«Ciao bambini! Ciao a tutti e tutte! Ciao bambini! Ehi tu, mi stai coprendo un po’ di bambini!». La voce del presidente della settima circoscrizione è amplificata dal microfono. Accanto a lui vedo il sindaco della città, dirigenti di tre assessorati, un vicario del prefetto. «Ciao bambini!», ripete. È un venerdì di novembre nel giardino in Borgo Dora, nel primo pomeriggio classi di scuole primarie e secondarie sono state trascinate qui, accanto al fiume, per l’inaugurazione della nuova area dei giochi. Le autorità sono al centro, attorno il pubblico è seduto sugli spalti. Intorno a me ragazzi più grandi si lamentano: «Ma che dice? Non siamo bambini!». Il presidente insiste, alzando il tono: «Ciao bambini!»; «Oh, ma basta», borbottano accanto. «Adesso salutiamo il sindaco. Ciao sindaco! Ciao sindaco!». Il sindaco Lo Russo sorride accanto al nastro da tagliare, l’assessore alle politiche sociali Rosatelli è serio in attesa delle fotografie di rito. Poi il presidente di circoscrizione inizia il suo discorso, il tono resta giocoso e paternalista: «Vi ringraziamo per essere venuti in questo nuovo spazio che la città di Torino inaugurerà oggi insieme a tutti voi, sarà a vostra disposizione per giocare grazie a un intervento messo in campo dalla città di Torino con un contributo dell’Unione europea con il progetto Tonite. Un progetto che si è articolato…». È più forte di lui: anche se parla alle scolaresche, conosce una lingua soltanto.
Tonite è un progetto di sicurezza urbana finanziato dall’Unione europea con cinque milioni di euro. Il fine, dicono le istituzioni, è “migliorare la percezione di sicurezza” lungo la Dora con forme di intrattenimento volte a incentivare la “coesione sociale”. La Fondazione di Comunità di Porta Palazzo gestisce il giardino, area in sé pubblica, e ha ricevuto almeno trentamila euro dal bando di Tonite per svolgere qui eventi di aggregazione sociale. Ancora il progetto Tonite ha investito sul giardino centocinquantamila euro per fornire giochi e strutture di svago. Ora prende la parola il sindaco Lo Russo: «Bambini siete contenti che inauguriamo questo giardino? Non vi sento!». La presidente della fondazione di comunità ascolta poco discosta. La fondazione è stata creata nel 2019 dalla Compagnia di San Paolo per governare la rigenerazione urbana lungo il fiume e riceve, dalla sua stessa matrice, elargizioni vicine ai cinquantamila euro ogni anno. «Quindi tra poco tagliamo il nastro – continua Lo Russo – e poi festeggiamo con qualche pasticcino perché è quasi ora di merenda».
Almeno gli abitanti del quartiere avranno dei giochi in più nel giardino: uno dei pochi lasciti concreti di Tonite insieme a un progetto di supporto sanitario in quartiere. Altre attività effimere ed estemporanee hanno nutrito una propaganda a beneficio delle istituzioni con diffusione di foto in rete, articoli di giornale, dichiarazioni di assessori in convegni pubblici. Fuori dalle cancellate è appeso il cartellone dell’inaugurazione dove campeggiano i simboli di Tonite e dell’Unione europea. Compare anche il nuovo slogan ideato dall’amministrazione: “Torino cambia. Il piano va veloce”. Tonite è concluso da mesi: la comunicazione desueta è tradotta in nuovi simboli istituzionali. «A tutti quelli che hanno lavorato a questo progetto diciamo un grandissimo grazie», ora esclama il sindaco. Il logo di “Torino cambia” è l’icona dell’avanzamento veloce delle immagini: due triangoli stilizzano le frecce in direzione progressiva. La campagna di comunicazione è nata per divulgare l’accelerazione delle trasformazioni urbane grazie ai fondi del Pnrr e ai finanziamenti nazionali ed europei, ma in questo autunno è impiegata soprattutto per raccontare il sogno di un nuovo piano regolatore per Torino.
