In Aurora, quartiere a Torino che costeggia la Dora, è nato un nuovo progetto artistico: Aurorissima!. Si tratta di “un festival di arte pubblica, cittadinanza attiva e protagonismo giovanile” ideato dal curatore del condominio-museo di via la Salle, uno spazio espositivo nato anni fa grazie a fondi ministeriali e con il sostegno della Compagnia di San Paolo. Aurorissima! avrà luogo presso il Cecchi Point, un centro educativo in via Cecchi animato da diversi enti del terzo settore, e intende promuovere la confluenza fra arte e educazione all’ombra della immancabile “innovazione sociale”. È un progetto sostenuto dal Ministero della cultura e prevede la collaborazione, fra gli altri, di Torino Social Impact, una rete di enti dediti all’imprenditoria nel settore dei servizi sociali, e della Fondazione di comunità di Porta Palazzo.
L’esito di questo nuovo progetto sarà chiaro a chi osserverà con attenzione. Per il momento pubblichiamo un articolo uscito nel 2018 sul numero 1 de Lo Stato delle città dedicato proprio al condominio-museo di via la Salle e, più in generale, all’impiego dell’arte pubblica in città. Sei anni fa l’arte di quartiere foraggiata dalle istituzioni sembrava espressione di funzionari compiacenti – quasi servi volontari – al servizio di una propaganda dedita a edulcorare con buoni sentimenti e retorica un contesto attraversato da violenza contro i marginali e speculazione immobiliare.
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Una targhetta su sfondo laccato d’oro avverte che nel palazzo abita Cristiano Ronaldo. Il campanello è avvitato contro l’ingresso di via Cuneo 5 bis, nel quartiere Aurora. Vicino giace la carcassa abbandonata degli stabilimenti Fiat Grandi Motori. Mai Ronaldo è stato qui; il suo nome è soltanto il segno di un’installazione d’arte. Il condominio di via Cuneo ospita una residenza d’artista finanziata dal bando “Abitare una casa, vivere un luogo” diffuso nel 2016 dalla Compagnia di San Paolo. “La qualità della vita dei singoli – recita la premessa del bando – risulta intrecciata, oggi più che ieri, con quella delle città, richiedendo la costruzione di nuove dinamiche dei luoghi e dell’abitare; si tratta di ambiti connessi con altre dimensioni della vita quotidiana (lavoro, socialità, ecc.): gli spazi sono zone di interazione tra le persone che li abitano e baricentri di relazioni”.
Di rado leggo questi testi con attenzione, eppure trovo il loro linguaggio interessante: ci sono strane formule (“oggi più che ieri”), concetti neutri e vaghissimi (“ambiti”, “dimensioni” e “baricentri di relazioni”), parole fluttuanti prive di gravità e di articoli. “La Compagnia di San Paolo intende con questo bando, frutto della collaborazione tra il Programma Housing e l’Area Filantropia e Territorio, dare spazio a progettualità in grado di offrire azioni volte al lavoro di rete e allo sviluppo di comunità per ricreare dimensioni di socialità e per contrastare l’anonimato del vivere urbano”.
Quando le frasi sfuggono al commento, l’interpretazione deve aderire agli effetti materiali delle “azioni” inscritte nel corpo della città. Così ho deciso di osservare la foggia concreta di due tra i venti progetti vincitori: “Viadellafucina16 – condominio d’artista” e “Arte in stabile: viacuneocinquebis”.
Le analogie tra i due progetti sono molte: hanno luogo a Torino lungo le sponde della Dora, intendono coinvolgere una comunità di abitanti, prevedono l’istituzione di residenze artistiche per favorire i legami sociali nel condominio. Per un anno ho esplorato le due residenze, ho partecipato a inaugurazioni e vernissage, ho accumulato appunti, ho trascritto i dialoghi avuti con i protagonisti. La ricerca è stata un’opportunità per interrogare il rapporto tra l’arte, i finanziamenti istituzionali e la vita sociale nei quartieri toccati dal fiume. Eppure soltanto ora, alla fine, prendo coscienza della mia implicazione. Poiché in questi mesi sono stato spesso fuori città per svolgere una ricerca promossa da Compagnia di San Paolo, queste note sono anche un tentativo di comprendere la nostra esistenza all’ombra dell’imponente meccanismo che finanzia.
