Il 13 luglio alle 21:00 nel chiostro di San Domenico Maggiore, in occasione della chiusura della campagna di autofinanziamento, l’Associazione Inbilico presenta il trailer ufficiale del documentario Je So’ Pazzo di Andrea Canova, che sarà seguita dal concerto jazz del Ciro Riccardi Quintet. Il documentario – come si intuisce sin dal titolo – racconta l’esperienza che da due anni a questa parte ha trasformato il vecchio ospedale psichiatrico giudiziario di Sant’Eframo in una delle più significative esperienze politiche degli ultimi anni.
Andrea Canova, filmaker vicentino, che ha iniziato nel 2016 le riprese di questo suo primo lungometraggio (in lavorazione) ha scelto «di mettere il luogo al centro della narrazione, per dare continuità narrativa all’intreccio tra passato e presente. Sant’Eframo Nuovo è il vero protagonista del documentario, ed è raccontato attraverso il forte contrasto tra ciò che era e ciò che oggi è diventato». Ad accompagnare il racconto del passato le parole di Michele Fragna, ex internato, autore di poesie e di un diario in cui ha annotato il tempo della sua detenzione. Perché oggi, l’ex Opg “Je so’ pazzo”, grazie al lavoro di un gruppo di militanti, è un luogo aperto al quartiere e alla città, nel quale si realizzano decine di attività su base volontaria (tra le tante attività, corsi di lingua per migranti, la palestra e l’ambulatorio, lo spazio per i bambini, i tornei di calcetto, concerti e dibatti), ma in un recente passato è stato uno dei luoghi più inaccessibili e violenti del nostro paese.
Nato da una ex struttura conventuale, l’Ospedale Psichiatrico Giudiziario per quasi un secolo ha ospitato internati da ogni parte d’Italia, sofferenti psichici autori di reati, che venivano “letteralmente dimenticati”, come accadde a Vito De Rosa, internato per quaranta anni, fino a quando nel 2003, grazie alla lotta del consigliere regionale Francesco Maranta, ottenne la grazia del presidente della repubblica. Nonostante l’impenetrabilità di quelle mura, già negli anni Settanta emerse all’attenzione dell’opinione pubblica che le condizioni detentive erano inumane e degradanti e che si facesse largo uso e abuso dei letti di contenzione, in assenza di qualunque reale controllo o intervento medico. Ne fu favorito l’allora capo della Nuova Camorra Organizzata, Raffaele Cutolo, che nel periodo della sua permanenza all’Opg di Napoli, poteva liberamente telefonare in Sud America; furono centinaia invece le vite dei “signori nessuno” che finivano qui dimenticati. Il meccanismo della proroga illimitata delle misure di internamento, trasformava gli internati in fantasmi, invisibili alla giustizia e al mondo. Nelle celle dell’ex monastero divenuto manicomio, la vita era un’eterna attesa, tra isolamento, contenzione e sigarette. Sono decine i suicidi, ma possediamo i dati ufficiali solo per gli ultimi dieci anni. Se qualcuno pensa che stiamo esagerando, può andare oggi a visitare la sezione detentiva e toccare con mano la crudeltà di quei reparti. Troverà ancora i segni del letti di contenzione, adoperati per legare per giorni le persone al di fuori di ogni procedura medica.
Andrea Canova ci ha detto che «con questo documentario, non ho mai avuto la pretesa di realizzare un trattato sulla questione degli Opg e della malattia mentale, ma piuttosto mettere in luce la testimonianza diretta, umana e poetica, di chi ha subito e vissuto in prima persona l’evidente inadeguatezza del sistema psichiatrico e giudiziario che vigeva negli Opg». Un sistema superato da appena un anno con la chiusura definitiva degli Opg (ne erano sei in tutta Italia e vi erano mille e seicento internati) a seguito delle denunce della Commissione parlamentare di inchiesta Marino, e trasformati in piccole strutture chiamate Rems sulle quali occorrerà vigilare perché non diventino luoghi dimenticati.
“Noi siamo la nostra memoria, noi siamo questo museo chimerico di forme incostanti, questo mucchio di specchi rotti”, scriveva Jorge Luis Borges. Tenere assieme questi frammenti di specchio per riflettere su ciò che questo luogo era e sul processo che ha reso possibile trasformare un vecchio manicomio in un “bene comune” è oggi più che mai una necessità politica e culturale. E anche una forma di speranza. (dario stefano dell’aquila)
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