IL PIANO E LA SUA COMUNICAZIONE
Sul nuovo piano regolatore, al momento, la Città ha approvato un atto di indirizzo dove si stabiliscono le linee guida e si istituisce il servizio Nuovo Piano Regolatore in seno al Dipartimento urbanistica ed edilizia privata da cui nascerà il progetto preliminare. In primavera l’amministrazione urbana ha concordato una collaborazione con Amanda Burden della Bloomberg Foundation, responsabile delle trasformazioni di New York a inizio secolo. La stessa Burden è giunta in città a giugno per partecipare ai tavoli di lavoro sul piano regolatore insieme a fondazioni bancarie, atenei, sindacati, terzo settore. Dalla fine dell’estate l’Urban Lab – l’agenzia di comunicazione delle trasformazioni urbane – ha lanciato momenti di discussione e presentazione del progetto di piano regolatore.
Il 14 novembre, quando la sera è scesa, si tiene uno degli eventi pubblici della campagna “Torino cambia”. La scuola Holden – nell’antico complesso dell’arsenale posto di fronte al giardino – ospita nel suo anfiteatro un dibattito con la fotografa Bruna Biamino, lo scrittore e insegnante alla Holden Fabio Geda e il drammaturgo Gabriele Vacis. Discettano sui cambiamenti di Torino e sui modi di immaginare una città possibile. Siedo nella penombra sui cuscinetti colorati della Holden e ascolto Vacis: «Per redigere un piano regolatore bisogna domandarsi chi eravamo per ricordarci chi siamo, allora da questo punto di vista il teatro è duttile perché è quel posto dove chi parla può ascoltare chi lo ascolta…». E Geda: «Azzardo un pensiero generale: il futuro per molti giovanissimi si è trasformato da una promessa a una minaccia. Come immaginare allora le Torino possibili? Io penso che questo esercizio di sogno sarebbe una grande occasione per ridurre il carico di ansia per i nostri ragazzi. Un piano regolatore, per un ragazzino, dovrebbe essere un piano regolatore che dà speranza». Alle spalle dei relatori appare il consueto logo e una proiezione in caratteri cubitali: “Torino cambia. Il piano va veloce”. Chiedo ai tre ospiti se hanno letto le linee guida, se conoscono il dibattito intorno al piano regolatore e che cosa ne pensano. Rispondono che non ne sanno nulla.
Il percorso verso il nuovo piano regolatore ambisce a essere democratico coinvolgendo la cittadinanza. Così l’Urban Lab ha organizzato “assemblee” in ogni circoscrizione della città e uno sportello di tre giorni per ascoltare le richieste della popolazione. È una domenica mattina di fine ottobre e raggiungo la bocciofila accanto al greto della Dora: qui si tiene il dibattito pubblico della settima circoscrizione. All’ingresso ci sono due camionette della polizia, poliziotti pronti a intervenire e agenti in borghese in attenta osservazione. I funzionari di Urban Lab mi consegnano un adesivo con l’icona dell’accelerazione torinese: devo porlo sulla giacca, ben visibile, se non voglio essere fotografato e diventare parte della comunicazione urbana. Gli ospiti spiegano le poche, semplici regole della partecipazione: parleranno l’assessore all’urbanistica, il presidente di circoscrizione e i “portatori di interesse” del quartiere, ma il pubblico può scrivere domande su cartoline apposite. Le domande migliori saranno lette alla fine.