UN LINGUAGGIO COMUNE
Andrea Quarello, architetto e amministratore del palazzo in via Cuneo 5 bis, ha partecipato al bando e ha ottenuto un finanziamento di diciottomila euro. «Nel palazzo c’è un mix culturale di tradizioni, di lingue, pazzesco», mi ha raccontato Andrea. «La mia difficoltà è trovare un linguaggio comune, e senza discutere soltanto di spese condominiali. Questo linguaggio comune è stato l’arte. Siamo partiti con un artista residente, Alessandro Bulgini, e poi abbiamo portato due fotografi». I fotografi hanno impresso i ritratti di alcuni abitanti e hanno affisso le immagini negli spazi comuni. Bulgini ha disegnato sul tetto del garage un tappeto variopinto. «Abbiamo una condomina che è una cantante lirica, ha degli allievi e ha deciso di organizzare per il condominio un concerto. Si sono messi sul tetto del garage, tutto dipinto come fosse un tappeto. I condomini hanno invitato parenti e amici; e finalmente erano orgogliosi, c’era una forma di vanto per il luogo dove vivi». Via Cuneo sfocia in corso Giulio Cesare; poco oltre, in via Bologna, s’erge in cupezza smagliante il nuovo centro direzionale Lavazza: un intero isolato dedicato a uffici, aree verdi con fontane, un museo del caffè. Qui dietro, l’asilo occupato di via Alessandria avverte costante la minaccia di sgombero.
Da via Bologna si distende un ponte che attraversa la Dora: oltre il fiume, le strade e le case circondano il mercato di Porta Palazzo. Davanti a un fico cresciuto sul greto comincia via San Giovanni Battista la Salle, un tempo nominata “via della Fucina”. Un pannello senza copertura svela fili elettrici in disordine con nomi scritti alla rinfusa: sono i campanelli di abitanti che vengono da lontano. In alto qualcuno ha infisso una placca di metallo: “Viadellafucina 16, Condominio Museo”.
Brice Coniglio, un abitante, ha deciso di allestire nel palazzo residenze temporanee per artisti. Ha ottenuto ventimila euro dal bando di Compagnia di San Paolo e altri trentaseimila euro da un bando promosso dalla Siae e dal Ministero dei beni culturali. Secondo gli intenti originari gli artisti ospitati dovrebbero realizzare le opere e al contempo stimolare le relazioni sociali tra gli abitanti. Ho intervistato Brice nel suo soggiorno, scendeva la sera: «Il mio fine, come artista o come curatore, sarebbe quello di avere tante opere di altissima qualità». Gli ho chiesto quale sia l’incidenza sulle persone che vivono lì: «Il riscontro sta nel fatto che tutti mi salutano. È solo un saluto, ma è un riconoscimento. Prima non avveniva. Salutano con un sorriso, in maniera positiva». Sono stato a vernissage e presentazioni d’arte nel condominio. Ricordo sciarpe stravaganti indossate sui sorrisi, calici di vino venduti a tre euro nel rinfresco allestito al piano terra, spille sgargianti sui cappotti. Noi visitatori eravamo gli stranieri. Gli abitanti apparivano come ombre fugaci: salivano le scale con vago imbarazzo, s’affacciavano sornioni dal balcone. Un pomeriggio un uomo è uscito di casa a torso nudo per pisciare nel bagno sul ballatoio; una cantante di bianco vestita intonava una melodia discendendo aggraziata le scale. Nel brusio generale Brice m’incontrava, mi sorrideva e scherzava con me: «Tu sei quello contro la gentrification, con te non parlo».
Sospettavo che il progetto potesse causare l’imborghesimento del palazzo e la cacciata degli abitanti. L’atmosfera del quartiere suggeriva quest’inferenza: a Porta Palazzo la Compagnia di San Paolo ha finanziato la costruzione del social housing “Luoghi comuni”; di fronte al mercato dei contadini sta nascendo un ostello per turisti con presidio Slow Food; l’amministrazione comunale s’appresta ad allontanare gli straccivendoli che smerciano il sabato oggetti raccattati. Durante le esplorazioni, tuttavia, ho compreso che i fenomeni sono meno netti del previsto. Nel condominio di via la Salle ci sono più di cinquanta appartamenti, la proprietà è frammentata e negli ultimi anni soltanto due famiglie facoltose hanno comprato un alloggio qui.
