«Quarto è una conca, da qui in alto si vede benissimo che forma ha. La notte si fa la nebbia, e rimane fino a mattina inoltrata. Se ci fanno la discarica, significa che la puzza arriva il giorno stesso che entra il primo camion, e non se ne va più. Per non parlare di tutta la gente che ci abita…».
Quarto è un comune dell’entroterra flegreo, abitato da quarantamila persone. Stando a ciò che dicono loro, quello che sembra essere stato scelto senza esitazione – e almeno in apparenza con poche possibilità di ripensamenti – come il territorio più adatto a ospitare la nuova discarica della provincia di Napoli, non potrebbe essere più inadatto. L’aspetto geologico del territorio, come detto, è una delle ragioni. L’altra è la densità abitativa, piuttosto alta. Incamminandosi lungo via Spinelli, la strada di campagna che sale fino alle cave ritenute idonee per la discarica, si possono osservare a destra, a sinistra, o un po’ più spostati verso l’alto, un istituto per bambini disabili, l’Ipercoop di via Masullo, le strutture dell’azienda vinicola “Grotta del sole” della famiglia Martusciello, e la Fescina, una antica necropoli romana, ormai invasa dall’immondizia. Il comune di Quarto, recentemente, ha lasciato intendere di non avere i soldi per occuparsene. E poi case, soprattutto di napoletani trasferitisi a Quarto negli ultimi venti anni. Case e villette sorte qua e là col tempo, a pochissimi metri, anche quaranta o cinquanta, dalle cave.
Proprio una delle tre cave, in realtà, è stata acquistata da poco tempo, per ottocentomila euro, da un imprenditore della zona che si occupa di estrazione e lavorazione del tufo, manufatti in lapilcemento, e trattamento di rifiuti edili. La situazione che si è venuta a creare, sembra davvero una beffa. Michele, che ha poco più di una quarantina d’anni, e gestisce insieme ai suoi fratelli l’azienda che fu del nonno e del padre, lo spiega: «La mia azienda si occupa anche di smaltimento di rifiuti. Portiamo qui il materiale, i rifiuti edili, e con un processo a ciclo chiuso, che si svolge tutto tramite i nostri macchinari, lo trasformiamo in cemento. Dopo avere acquistato questa nuova cava per allargare l’attività, abbiamo fatto la richiesta di bonifica, per poterci lavorare, dal momento che prima c’erano dei rifiuti sversati illegalmente. Ora invece rischiamo di perdere tutto». Insomma, togliere un’area a una azienda che si occupa di smaltimento e riciclo dei rifiuti – e che da lavoro a più di trenta persone – per costruire una discarica, non sarebbe proprio una operazione lungimirante.
Non è detto che la cava che verrà scelta, però, sia proprio quella, essendo in “ballottaggio” con altre due. Michele, in ogni caso, riesce a guardare persino oltre il potenziale danno materiale. «Nel caso la cava risultasse la più idonea, ci sarebbero requisizioni o lo Stato la rileverebbe in altre vie, il problema non è solo quello. Il mio danno economico sarebbe rilevante, ma non penso solo a questo. Qua ci sta la mia azienda, che cava o non cava resterà qua, ma anche case, tante, a pochi metri dalla futura discarica. C’è una chiesa qui dietro, ci sta un intero paese, poco lontano. Sarebbe una condanna a morte per la gente di Quarto piazzare l’immondizia qui in mezzo. Figurati che io abito a Chiaiano: la notte respiro l’aria della discarica di Marano, e di giorno verrei a lavorare a pochi metri da quella di Quarto».
Lungo le strade del paese, intanto, i sacchetti ricominciano ad ammucchiarsi. I più maligni sostengono che sia una tattica, «per portare la gente all’esasperazione, e accettare, tra qualche tempo, qualunque soluzione pur di vedere sparire la munnezza». Mi fermo a comprare il pane, quello buono che si fa nei paesi che mantengono ancora qualcosa di tipico delle terre di campagna, tipo gli enormi forni a legna. Non so perché, ma guardandomi intorno mi viene in mente l’uva che vedevo a Terzigno, marcita, nelle terre circostanti cava Sari, la discarica sul parco nazionale del Vesuvio. (riccardo rosa)
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