Quando si affronta Le case dei poveri. È ancora possibile pensare un welfare abitativo di Antonio Tosi (Mimesis edizioni) bisogna avere in mente le storie di Angela, che ha dovuto occupare una casa perché non riusciva più a condividere l’appartamento con il padre di sua figlia; di Aziz, che ha conquistato il suo permesso di soggiorno da meno di cinque anni e per legge non può accedere all’edilizia residenziale pubblica; di Micheal che dorme in stazione centrale perché nessuno gli affitterebbe casa. Bisogna avere in mente anche le storie più banali di molti di noi che, dopo il protrarsi di convivenze studentesche bene oltre la data della laurea, non hanno i requisiti per un mutuo e consumano più del quaranta per cento del proprio reddito in un affitto che non potrebbero permettersi. Bisogna avere in mente queste storie perché quello di Tosi è un libro scritto su e per le politiche, con un linguaggio tecnico e preciso, ma che dovrebbero leggere in molti, soprattutto i non addetti ai lavori.
Le ragioni che fanno di questo breve volume un’importante guida per interpretare i fenomeni contemporanei risiedono nella volontà dell’autore di sciogliere i diversi nodi che fanno delle “politiche abitative” italiane un oggetto incoerente. L’obiettivo è quello di offrire un impianto teorico ben delineato, per certi versi puntiglioso, ma necessario in un contesto in cui le politiche sulla casa hanno storicamente avuto un ruolo marginale, confondendo e dissimulando, anche spietatamente, i propri obiettivi. Così sin dal titolo è chiaro a cosa l’autore stia guardando quando fa riferimento al sistema di welfare abitativo: ai poveri.
Se per chi è nuovo del tema questo può apparire scontato, è utile ricordare che una tradizione delle politiche abitative italiane è stata quella di escludere dal proprio corpo di interventi la fascia più marginale della domanda. Una storia che ha privilegiato spesso processi di inclusione dei segmenti intermedi a scapito dei profili più problematici, oggetto di misure ad hoc spesso di natura transitoria. Una scelta che deriva dall’ambiguità ideologica di concepire il percorso abitativo come un processo ascendente sino all’autonomia nel mercato, in una prospettiva di “inserimento” e raramente di “stabilizzazione”. Per chi abita nelle periferie, senza dover richiamare Bauman, è chiaro come questa “ascesa” sia certamente un’aspirazione, ma non possa essere un assunto su cui costruire politiche efficaci che rischiano altrimenti di determinare solo percorsi a intermittenza.
Se è pur vero che questa visione è da sempre al centro delle politiche italiane sulla casa, è anche vero che l’orientamento neoliberale contemporaneo ne ha accentuato la selettività. E qui c’è un secondo nodo su cui è utile soffermarsi: Tosi guarda alle politiche neoliberali con curiosità critica, non fermandosi a una valutazione preconfezionata, ma “entrando nel merito delle invenzioni sociali” sperimentate e dalla specifica costruzione del concetto di “sociale abitativo” che hanno introdotto. Il libro ci racconta così come nelle nuove politiche abitative il termine “sociale” ha subito una trasformazione consistente, rafforzando sempre di più il suo legame con il segmento medio e medio-basso della domanda.
Il libro di Tosi ci aiuta a collocare le nuove politiche per la casa in un quadro più ampio, di spostamento dalla produzione diretta di edilizia pubblica e sociale ai sussidi alle persone (Fondo di sostegno affitto, incentivi individuali all’acquisto, ecc.). Il testo fornisce anche gli anticorpi per uscire da alcune retoriche che hanno occupato il dibattito di questi anni, dall’housing sociale al tema della mixité. Un racconto che permette di comprendere come le politiche neoliberali abbiano sussunto alcune giuste riflessioni (anche radicali) di critica alle forme standardizzate di produzione di casa sociale, usandole per costruire politiche estremamente selettive dove il principio di qualità, in un campo di estrema esiguità di risorse, entra in conflitto con quello di equità. Un pericolo questo che risiede nel carattere “sostitutivo” e non “aggiuntivo” di queste nuove linee di intervento.
In questo senso va sottolineato il valore politico di questa insistente ri-centratura intorno alle politiche abitative per la locazione (largamente intesa). Un paese dove in venti anni si è perso più del venti per cento del patrimonio di edilizia pubblica, in cui lo stock abitativo in locazione è di poco superiore al venti per cento, in cui in quasi dieci anni c’è stato un aumento del centosettanta per cento degli alloggi impropri, la questione abitativa sembra un rimosso collettivo. Le ultime due leggi di intervento nazionale (2009 e 2014) hanno prodotto solo alcune iniziative puntuali, senza aprire un campo di riflessione incentrato sul tema dell’accessibilità alla casa.
Infine un’ultima e decisiva riflessione intorno a un nodo problematico molto contemporaneo: il sovrapporsi delle politiche di recupero o rigenerazione della periferia e le politiche per la casa. Due corpi di politiche che richiamano piani e obiettivi differenti – non escludenti certo – che vanno riconosciuti anche nella loro autonomia. L’ambiguità in cui le nuove politiche di rigenerazione urbana si stanno muovendo nei confronti delle politiche abitative, rischia in tal senso di aprire un nuovo fraintendimento nel discorso pubblico. A questo l’autore risponde con quattro linee per la (ri)costruzione di un welfare abitativo, di cui in questo periodo di campagne elettorali si sente la mancanza: rafforzare le politiche generali per l’affitto, ridistribuire la socialità delle politiche, costruire un sistema di risposte per il disagio estremo. Politiche queste che guardano innanzitutto ai profili della domanda reale, alle storie “in cerca di casa”, a cui Tosi dedica con un’attenzione estrema gli ultimi due capitoli, chiudendo in questo modo un cerchio che dalle politiche torna alle persone e viceversa.
Se poi qualcuno facesse la domanda “da dove dovremmo prenderli questi soldi?”, si ricordi loro che in Italia i sussidi governativi alla casa rappresentano lo 0,07 del prodotto interno lordo contro lo 0,30 della Germania e l’1,90 della Francia. (jacopo lareno)
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