Isabella Brossa lavora per Compagnia di San Paolo e ha contribuito all’ideazione del progetto: la riqualificazione del palazzo, per lei, è una speranza soltanto sognata. «Figuriamoci se con ventimila euro di Compagnia, che servono anche a pagare gli artisti, riusciamo a riqualificare. Quando è grassa, rimettiamo in sesto il portone, ripitturiamo l’androne e rendiamo agibile la portineria. Magari ci fosse il problema che l’arte riqualifichi a tal punto da gentrificare!».
Il condominio di via Cuneo è abitato da stranieri o da famiglie d’operai giunti in città al tempo dell’industria. Ho chiesto ad Andrea Quarello se il fascino d’un palazzo abbellito dagli artisti possa richiamare l’attenzione degli speculatori. «Io ti parlo di due proprietari: una famiglia nigeriana, marito e moglie, hanno una quarantina d’anni, e una famiglia marocchina con figlio all’università. Loro leggono in questa manutenzione – perché si tratta di manutenere un bene, non di renderlo appetibile – un aspetto positivo. Sono contente perché rende il posto dove vivono migliore. Si lamentano del degrado del quartiere perché anche la loro proprietà ne è intaccata».
Durante la discussione ho ricordato un articolo di Stefano Portelli sul concetto di gentrification. Sostiene Portelli che “quando cerchiamo di capire come si passa da un quartiere degradato a un quartiere gentrificato, ci stiamo interessando solo alla seconda parte di un fenomeno. La domanda più importante è quella che non si pone: perché questi quartieri erano degradati? Come è avvenuto questo degrado?”. Portelli si concentra su alcuni fenomeni indotti per “promuovere il declino”, abbassare il valore immobiliare di un quartiere e prepararne la riqualificazione. Gli interventi artistici di via Cuneo 5 bis potrebbero aumentare un poco il valore del palazzo, così da favorire i piccoli proprietari e stornare le eventuali mire di speculatori con disponibilità di capitali.
ARTE DI GOVERNO
Ero alla ricerca di nuovi spunti, e inattesi, quando ho intervistato le curatrici del progetto per Compagnia di San Paolo: Elisa Saggiorato e Isabella Brossa. Mi hanno accolto negli uffici del Programma Housing, l’ala di Compagnia che ha finanziato il bando. Perché i progetti di cui mi occupo non sono stati finanziati dall’area di Innovazione culturale? Ha spiegato Saggiorato: «Come Programma Housing emaniamo ogni due anni un bando che accoglie proposte di social housing sui territori di Piemonte e Liguria. I progetti potevano riguardare la realizzazione degli immobili in cui ospitare le iniziative di social housing, ma riguardavano anche ambiti più improntati allo sviluppo di comunità. Poi ci siamo resi conto che era una forzatura ricomprendere lo sviluppo di comunità all’interno del bando di social housing. Per questi motivi nel 2016 abbiamo deciso di stralciare il tema dello sviluppo di comunità dal bando. Allora abbiamo coinvolto un’altra area di San Paolo, Filantropia e territorio, e abbiamo creato un tavolo unico con il Programma Housing. Così è nato il bando di cui ti occupi». Per i progetti immobiliari di social housing la Compagnia di San Paolo investe ogni due anni circa tre milioni di euro. Per lo “sviluppo di comunità”, invece, l’ente ha speso trecentomila euro, distribuiti tra i venti progetti vincitori di “Abitare una casa, vivere un luogo”. Le due residenze artistiche hanno raccolto le briciole del Programma Housing.
L’arte dispone di una forza simbolica che ancora attira l’attenzione pubblica, soprattutto se coinvolge quartieri sensibili. Delle residenze d’artista accanto al fiume i telegiornali regionali raccontano: “Qui un palazzo male in arnese è diventato museo e fucina di arte contemporanea grazie al patrocinio di importanti enti e istituzioni. Un’iniziativa per combattere il degrado e la tensione sociale con l’arte”. Annunciatori sul piccolo schermo assicurano: “Forse l’arte dal basso può davvero salvare le periferie”. Il più importante giornale cittadino descrive un palazzo dove “si respira un’aria fatiscente, che tra qualche mese sparirà per lasciare spazio a un’atmosfera traboccante di idee e creatività. […] Grazie alla vittoria di due bandi, della Siae e della Compagnia di San Paolo, l’associazione Kaninchen-Haus qui darà vita a una collezione d’arte condominiale”.
