardeatina scorre tra impianti produttivi, magazzini, tavole calde e resti della storia agricola della zona con edifici abbandonati e piccoli appezzamenti di campagna che, per il momento, sono scampati alla cementificazione. Gli alberi sono pochissimi ed è difficile trovare un riparo se la giornata è assolata.
Siamo all’estremo sud del comune di Roma, nel IX municipio: basta attraversare la strada e ci si trova nel territorio di Pomezia, proseguendo verso sud troviamo i comuni di Albano Laziale e Ardea, anche loro separati dalla via Ardeatina. Siamo a un quarto d’ora di treno dalla stazione Termini sulla linea che porta a Formia, eppure il centro di Roma sembra lontanissimo. Questa è una delle aree ipotizzate per costruire il grande termovalorizzatore che Roberto Gualtieri, sindaco di Roma dallo scorso ottobre, ha dichiarato di voler realizzare per risolvere l’annoso problema dei rifiuti. La questione della spazzatura di Roma è riemersa con forza nel 2013 quando, dopo decenni di attività, l’enorme discarica di Malagrotta è stata chiusa senza aver trovato alternative, lasciando così le amministrazioni comunali alla continua ricerca di spazi, ben presto colmati, dove portare l’immondizia prodotta da chi abita a Roma.
Bruciare i rifiuti non è certo una novità: diversi paesi europei hanno scelto in passato questa strada e, senza spingerci troppo lontano, basta ricordare che nel Lazio, in provincia di Frosinone, è attivo lo stabilimento di San Vittore, gestito dall’Acea, l’azienda ex municipalizzata, di cui il comune di Roma è azionista di maggioranza, che si occupa nel centro Italia anche di approvvigionamento idrico ed energetico. In altre città, come Trieste e Brescia, è stata adottata questa soluzione. La normativa italiana prevederebbe però prima dell’incenerimento (definito “recupero di altro tipo, per esempio il recupero di energia”) la prevenzione, il riutilizzo e il riciclaggio. L’ultimo gradino della scala è il conferimento in discarica.
Il termovalorizzatore di Roma, nelle dimensioni proposte dal sindaco, circa 600 mila tonnellate di rifiuti all’anno, diventerebbe uno dei più grandi d’Italia. Inoltre, Gualtieri non aveva mai menzionato la possibilità di realizzarne uno durante la campagna elettorale e quindi l’annuncio del progetto ha spiazzato alcune componenti della coalizione di centro-sinistra, come i Verdi e la lista Sinistra civica ecologista. Sono invece arrivati apprezzamenti dal quotidiano romano di destra Il Tempo, che il giorno dopo l’annuncio ha addirittura titolato a tutta pagina “Forza Gualtieri”.
L’impianto non figura all’interno del recente piano rifiuti della Regione Lazio predisposto dalla giunta Zingaretti, che si limita a suggerire la costruzione di una nuova linea nello stabilimento di San Vittore e punta invece sul recupero della materia. Per costruire il termovalorizzatore Gualtieri deve quindi ottenere dei poteri speciali che gli permettano di muoversi in autonomia rispetto al piano regionale, proprio come previsto dal cosiddetto decreto aiuti (art. 13) proposto dal governo, già approvato dalla Camera e in discussione al Senato in questi giorni.
Non tutti però pensano che il termovalorizzatore sia il modo migliore per risolvere il problema.
Appena usciti dalla stazione di Pomezia-Santa Palomba vediamo un manifesto manoscritto che invita a un incontro per parlare proprio della combustione dei rifiuti. L’appuntamento è in una zona residenziale chiamata Roma II, non lontana dalla stazione. A poca distanza da Santa Palomba, nel comune di Albano Laziale, si trova la discarica di Roncigliano, di cui si occupa un coordinamento nato anni fa per scongiurare la costruzione di un impianto per la combustione dei rifiuti in quella zona. Un eventuale termovalorizzatore a pochi chilometri dall’area in cui si voleva costruire quello contro cui ci si è battuti sarebbe una vera e proprio beffa e quindi ci si muove per cercare un confronto con gli abitanti di Santa Palomba. «Non è facile, serve un lavoro lungo e costante», dice una delle attiviste che sta seguendo il tema. Basta fare un giro in zona per capire il motivo: mancano i punti di aggregazione ed è difficile se si viene da fuori ottenere l’attenzione e la fiducia di chi abita lì. Anche perché la questione non è semplice e occorre approfondire diversi aspetti per riuscire a orientarsi.
