Da Repubblica Napoli del 9 aprile
Per la mattina di sabato 12 aprile una rete di cittadini e associazioni ha organizzato a Pozzuoli, in località La Schiana, un pic-nic di protesta davanti al giardino di quella che doveva essere la Casa di Maternità della Asl Napoli 2 Nord, a poca distanza dal presidio ospedaliero di Santa Maria delle Grazie, una struttura destinata all’assistenza alla gravidanza e al parto naturale, ma poi adibita ad altri usi per ragioni d’emergenza e infine relegata ad accogliere funzioni amministrative dalla dirigenza dell’azienda sanitaria locale.
Già quindici anni fa l’assessorato regionale alla sanità prevedeva la realizzazione di cinque “case di maternità” dislocate sul territorio. Le strutture, concepite per accogliere le gestanti a basso rischio prenatale fin dall’inizio della gravidanza, dovevano ricreare un ambiente familiare sotto la gestione non dei ginecologi ma delle ostetriche, in stretto contatto con i consultori e i punti nascita della zona. Gli obiettivi – fissati nel 2003 anche da linee guida regionali, che evidentemente qualcuno ha dimenticato nel cassetto – erano il rispetto dei tempi naturali del travaglio, la promozione della fisiologia del parto e dell’allattamento al seno, la riduzione dei costi superflui legati al diffuso e inappropriato ricorso al taglio cesareo, pratica nella quale la Campania occupa da anni il primo posto nelle graduatorie nazionali e internazionali.
Il progetto della Casa di Maternità di Pozzuoli fu predisposto dalla Asl Napoli 2 Nord nel 2004 e affidato al Dipartimento materno infantile territoriale. Si prevedeva di ospitarvi quasi cinquecento partorienti all’anno. Per la messa in opera vennero stanziati un milione e mezzo di euro, ma nel marzo del 2008, completata la consegna degli arredi e delle attrezzature, quando mancava solo l’assegnazione del personale – ostetriche e infermiere già previste in pianta organica – l’azienda sanitaria decise di collocare “in via provvisoria”, al primo piano della struttura, i letti del Servizio psichiatrico di diagnosi e cura, in quel momento in ristrutturazione, spendendo altri soldi per i lavori di adeguamento. Invece dei tre mesi previsti, i letti degli utenti psichiatrici occuparono i locali destinati alla Casa di Maternità per più di due anni. Nel settembre 2010 – di nuovo libera la struttura – il Dipartimento materno infantile provò a sollecitare nuovamente la direzione della Asl per ottenerne l’apertura.
Da allora non è accaduto nulla di rilevante, fino alla recente decisione della direzione generale di ristrutturare lo stabile, con una spesa di altri ottocentomila euro, per destinarlo alle attività amministrative dell’ospedale Santa Maria delle Grazie. In questo modo, adducendo ragioni legate al piano di rientro dal debito sanitario, in particolare la mancanza delle attrezzature e del personale necessario, si accantona definitivamente il progetto della Casa di Maternità. A nulla sono valse finora le proteste delle associazioni e le interrogazioni in consiglio regionale. La decisione è presa e non sembrano esserci grandi margini per un ripensamento, nonostante qualche vaga rassicurazione proveniente dalla direzione aziendale. Delle altre quattro strutture simili – a Napoli era prevista agli Incurabili –, stabilite da una delibera regionale con apposito finanziamento Cipe, nessuna è stata portata a termine.
La storia delle case di maternità campane, legata a doppio filo all’abnorme ricorso al parto cesareo nella nostra regione, si inserisce in un contesto per certi versi drammatico, illustrato da cifre impietose (la percentuale di tagli cesarei in Italia è del 38%, in Campania del 62%, nell’area della Asl Napoli 2 Nord del 69% e nelle cliniche private della stessa Asl del 79%) che alimentano una consapevolezza diffusa tra gli addetti ai lavori e una discussione tra le donne che spesso resta sotterranea, intermittente, emotiva – esaurendosi nel passaparola o accendendosi in Rete attraverso le testimonianze di chi ha vissuto l’esperienza del parto – ma che stenta a divenire un grande tema del dibattito pubblico, sollecitando prese di posizione “politiche” e azioni conseguenti. Una sorta di trascuratezza, che a molti appare voluta, e che lascia tante donne nell’incertezza e nell’isolamento, consentendo a chi ricopre ruoli di responsabilità di sorvolare senza conseguenze sulle direttive dei governi nazionali e degli organi sopranazionali, e sulle stesse leggi locali promulgate su quelle basi. In tal modo, ancora oggi hanno buon gioco le strutture ospedaliere private, che continuano a pianificare parti cesarei, sempre più rapidi e redditizi, come segmenti di una disumanizzante catena di montaggio della procreazione. (luca rossomando)
Leave a Reply