La comunicazione degli eventi finanziati e patrocinati regala numerose menzioni a Compagnia di San Paolo: il simbolo verde dell’ente benefico domina l’orizzonte della città ormai. Allora le opere d’arte e i vernissage delle residenze in Aurora sono un’occasione per illuminare la filantropia promossa dalla generosa fondazione bancaria. Con un investimento di poche migliaia di euro Compagnia di San Paolo si assicura visibilità e consenso utili a legittimare gli altri interventi nel quartiere. D’un tratto ho visto gli artisti mutarsi in pubblicitari mal pagati: lavorano per mesi nella speranza di ottenere, prima o poi, nuovi fondi, nuove commissioni. Brice, ne sei consapevole? «Lascia stare. Ne soffro abbastanza». Ha sorriso. Forse siamo tutti impegnati nel muovere gli ingranaggi di una propaganda sottile e volatile.
Brice ha ideato un “comitato scientifico” per valutare i progetti artistici degni di accoglienza nel condominio. Della giuria fa parte Ilda Curti, esponente della sinistra progressista, assessore nelle giunte di Chiamparino e Fassino e direttrice per dieci anni del progetto The Gate, l’agenzia territoriale deputata a governare la “rigenerazione urbana” di Porta Palazzo; al tavolo del consiglio di amministrazione sedevano esponenti della giunta comunale e rappresentati del maggiore ente finanziatore nel quartiere: Compagnia di San Paolo. Non credo esista un “sistema” di governo cristallizzato, o un disegno predefinito, ma forme d’egemonia mosse dal divenire. In questo flusso di poteri i discorsi e le azioni assumono di volta in volta funzioni specifiche: lungo la Dora l’arte è strumento per legittimare il governo della città.
ARTISTI E CORTIGIANI
Una sera d’inverno, poco prima delle elezioni politiche del 4 marzo, ho partecipato a un aperitivo in via Cuneo 5 bis. S’inaugurava l’androne dipinto dal pittore Francesco. Francesco aveva usato colori pastello molto chiari, affinché l’impatto visivo non fosse invadente: una soluzione concordata con gli abitanti. Aveva dipinto la volta e quattro sezioni di parete, due a destra e due a sinistra: apparivano uomini poligonali, isole, chele, uccelli ocra su fondo azzurro. In fondo all’androne c’era un banchetto con bevande, spumanti e una torta della signora marocchina del piano di sopra. Tra il pubblico in visita s’aggirava inquieto anche Alessandro Bulgini, l’artista che ha curato gli interventi nel condominio. Alessandro è alto, energico e sorride sempre con calore, generoso regala la sua amicizia al prossimo. Quella sera indossava un pastrano rosso ricco di spille lucenti.
Da anni Bulgini organizza performance all’aria aperta, eventi effimeri nel quartiere per attirare l’attenzione e facilitare le relazioni sociali. Credo egli intenda la vita come opera: la sua presenza, il suo volto sono il contenuto artistico d’ogni azione. Francesco è timido, ha l’accento marchigiano e lo sguardo attento e schivo.
Ecco tra noi è apparso un anziano abitante stempiato. L’uomo, inorgoglito dai cambiamenti del condominio, aveva invitato un senatore del Movimento 5 Stelle che vive nel quartiere. «C’è il senatore, è arrivato il senatore!», annunciava con gioia a tutti noi. Quando dall’uscio del portone è apparsa Chiara Appendino, s’è aggregato repentino un corteo di riverenze. Francesco il pittore si è avvicinato al sindaco e le ha mostrato i dipinti con un sorriso impacciato. Poi è arrivato Bulgini: «Una foto, facciamo una foto!». Bulgini ha accompagnato Appendino in giro per scale addobbate di ritratti; al corteggio si sono aggiunti due consiglieri comunali. Mi sono avvicinato a quattro ragazzi marocchini che osservavano le vivande con aria furba e insolente. «Quanti gradi fa lo spumante? Ah, me lo bevo come niente. Sei anche tu imbucato? Noi viviamo nel quartiere». Ho bevuto il mio bicchiere di spumante. Uno di loro ha insistito: «Questo è il segno della mia gang», con indice e medio mi ha mostrato una “p” stesa in orizzontale. Ho accennato alla presenza del sindaco. «Chi? L’appendice? Veramente? Non l’abbiamo vista. Se l’avessi vista, le avrei spaccato una bottiglia in testa». E perché? «Ha fatto tutte queste leggi contro gli alcolici di notte, contro la vendita, regole assurde». Gli ho fatto notare che nessuno era critico con il sindaco, lì. «Sono dei lecchini. Posso dirti una cosa?». Ha avvicinato le labbra al mio orecchio: «Secondo me voi italiani siete tutti un po’ lecchini». Certo era una serata elettorale, la giunta doveva ribadire la sua vicinanza alle “periferie” e l’inaugurazione del dipinto era pretesto adeguato. Ancora l’arte urbana si presta alla propaganda, servile ma protetta forse da una lieve incrostazione d’incoscienza.
