Quanto segue è la continuazione del racconto in prima persona, spesso plurale, fatta con due interviste ai compagni del Coordinamento No GreenPass Trieste nel novembre 2021. Questo terzo articolo (qui la prima parte e la seconda parte) è il frutto di un’intervista registrata il 27 dicembre 2022 con uno di loro, al fine di raccontare lo sviluppo del movimento triestino a un anno dalle mobilitazioni del porto.
Erasmo: Ripartiamo da dove ci eravamo lasciati, metà novembre 2021, l’ultimo corteo grosso che ha attraversato la zona del porto, dove c’erano stati gli scontri, per poi concludersi in centro città. La sensazione era che la mobilitazione di massa stesse andando a scemare, mentre già mi raccontavate la vostra idea di rilanciare puntando su un coinvolgimento diretto dei lavoratori sui posti di lavoro, nella costruzione di un percorso di lunga durata.
Oscar: Sì, è andata avanti così, o almeno diciamo che questa fase qua, di concentrazione sul tema del lavoro, è proseguita per diversi mesi, favorita anche dalla presenza del governo Draghi, che era un nemico facilmente riconoscibile. La questione del GreenPass era ancora centrale e rappresentava l’elemento aggregante. Questa fase arriva fino al primo maggio 2022, dove si condensa tutto il discorso sul classico corteo dei lavoratori, che qui a Trieste, come in tante altre città italiane, è sostanzialmente un corteo dei sindacati confederali. Anche se da sempre a Trieste è compenetrato anche da motivazioni antifasciste che riguardano la liberazione di Trieste, e forse anche da una certa Jugo-nostalgia. [Il primo maggio 1945 i partigiani jugoslavi entrano in città mettendo fine all’occupazione nazifascista e dando inizio ai quaranta giorni di occupazione titina, ndr]. Comunque questo primo maggio a Trieste è significativo perché avviene una forte contestazione ai sindacati confederali. Il GreenPass decade proprio quell giorno, almeno il GreenPass che abbiamo conosciuto nella forma più pervasiva, come dispositivo di controllo, soprattutto della forza lavoro. E quindi il Coordinamento si presenta in piazza, viene ostacolato dalle forze sindacali, interviene anche la polizia in antisommossa, ci sono tafferugli all’inizio del corteo. Poi in qualche modo la situazione si stabilizza nella sfilata, mentre un cordone della polizia si mette nel mezzo, tra i confederali e lo spezzone del Coordinamento, molto presente, molto rabbioso, con dietro tutti gli altri spezzoni di movimento, tra cui i sindacati di base. In piazza Unità, all’arrivo, c’è una forte contestazione e un tentativo di andare verso il palco dove si tiene il consueto teatrino confederale… e qui ci sono di nuovo tafferugli, stavolta con i servizi d’ordine dei sindacati.
Qui si compie un po’ la vicenda triestina. Nel mezzo cosa c’è? Nel mezzo c’è il proseguire di questa mobilitazione. Quindi, per esempio, tra i bersagli polemici ci sono le Poste Italiane, perché anche nelle Poste c’è la necessità di esibire il GreenPass. E poi altri luoghi che in quel momento erano interdetti. Ci sono tentativi costanti di violazione delle zone rosse, inframmezzate a tentativi di sensibilizzazione sul tema. Poi c’è la questione di piazza Unità, la piazza principale di Trieste, che continua a essere interdetta per decisione prefettizia, ma con il sostanziale appoggio di tutte le forze politiche locali. C’è tutto un gioco delle parti con i rappresentanti di Confindustria e degli esercenti, che si schierano contro le mobilitazioni perché impedirebbero la normale circolazione del denaro in città, cioè lo shopping. C’è questo simbolo che è piazza Unità interdetta e il muro di jersey che attraversa le rive.
E: Fino a quando rimane l’interdizione?
O: Fino al 30 aprile. Anzi, no! Viene prorogata, dopo il primo maggio, anche a causa dei tafferugli che si verificano. Tra l’altro viene anche lanciata una manifestazione di disobbedienza, per la questione delle interdizioni. Lanciata in forma anonima e fatta circolare un po’ ovunque, anche da pezzi di movimento. Quindi c’è questo pomeriggio di violazione collettiva, tra l’altro in maniera abbastanza provocatoria… esattamente il giorno prima che decada il divieto, per lasciare un segno.
E: E invece il muro sulle rive per quanto tempo è rimasto?