Mazzoleni, assessore all’urbanistica, afferma che un piano regolatore ha due anime: una tecnica che regolamenta come si può costruire sul territorio urbano, quanto e dove; la seconda anima esprime invece gli obiettivi complessivi e l’orizzonte di azione. Noi cittadini siamo convocati a esprimerci sulla seconda. Io mi distraggo perché vedo un poliziotto in divisa entrare, guardarsi intorno e cercare il bagno per pisciare. «Oggi – continua Mazzoleni – chiediamo alla città cose diverse, abbiamo provato a elencarne alcune. Le funzioni della città sono cambiate, ci sono oggi funzioni per noi importanti come il coworking, il cohousing, le funzioni miste, tutte queste funzioni…»; i poliziotti continuano a entrare e uscire, forse fuori fa freddo, una sfilata blu ai bagni. Devo concentrarmi sull’assessore: «La città è oggi una destinazione di investimenti colossali. Diversi miliardi di euro. Ora noi abbiamo bisogno di un piano perché questi investimenti propaghino la loro…». Ma chi sono gli uomini ben vestiti in fondo alla stanza? Saranno architetti o agenti della Digos? Chiedo alle funzionarie di Urban Lab, anche loro si consultano. Confermano: sono agenti della Digos. Serio torno al mio posto ad ascoltare gli ospiti.
Ancora Mazzoleni: «Io vi racconterei qual è l’ingaggio che la città vi dà rispetto alla nostra visione». Ma come parla? Poi l’assessore ci invita a compilare le cartoline. «Con queste cartoline avete veramente l’opportunità di influenzare il piano!». Probabilmente i nostri interventi saranno archiviati per costituire nuovi materiali comunicativi, testimonianze della partecipazione attiva. Ho letto un libro di Lucia Tozzi sul modello milanese di sviluppo urbano: L’invenzione di Milano. Culto della comunicazione e politiche urbane. L’introduzione è la parte migliore del pamphlet e ragiona sul ruolo della comunicazione nelle città in trasformazione. Se nei precedenti modelli di capitalismo gli individui erano tenuti prima a produrre, poi a consumare, in questa fase essi devono svolgere un compito in più: “consumare – scrive Tozzi – non è più sufficiente: un ulteriore surplus di collaborazione è ormai necessario, ogni membro della società deve partecipare attivamente alla propaganda, deve comunicare, pena l’esclusione”. Frasi utili a comprendere “Torino cambia”: una comunicazione diffusa per rafforzare il consenso dove ciascuno – gli amministratori, gli artisti, i cittadini attivi, i lavoratori precari del terzo settore – deve svolgere un lavoro simbolico, non di rado gratuitamente. Mi chiedo come il pensiero critico possa trovare un appiglio per sottoporre a esame questa marea montante di comunicazione: la strutturale produzione di stronzate comporta la crisi dell’interpretazione.
LE LINEE GUIDA DEL PIANO
Fuori dalla scuola Holden è comparso uno striscione: “Il piano va veloce ma non ascolta la nostra voce. Comune speculatore”. Questa azione deve aver colpito la sensibilità dell’assessore Mazzoleni che in un incontro pubblico del 16 novembre ha affermato: «Parto da alcune note di colore. In questi due giorni eravamo alla scuola Holden e c’è stata una piccola manifestazione di dissenso. Molto piccolina, perché noi non ce ne siamo accorti. Però, usciti la sera, c’era questo lenzuolo con una scritta che mette in discussione il lavoro che stavamo facendo. La prima cosa che vorrei andare a spiegare a questi ragazzi, ammesso che siano ragazzi, è che stanno contestando un piano che noi non abbiamo ancora scritto. E che non è possibile che il piano faccia quelle cose che dicono loro, perché non c’è! Quel piano non c’è ancora!». La Città coinvolge la Bloomberg Foundation, istituisce un gruppo di lavoro, delibera le linee guida del nuovo piano regolatore, coinvolge le fondazioni bancarie, promette efficacia e velocità negli interventi, ma ancora non esiste nulla.