In un termovalorizzatore i rifiuti ad alto potere calorifico (soprattutto plastica e carta) provenienti dalla raccolta indifferenziata, dopo essere passati per un impianto di trattamento meccanico-biologico (Tmb) che li separa dalla frazione umida e da altre componenti, vengono bruciati: la combustione produce una certa quantità di ceneri pesanti (che si depositano sul fondo) e dei fumi che inglobano altre polveri, dette leggere. I fumi, caldi per effetto della combustione, vengono usati per scaldare dell’acqua in modo da generare energia, come se ci si trovasse all’interno di una centrale termoelettrica, e poi passano per dei filtri prima di essere rilasciati nell’atmosfera. La combustione genera diverse, e a volte inaspettate, reazioni creando così di volta in volta dei composti chimici diversi, come gli ossidi di azoto o altri che inglobano dei metalli, come il cloruro di cadmio. Molti di questi sono acidi e dopo la combustione si cerca di abbatterne la concentrazione nei fumi impiegando delle sostanze basiche, come l’ammoniaca. Il ruolo dei filtri, chiamati in causa dopo questa fase, è molto delicato perché devono ridurre ancora le componenti nocive presenti nei fumi. Questo sistema rappresenta un miglioramento rispetto al passato e permette all’Acea di sostenere che le emissioni del termovalorizzatore di San Vittore sono molto al di sotto dei limiti imposti dalla legge. La sempre maggiore efficacia dei filtri aumenta però la quantità di ceneri leggere che rimangono all’interno dell’impianto e che devono essere trattate. Sommando le ceneri leggere e quelle pesanti si arriva a una percentuale, non trascurabile, compresa fra il venti e il trenta per cento della quantità iniziale di rifiuti. Ciò che resta dopo la combustione va conferito in discariche speciali oppure, a certe condizioni, può essere usato di nuovo, per esempio per la produzione del cemento.
Lo scorso 28 giugno alcuni gruppi e comitati attivi sul tema a Roma e nel Lazio (Castelli romani, Aprilia) si sono dati appuntamento nella piazza del Campidoglio per una manifestazione, giusto pochi giorni dopo l’incendio che il 15 giugno aveva colpito un impianto di trattamento meccanico-biologico situato a Malagrotta, nella periferia occidentale, nella zona della discarica ormai chiusa. Non è inusuale che impianti di questo tipo vadano a fuoco, almeno a Roma, e, data l’eterogeneità dei rifiuti presenti, un incendio produce composti pericolosi. Il resoconto pubblico dell’Agenzia regionale protezione ambientale (Arpa) del Lazio, pur cercando di rassicurare, evidenzia intorno alla data dell’incendio una presenza nell’aria nei dintorni dell’impianto di composti come le diossine, i policlorobifenili (PCB) e il benzo(a)pirene. Si tratta di molecole a elevata tossicità, nocive anche in concentrazioni molto basse e che tendono a rimanere a lungo nell’ambiente, rischiando di concentrarsi in quantità sempre maggiori negli organismi viventi. La costruzione del termovalorizzatore non permetterebbe di superare la dipendenza dai Tmb che, anzi, rimarrebbero centrali per la gestione della raccolta indifferenziata.
Durante la manifestazione, dai diversi interventi è emersa l’idea che costruire un termovalorizzatore delle dimensioni proposte non farà altro che legare Roma alla produzione (o, al limite, all’importazione) di rifiuti indifferenziati per gli anni a venire, penalizzando così qualunque tentativo di potenziare la raccolta differenziata. La piattaforma di convocazione chiedeva, al contrario, di puntare con decisione sulla differenziata (ben organizzata in diversi comuni che circondano Roma, più che carente nella Capitale) tramite il porta a porta, di organizzare tanti piccoli centri per recuperare tutta la frazione umida e di ridurre a monte la quantità di rifiuti prodotti.
Sembra faticoso collegare le esigenze percepite da chi vive a Roma in zone centrali o semicentrali e quelle di chi vive in periferia o in un altro comune e magari deve convivere con la presenza di impianti che trattano i rifiuti di Roma con le loro nocività. Chi vive nella prima condizione si mobilita per evitare di trovare la spazzatura intorno ai cassonetti, chi è nella seconda condizione è costretto a fare fronte a criticità di lungo periodo a causa di una gestione di certo non brillante. Sono due facce della stessa medaglia, ma a volte sembrano molto distanti. Un po’ come Santa Palomba e la stazione Termini. (alessandro stoppoloni)
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