O: Quello viene messo periodicamente quando vengono convocate delle manifestazioni… perché continuano grosse manifestazioni. Ci sono presìdi, iniziative di lotta, ma poi ci sono anche cortei non autorizzati, perché dal 15 ottobre 2021 in poi questi non saranno più permessi. E anche se non hanno più i numeri dell’autunno precedente sono numeri importanti per Trieste, parliamo di migliaia di persone in alcuni casi. E quindi si innalzano questi enormi jersey per impedire il passaggio verso quelle che sono ritenute zone critiche. Le trattative con la questura per i cortei si fanno più difficili, i dispositivi e le prescrizioni diventano sempre più arzigogolati e folli… c’è una sorta di testa a testa. Il tutto accompagnato dalla consueta campagna mediatica, che trova ogni pretesto utile per accusare il movimento. Siamo ancora nella cosiddetta fase emergenziale, tutte le misure sono in vigore e quindi anche tutta la retorica, nonostante l’inefficacia di queste stesse misure cominci a diventare palese; proprio perché, come denuncia dall’inizio il Coordinamento, si tratta di misure di polizia, di misure di guerra che nulla hanno a che fare con la questione sanitaria.
Tutto questo ha poi delle ripercussioni anche giudiziarie. Noi e tanti che hanno partecipato alla mobilitazione contro il GreenPass hanno e avranno processi, multe da pagare… se decideranno di farlo. E siamo ancora in attesa di ricevere il pieno carico di repressione giudiziaria. Per esempio, adesso inizierà un processo per interruzione di pubblico servizio per alcune iniziative che abbiamo fatto in Posta. Ci sono multe per il cosiddetto blocco del traffico, anche per affissioni abusive. Insomma, il consueto carico giudiziario che va a colpire nel mucchio.
E: E come si è trasformato nel frattempo il Coordinamento e lo stesso movimento?
O: Fino al primo maggio si rafforza la nostra percezione che il movimento No GreenPass mobiliti soprattutto lavoratori e lavoratrici, nel senso classico del termine. Ma nel frattempo si creano altre esperienze, autonome e per questo complesse, quindi lavoratori autorganizzati all’interno della Trieste Trasporti, che addirittura per tre volte di fila convocano uno sciopero politico contro il governo Draghi. Uno sciopero politico di autoferrotranvieri di Trieste! Poi tra i lavoratori comunali ci sono “i lupi”, gli autorganizzati del pubblico impiego, e nascono anche dei gruppi di trasportatori: il Cat, Coordinamento autoferrotranvieri Trieste… Tutte esperienze che continuano a proporre anche cortei, eccetera.
E: E in porto?
O: In porto c’è un’implosione totale, causata anche in parte dal ruolo di Puzzer, che è questo soggetto di fatto ingestibile, che probabilmente ne ha anche un po’ approfittato per cercare una carriera, ma che non ha saputo gestire la complessità di quello che stava toccando, cioè la questione del porto a Trieste… con Zeno D’Agostino, il capo dell’Autorità Portuale, di mezzo. Insomma, la questione era talmente grossa che alla fine i pochi lavoratori portuali che hanno continuato a mobilitarsi l’hanno fatto come semplici cittadini. Mentre la realtà autorganizzata dei portuali è quasi morta, e si è creato all’interno del porto, tra l’altro, anche un clima da coltelli, e non è finita bene questa vicenda.
Sono però continuate delle iniziative di solidarietà verso i tanti portuali che venivano colpiti dalla repressione: licenziamenti, sospensioni, un clima sempre più pesante. Più di un portuale è stato licenziato perché le aziende del porto avevano assoldato investigatori privati per seguirli, capire i loro movimenti, fino a trovare il pretesto per licenziarli. Quello è stato un attacco pesante. Nel frattempo scoppia la questione della guerra, e quindi del carovita. Emergono nuove parole d’ordine, di diversi tipi. Per esempio, adesso sto guardando la locandina di un corteo lanciato dal Coordinamento per il 26 marzo 2022, contro GreenPass e obbligo vaccinale. Però, tra i temi, ci sono anche le questioni del carovita e della guerra.
E: Quindi c’è una trasformazione dei linguaggi. All’inizio i volantini erano molto più elementari, “vaccinati e non vaccinati insieme contro il GreenPass”, molto ampi e più facili da sposare…
O: C’è un’articolazione maggiore. C’è, per esempio, il riferimento a disertori e disertrici, che credo sia significativo per capire come la mobilitazione contro il GreenPass intendeva affrontare certe tematiche.