Nell’angolo dove via Cuneo incontra corso Vercelli, di fronte ai ruderi di Fiat Grandi Motori, c’è una vecchia edicola dismessa da anni. Qui Togachi, un’artista attiva nel quartiere, ha inventato Edicolarte: pittori e creativi sono invitati, settimana dopo settimana, a decorare l’edicola. Gli interventi si sovrappongono per stratificazione e il piccolo cubo appare come un organismo estetico in mutazione. Il pomeriggio del 14 aprile – era un sabato – alcuni artisti si sono radunati all’ombra dell’edicola e hanno costruito un tetto futuristico con materiali di scarto; accanto a loro, abitanti del quartiere si dedicavano al giardinaggio urbano. Nello stesso momento, ad appena un isolato di distanza, tutto era pronto per l’inaugurazione del centro direzionale Lavazza in via Bologna. Per l’occasione il quartiere s’era trasformato in presidio militare: camionette dei carabinieri controllavano le strade laterali, corpi anti-sommossa s’erano schierati intorno all’edificio, auto con i lampeggianti si aggiravano per scoraggiare ogni accenno di contestazione. Stanca la giornata s’era trascinata fino a sera. Poi, nella notte, qualcuno – forse sbandati in libera vaganza – ha dato fuoco all’edicola. Il giorno dopo gli artisti hanno organizzato un presidio di fronte al cubo abbrustolito: li ho raggiunti mentre cantavano commossi Bella ciao. Hanno proclamato nel comunicato: “Questo fuoco non ha distrutto nulla per noi, anzi diventa spunto per essere più determinati e certi della bontà di questa operazione”. Ho chiesto a Togachi chi fossero i responsabili: «Un gesto di noia». Perché ieri avete ignorato quanto accadeva qui vicino, in via Bologna? «Sinceramente l’ho appreso il giorno dopo che c’era l’inaugurazione di Lavazza. Anche perché io sono sempre concentrata sull’edicola». Come può l’arte di strada esistere inconsapevole delle tensioni e dei conflitti che segnano il territorio? Mi chiedo se l’incoscienza non sia l’ultima protezione che abbiamo per difenderci dalla sofferenza d’una vita spesa tra ingranaggi impalpabili.
Vedo creativi dispersi nella metropoli: liberi di agire secondo volontà, ma soggiogati al contempo. S’annaspa nella speranza di successo e nel frattempo si lavora – gratuitamente, non di rado – nel ventre di un macchinario simbolico che si nutre di ambizioni, desideri, forze espressive. L’aspirazione, la dedizione a una vocazione, tuttavia, non sono contemplate nella loro nuda concretezza di questioni private. Piuttosto l’azione artistica si fonda su una morale civile e virtuosa: la “bontà” d’ogni “operazione” culturale.
Una sera Michelangelo Pistoletto ha visitato il condominio-museo di Brice: con aria seriosa e un cappello elegante calato sulle orecchie ha sfiorato i muri, ha gettato un’occhiata qua e là, si è congedato. Il giorno dopo il Corriere della Sera titolava: “Torino, Pistoletto nel condominio-museo Viadellafucina16: «L’arte è necessaria alla società»”. Mi sono domandato quale sia la genealogia d’un pensiero che intende l’arte, la cultura, la letteratura come creazioni moralmente valide, dunque giuste in sé. L’elezione morale e l’impegno mi sembrano veli di giustificazione e nascondimento; ora concepisco il racconto della città come opera di smontaggio e di dubbio. Mentre ordino gli appunti, mi scrive Brice: ha vinto altri trentamila euro da un bando di Compagnia di San Paolo. Poi al telefono Alessandro Bulgini mi annuncia che sarà presto intervistato per un programma di Rai Due: Eroi di strada. (francesco migliaccio)
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