Immagino tre ipotesi. La prima: l’amministrazione ha avviato un processo democratico e intende negoziare un piano regolatore con i cittadini tenendo conto dei post-it appesi alle lavagne negli incontri d’urbanistica, delle cartoline vergate a matita e delle istanze proposte nei tre giorni in cui gli sportelli di Urban Lab erano attivi. Il governo urbano ha costruito una campagna retorica così effimera da essere sospesa su un vuoto normativo, ed è la seconda ipotesi. Oppure la terza: oltre alle parole di circostanza ci sono direzioni politiche concrete, rivolte a interessi peculiari e distanti dalle buone intenzioni della propaganda. Per avvalorare quest’ultima ipotesi scommetto ancora sull’interpretazione: esploro ostinato la massa gelatinosa dei discorsi pubblici, m’inoltro nell’insipienza linguistica che ottunde l’intelletto e cerco di discernere contenuti su cui la critica possa aderire.
Ancora alla scuola Holden ci sono stati altri incontri rivolti a tecnici, investitori, associazioni e funzionari della rigenerazione urbana. In un dibattito sulla “innovazione sociale” è intervenuto Ezio Micelli, professore ordinario presso l’Università Iuav di Venezia e collaboratore all’ideazione del nuovo piano regolatore. Secondo Micelli un nuovo piano regolatore deve «lasciare che le energie interne alla città possano davvero diventare un patrimonio, una risorsa per la trasformazione della città», e senza vincoli eccessivi. «Nel secondo Novecento il piano regolatore prevedeva, ovvero non c’era un centimetro quadrato della città che non avesse un suo destino: si chiamava destinazione d’uso. Quindi noi, realizzando il piano, potevamo dire di conoscere ogni sorta di forma che la città avrebbe preso: lì sarebbe diventato uno spazio a destinazione terziaria, lì a destinazione residenziale. Oggi chi governa il territorio accetta di innescare i processi, sapendo che gli interventi saranno più vari, più articolati. Si tratta di attivare le energie, non più solo di contenerle. In alcuni contesti perché non immaginare l’indifferenza d’uso al posto della destinazione d’uso?». Uso il corsivo per imitare l’enfasi della voce. Il nuovo piano regolatore dovrà allora semplificare, ridurre o eliminare i vincoli urbanistici attuali e questo potrà avvenire modificando lo strumento della destinazione d’uso.
A giugno, in occasione della discesa di Amanda Burden in città, l’amministrazione e l’Urban Lab hanno organizzato dodici tavoli di lavoro sul piano regolatore con la partecipazione di assessori e “portatori di interesse”. Esiste una pubblicazione che offre un resoconto delle discussioni e porta il solito titolo di “Torino cambia. Il piano va veloce”. È interessante perché mostra chi erano i partecipanti e in quali contesti tematici. Nel tavolo sull’innovazione sociale dialogavano, tra gli altri, la Compagnia di San Paolo, la Fondazione CRT, Legacoop Piemonte e la Camera di commercio di Torino; nella discussione sulle imprese e il lavoro sedevano assieme Cgil, Cisl, Uil e Unione Industriali; per l’area tematica della rigenerazione urbana hanno dialogato la Fondazione Agnelli, la Compagnia di San Paolo, la Rete Case del Quartiere e la Bloomberg Foundation. Anche l’Arci e il Gruppo Abele di Don Ciotti hanno interloquito con la Compagnia di San Paolo con l’introduzione di Jacopo Rosatelli, assessore e portavoce di Sinistra Ecologista. Non provo stupore per un aggregato di forze prevedibile, ma trovo interessante osservare, nella discussione sulle future norme urbanistiche, una mappa urbana delle relazioni di potere.