E: Ma quindi, mentre si sviluppa questa critica verso la gestione autoritaria della pandemia da una prospettiva ideologica più definita, il Coordinamento riesce a mantenere quel ruolo di sintesi all’interno del movimento No GreenPass?
O: Assolutamente sì. Il Coordinamento rimane una realtà di base radicata, trasversale, eterogenea, che tiene assieme le spinte che ci sono all’interno della mobilitazione e fa di Trieste un caso singolare. Perché, invece, altrove spesso si formano e poi esplodono tante microsigle che settorializzano, settarizzano il movimento. A Trieste rimane il Coordinamento, intorno a cui orbitano anche le sigle tipo l’Alister, il Movimento 3V, partiti e partitini. Però è il Coordinamento ad avere l’iniziativa, e la mantiene per tutti i mesi a venire. Ci sono anche gli studenti contro il GreenPass, che nel tempo si sono federati a livello regionale, sono evoluti e sono rimasti di fatto l’unico collettivo universitario della regione, e a Udine hanno organizzato un presidio contro la repressione con interventi molto belli. Di mezzo, però, ci sono anche le elezioni, perché poi il governo Draghi cade… e tutto questo ai movimenti fa bene o male? Queste cose si sentono anche a Trieste, ma il Coordinamento mantiene quell’autonomia di cui parlavo prima: non prende posizione rispetto alle elezioni, se ne tiene fuori – però è vero che tanti componenti iniziano a lavorare per drenare consensi. Resta una sorta di collettivo di base, di sessanta/ottanta elementi, di cui quaranta si trovano settimanalmente. E quindi dopo la scadenza elettorale prosegue la mobilitazione, ma chiaramente in forma minore. Il 30 novembre 2022 c’è la Corte Costituzionale che deve valutare la questione dell’obbligo vaccinale… e quindi il Coordinamento organizza una fiaccolata. Insomma, tutta una serie di altre piccole scadenze che, però, anziché rappresentare il canto del cigno del Coordinamento, ne rappresentano più che altro il radicamento definitivo come coordinamento di soggetti – di mezza età per lo più, lavoratori dipendenti e autonomi, qualche insegnante e operatore sociale – che continuano a ritrovarsi e che hanno trovato una loro affinità interna pur mantenendosi molto eterogenei; e che riescono a mobilitare facilmente trecento-quattrocento persone.
E: Il ruolo di voi compagni all’interno di questa fase qual è?
O: Il ruolo, fin dall’inizio, è stato esserci ed essere riconoscibili. Chiaramente abbiamo una frequentazione tra di noi, come gruppo più ristretto, ma non ci siamo mai strutturati. Proseguiamo convinti di quello che facciamo, ma va detto che nei mesi che seguono le mobilitazioni dell’autunno 2021 rimaniamo sempre più isolati, nonostante gli spazi siano sempre più agibili. Alcuni di noi sono sospesi dal lavoro… questa cosa va avanti fin quando non arriva l’estate e decadono tutta una serie di obblighi, anche se permangono varie misure emergenziali.
E: E invece il rapporto del movimento con il sindacalismo in città?
O: Bisogna considerare che il sindacalismo di base in città è Usb, che ha continuato a seguire le vertenze individuali. Insieme a loro, come operatori sociali, abbiamo anche organizzato degli incontri, e in qualche modo hanno sostenuto, ma marginalmente… anche perché al loro interno hanno avuto difficoltà di vario tipo a gestire la posizione ufficiale. Di fatto l’Usi non ha numeri da mobilitare, mentre i Cobas sono solo Cobas scuola, e anche loro non sono in molti. Non siamo a Milano, dove il sindacalismo di base ha una sua rilevanza. Per quanto riguarda i confederali, non credo si possa più nemmeno parlare di sindacalismo.
E: E com’è guardare da Trieste al movimento No GreenPass nazionale?
O: A parte alcune realtà di base e alcune iniziative del sindacalismo di base, il movimento nazionale è stato un problema. Quello che c’è stato di buono a Trieste è successo perché si è creata una chimica particolare e abbastanza circoscritta, che magari è riuscita a influenzare anche Udine e alcune zone della regione. Ma tutte le cose più belle, più interessanti, sono state circoscritte. Per esempio, a Milano hanno fatto iniziative selvagge per mesi, e fin quando è rimasta quella dimensione ha funzionato. Quando ha provato a generalizzarsi, no. Da questo punto di vista ci portiamo a casa l’importanza delle lotte locali. Sul modo di federarle, organizzarle collettivamente, trovare un punto di sintesi, non abbiamo trovato grosse risposte. Non c’è mai stata un’assemblea nazionale di questo movimento, che abbia espresso, non so, delegazioni, interessi generali. Ci sono stati solo tentativi di creare dei cappelli dall’alto, come i Comitati di liberazione nazionale di Mattei, con i suoi convegni, o altre iniziative magari più partitiche, ma nazionalmente non ha trovato un modo felice di organizzarsi.
E: Tornando a Trieste, quali sono le ragioni che portano parte dei gruppi politici a slacciarsi dal movimento?
O: C’è un rifiuto di fondo di concepire il movimento No GreenPass come un movimento sociale. Negli anni i compagni hanno sempre partecipato ai movimenti, anche di fronte a contraddizioni e altro. In questo caso c’è stato invece un rifiuto, perché durante queste mobilitazioni sono emersi discorsi che sono effettivamente problematici, per esempio sul tema della guerra. E credo che questa sia la manifestazione di qualcosa che è avvenuto per decenni sottotraccia, e che come compagni abbiamo risolto dicendo “sì, ma quelli sono rossobruni”, senza capire che i gruppuscoli rossobruni erano solo il sintomo di un ambiente culturale che si stava allargando sempre più nel corpo sociale. Non abbiamo trovato anticorpi né discorsi per riuscire a rompere questo meccanismo. E ci ritroviamo adesso con una guerra in corso e delle persone che si mobilitano vedendo in Putin una sorta di difensore di non so bene cosa…
E: Del mondo multipolare…
O: Del mondo multipolare, contro l’espansionismo Nato. C’è stata una manifestazione ad Aviano l’altro giorno [Aviano è un piccolo comune in provincia di Pordenone, noto per ospitare la “Aviano Air Base”, un’infrastruttura militare italiana utilizzata dall’aeronautica militare statunitense, e nota per ospitare armamenti nucleari statunitensi fin dai tempi della guerra fredda, ndr]. Ad Aviano! Chi è che andava ad Aviano fino a qualche anno fa? Ci andavano solo i compagni fuori da una base militare Usa. Invece c’è stata una manifestazione chiamata da tanti gruppuscoli, a cui il Coordinamento No GreenPass ha aderito. E tra gli interventi ce n’era uno dalla Duma di Mosca! Cazzo, dalla Duma! Va anche detto che sulle questioni della guerra altre realtà in piazza non si sono viste. Le uniche bandiere della pace che si vedono sono appunto quelle portate in piazza dal Coordinamento No GreenPass, anche se a volte quel concetto di pace diventa un po’, come dire, affine alla cosiddetta “operazione speciale” di Putin. Quindi anche su questo ci sono delle sfumature estremamente problematiche.
Un altro dei grandi temi controversi all’interno del Coordinamento è quello dell’ecologia. Cioè, la questione della crisi ecologica… è un attimo che si scivola sulle scie chimiche o sul negazionismo climatico. Qui è senza dubbio maggioritaria la lettura che vede nei temi della crisi e della transizione ecologica l’ennesima emergenza che viene utilizzata ai fini della ristrutturazione. E di nuovo utilizzo termini che la fanno sembrare una questione, come dire, marxista, quando all’interno del movimento non è così che è delineata, e spesso si confonde l’emergenzialità con la crisi stessa, come se la crisi in sé fosse un tema inventato, un po’ come accadeva con la pandemia, dove c’erano tendenze che mettevano in discussione la stessa esistenza di un virus nuovo, pericoloso per la salute. Ecco, accade lo stesso con i temi della transizione ecologica. Eppure, emergono anche spunti interessanti, e le traiettorie possibili per trattare l’argomento sono tante. C’è la questione di come stanno imponendo la transizione ecologica, scaricando i costi su chi, come e dove. O la questione tecnologica, quella del controllo e della sorveglianza. Tutte cose che se ci fosse un intervento strutturato potrebbero essere articolate in modo interessante… ma non sempre è così. Non viene capito il modo con cui, per esempio, Fridays for Future pone questi temi, anzi! Il movimento No GreenPass da questo punto di vista è una cartina di tornasole. In tanti casi questi stessi movimenti ecologisti vengono letti come movimenti al soldo di “Soros”, per farla breve. Non c’è la capacità, o forse nemmeno la volontà, di districare il movimentismo ecologista da quelle che sono le prese di posizione delle autorità. Eppure, non credo che le contraddizioni siano tutte interne al movimento No GreenPass. Se il tema ecologista è stato recuperato anche dalle più alte autorità, questo è probabilmente anche il risultato di un’incapacità attuale del movimento ecologista di produrre discorsi in maniera realmente autonoma. Per esempio, mi ha sempre colpito il richiamo all’emergenza che movimenti come FFF e altri fanno come richiesta all’autorità, cioè la “dichiarazione dell’emergenza climatica”, quando invece la questione dell’emergenza è da sempre una delle cose a cui ci si oppone. Perché si sa che ogni politica emergenziale è una politica di crisi scaricata sul corpo sociale.