Nei resoconti dei tavoli di lavoro emergono affermazioni meno incrostate di retorica. Nel capitolo sull’innovazione leggo: “È prioritario lavorare sulle destinazioni d’uso, adattandole a una domanda (come quella delle start-up) che è ibrida e dunque non univocamente catalogabile nelle destinazioni tradizionali”. In “Aree di trasformazione” si auspica “di pensare a una strategia urbanistica di progressiva ridefinizione delle funzioni degli spazi, che dovrà essere resa possibile attraverso la flessibilità degli strumenti predisposti dal nuovo Piano”. La flessibilità garantisce agli investitori ampio margine di manovra, mentre la “rigidità ricade direttamente sulla qualità dello spazio costruito, impedendo la creazione di valore intorno al progetto”. Proprio nel tavolo presieduto dall’assessore Mazzoleni si richiede “una maggiore dinamicità nella definizione delle destinazioni d’uso, semplificando le modalità di intervento sul costruito, nell’ottica di mantenere un alto grado di flessibilità per facilitare future trasformazioni all’interno delle dinamiche urbane”. Mi domando se le richieste di fondazioni, atenei e gruppi di potere privati siano in sintonia con le linee del nuovo piano regolatore.
La delibera sull’atto di indirizzo del nuovo piano regolatore stabilisce di “prendere atto dei contenuti della Proposta Tecnica del Progetto Preliminare della Revisione del Piano Regolatore Generale della Città di Torino”. La Proposta Tecnica è stata redatta dalla giunta precedente nella speranza di redigere una revisione del piano, poi naufragata. Tuttavia il nuovo piano partirà dai presupposti della Proposta Tecnica, pur adattandosi al nuovo contesto. Il documento della “Relazione illustrativa generale” della Proposta Tecnica è corposo, sono duecento pagine dove compaiono affermazioni di questo tenore: “In un mondo sempre più dinamico quale quello attuale, prevedere nello specifico la possibile evoluzione delle attività sul territorio con puntuali prescrizioni anche morfologiche si è rivelato, con il passare del tempo, non coerente con le reali esigenze di sviluppo”. Ne consegue che “la rapidità delle decisioni e delle azioni diviene essa stessa un valore fondamentale di sviluppo economico”. Per garantire velocità d’intervento, assottigliamento delle regole e appetibilità d’investimento, la Proposta Tecnica intende rarefare le destinazioni d’uso: “La presente PTPP (Proposta Tecnica del Progetto Preliminare) […] prevede una […] riduzione [delle Aree Normative] da 23 a 13. Questo significa, ovviamente, una più estesa possibilità di intervento all’interno di ciascuna Area Normativa dell’edificato esistente […]. All’interno di ciascuna Area Normativa, la distribuzione delle destinazioni edilizie, seguirà pertanto un andamento maggiormente flessibile in relazione alle esigenze del mercato”. Se ho scrutato bene i testi, posso ipotizzare che il nuovo piano sarà un’immensa opera di traduzione e conversione delle destinazioni d’uso per ridurre i vincoli edilizi e attrarre gli investimenti sulla città.
Abraham Abulafia era un mistico spagnolo del tredicesimo secolo e nel suo trattato I sette sentieri della Torah esponeva una teoria dell’interpretazione del testo sacro. Secondo Abulafia il testo “esige due considerazioni primarie” o approcci: “La prima è la conoscenza testuale, la semplice lettura, la seconda è la conoscenza interpretativa: è come per il sogno, il quale in sé e per sé necessita di una spiegazione”. L’interpretazione, come la spiegazione dei sogni nel primo stato di veglia, è una tecnica del risveglio. Qui il risveglio interpretativo è applicato a testi di governo o di propaganda e questa è una differenza epocale. Lo striscione che inquieta l’assessore è stato il primo gesto di un’assemblea cittadina nata per contestare il progetto di nuovo piano regolatore. Si chiama “Un altro piano per Torino”, si ritrova al centro sociale Gabrio e coinvolge movimenti, comitati di cittadini, attiviste e architetti. Che una partecipazione combattiva, ostinata e attenta possa stimolare critiche e proteste capaci di incrinare il monologo del governo urbano, questo è l’auspicio dell’autunno. (francesco migliaccio)
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