E: Quindi la questione della pandemia non è mai stata articolata in termini di crisi ecologica, ma come una serie di politiche mediate da un insieme di tecnologie repressive calate dall’alto.
O: Però chi doveva porre questo tema?
E: Gli ecologisti radicali.
O: Eh sì… e invece gli ecologisti radicali si sono ficcati una mascherina e hanno tacciato di ignoranza ogni posizione che si discostasse da quella ufficiale. A partire dal 2021 il divorzio è stato completo. E questo nonostante nel 2020 ci fosse stato un tentativo, con la riflessione sulla sindemia e con altre considerazioni interessanti. Io credo che una delle più alte sia quella che venne dal collettivo cinese marxista Chuang, che scrisse Social Contagion, un testo che già agli albori dell’epidemia in Cina affrontava il tema a partire dalla questione ecologica, dalla questione dello sviluppo industriale di certe parti della Cina da cui quel virus proveniva. E insomma, ci avevano dato tutti gli strumenti. Ma c’è stata un’incapacità, da parte degli ambienti più radicali, di trovare le parole d’ordine, le riflessioni, le articolazioni per rendere queste questioni di massa. Nel 2020 ancora si citava il biologo Robert Wallace che era stato citato abbondantemente dagli ambienti di movimento. Perché in effetti era un punto di vista interessante: la questione dello spillover, di come un nuovo virus inizi a circolare, veniva legata allo sviluppo industriale e post-industriale delle nostre società. Quindi deforestazione, contatto con virus prima sconosciuti oppure allevamenti intensivi… tutte questioni ecologiche per eccellenza. Ecco: tutte queste cose il movimento No GreenPass non le ha toccate nemmeno tangenzialmente. Eppure, non vedo in questo un errore, quanto una mancanza di chi poteva farsi portatore di queste istanze. Non è accaduto, la questione è rimasta circoscritta, non è stata posta come questione ecologica e ora addirittura si avvita e diventa problematica. Poi ci sono le questioni di genere, che sono assolutamente problematiche…
E: In che senso?
O: Tutta la questione legata alla vaccinazione obbligatoria, all’utilizzo di strumenti come il GreenPass, entra nel vivo di una questione molto profonda, come possiamo definirla…
E: Della riproduzione sociale?
O: Della riproduzione sociale, sì, e che potremmo condensare in un termine: il transfemminismo. Uno dei temi di possibile sviluppo della mobilitazione, è quello del transumanesimo, chiamiamolo così, che poi riguarda l’intera trasformazione tecnica del vivente. È un tema che viene affrontato all’interno del movimento No GreenPass. Le parti più reazionarie vedono nella questione una narrazione che va a incidere nella biologia del corpo, per modificarlo e renderlo in qualche modo integrato nel sistema di sfruttamento capitalista. Questa narrazione esiste e il movimento in parte si articola in reazione a quello che viene interpretato come un attacco alla naturalità della vita, la naturalità di certi rapporti sociali. Anche la famiglia è un elemento che torna spesso, con toni purtroppo raramente condivisibili. In regione abbiamo un’esperienza clamorosa, che definirei carbonara, nel senso che se ne parla pochissimo e si conosce poco: un’associazione di mutuo appoggio radicata in tutta la regione, che nasce nel 2018 con la legge Lorenzin in difesa dei figli delle famiglie che decidono di non vaccinare i propri bambini e che rimangono tagliati fuori dai luoghi dell’istruzione, eccetera. Nel 2022 questa associazione conta ormai migliaia di soci, fa attività di ogni tipo, dall’home schooling ai gruppi di acquisto solidale. E uno dei mantra di questa associazione, che accoglie gente di nuovo eterogenea, è proprio la famiglia, per esempio la “difesa della famiglia naturale”. È un tema preoccupante. Perché fa emergere la dimensione più reazionaria del movimento No GreenPass, in quanto mobilitazione in difesa di vincoli naturali. Per quanto mi riguarda è una lettura sbagliata, perché se partiamo dalla libertà di scelta, allora quella libertà di scelta la portiamo alle sue estreme conseguenze, anche in altre situazioni.
La diffusione di questo genere di prospettive ha reso di fatto impraticabile un intervento autonomo e significativo su questi temi. Per questo tutte le nostre speranze di intervenire dentro la mobilitazione si sono aggrappate alla questione del lavoro, altrimenti sarebbe stato un movimento difficilmente attraversabile. Tutte queste cose le scontiamo ora che non c’è più il tema del lavoro…
E: E in questa nuova fase, in cui nella discussione a sinistra si sono imposte le parole d’ordine dell’intersezionalità e della convergenza, c’è stato un tentativo di ragionare sulla possibilità che il Coordinamento possa far parte di questa convergenza? O rimane assolutamente al di là dell’immaginazione?
O: Fino a un certo punto è possibile. C’è stata la questione della Wärtsilä, che possiamo immaginare come una piccola GKN triestina, nelle modalità triestine che mettono insieme, oltre ai movimenti, il vescovo, il sindaco e altri pessimi personaggi. In quella circostanza il Coordinamento ha espresso solidarietà ed è sceso in piazza durante i cortei, che sono stati grossi e hanno riempito piazza Unità per la prima volta dalle manifestazioni di un anno fa. Si tratta però di una convergenza agita su un livello molto superficiale.
E: Per cui se da una parte il “movimento” si da nuove parole d’ordine e prova ad articolarle nel proprio minoritarismo, il movimento No GreenPass queste parole d’ordine o non le ha mai sentite o le rifiuta, e di provare ad aprirsi non ha nessuna voglia e nessun interesse… io non ho altri spunti. Lascio a te la parola.
O: No, no. Ti ho detto tutto. Sei soddisfatto?
E: Ovviamente era pretenzioso, però speravo di riuscire ad arrivare alle conclusioni con un paio di chiavi di lettura in più… Invece ho l’impressione che, nonostante tutto, la nostra riflessione sulla pandemia rimanga segnata da grossi vuoti. Soprattutto parlando con i compagni la sensazione è la rimozione totale del trauma. Un trauma che non sta venendo rielaborato se non individualmente, mentre le agende dei movimenti sono ripartite esattamente da dove le avevamo lasciate prima dell’emergenza.
O: “Non ritorneremo mai alla normalità”…
E: E invece siamo tornati esattamente alla normalità di prima. Magari è finita la caccia alle streghe, ma è ancora impossibile una rielaborazione collettiva di quel che è successo. Non parlo solo della questione del GreenPass, che proprio a causa delle mobilitazioni, in modo magari problematico, ha continuato a evolversi. Penso soprattutto alla prima fase, al lockdown duro, alla crisi sanitaria, o piuttosto alla crisi dei nostri sistemi sanitari e dei nostri modelli di cura, al significato storico di una quarantena estesa ai quattro angoli del globo, all’imporsi dello stato d’emergenza come paradigma di governo della crisi ecologica… Eppure, rimango abbastanza convinto che sul lungo termine, a partire proprio da quanto avvenuto in questi anni, si arriverà a un cambio di paradigma anche da parte nostra. Nessuno degli strumenti teorici e politici del movimento operaio si è diffuso e articolato da un giorno all’altro. È sempre stato un susseguirsi di vittorie parziali e tante sconfitte.
O: Ma è questo probabilmente il finale che possiamo tracciare. C’è stata una grossa rimozione. Siamo ritornati alla situazione pre-pandemica e non siamo ancora riusciti a elaborare tutta la questione. Chi ha partecipato alle mobilitazioni si è dato degli strumenti per riorganizzare i propri pensieri sulla base di quello che ha vissuto. Gli altri hanno comunque vissuto qualcosa, e se lo sono rielaborati per conto loro. Ma non c’è stata una dimensione sociale, culturale, di rielaborazione collettiva. Vedo quasi un sospiro di sollievo in tante persone, soprattutto da parte di chi non ha voluto mettersi in gioco su queste questioni. Io mi sento più vicino alla realtà di inizio anni Sessanta, segnata da esplosioni improvvise che non venivano elaborate perché mancavano ancora le chiavi di lettura, e che hanno avuto bisogno di tanti anni per sedimentare e trovare uno sbocco. Vedremo cosa si sedimenterà… È un finale un po’ amaro, ma anche i finali più amari sono delle lezioni. (erasmo sossich)
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