Povere creature! (Poor Things) è l’ultimo lungometraggio di Yorgos Lanthimos, regista greco trapiantato stabilmente in contesto anglosassone, conosciuto dopo la metà dei 2000 dai cinéphiles per due film indipendenti (Kinetta del 2005, e soprattutto Kynodontas, o Dogtooth del 2009) e che poi, soprattutto a partire da The Lobster (2015), ricorrendo a produzioni maggiori e a cast importanti (Colin Farrell, Rachel Weisz, Emma Stone, Lea Seydoux, eccetera), ha intrapreso una strada definita dai più di ricerca e consolidamento formale, insomma di maturità. Povere creature! è da alcune settimane primo per incassi al botteghino italiano, ha vinto il Leone d’oro a Venezia ed è probabile che riceverà ulteriori riconoscimenti tra qualche settimana nella notte degli Oscar. Il film è celebrato dalla critica come uno dei migliori lavori del regista.
La storia è questa: Bella Baxter (Emma Stone) era una donna con un altro nome, Victoria Blessington, morta suicida con in grembo un bambino. Il suo cadavere viene ripescato ancora caldo dal chirurgo e scienziato Godwin Baxter (Willem Defoe), il quale trapianta il cervello del piccolo nella testa della madre, generando una nuova forma di vita. Tutto il film riguarderà la rapida crescita, la “seconda vita” di Bella: verrà il momento del linguaggio, della sessualità, della politica, della società, della verità riguardo sé stessa e il suo passato. Le vicende, divise per capitoli, abitano uno scenario strabiliante che mescola il fantasy al gotico, il realistico al fiabesco, e la regia barocca e inusitata, piena di soluzioni quanto meno bizzarre, risulta serrata e funzionale allo spirito satirico del film. Eccellente la prova a tutto tondo di Emma Stone, in odore di Oscar, e una menzione per il personaggio di Duncan Wedderburn (Mark Ruffalo), primo ed epico amante di Bella, calcato un po’ su quei donnaioli baffuti del cinema anni Trenta, Melvyn Douglas o Clark Gable. La cinefilia d’altronde si spreca, anche se le citazioni appaiono fredde e calcolate.
Non convincono però due cose: per un verso la lettura dei temi architrave del film (la donna, il sesso, la famiglia, le disuguaglianze), in sintesi il nocciolo politico; e per altro verso la collocazione e la produzione di questo film, il modo in cui sempre più, nelle grandi produzioni, s’impone il film con un messaggio urgente da spendere nei festival.
Si può parlare di un film femminista? Probabilmente sì, se applicassimo a un film del 2023 le categorie di Anna Karenina di Tolstoj, o le storie di D.H. Lawrence, per fare degli esempi partoriti da maschi di grande autodeterminazione femminile che sfida le imposizioni patriarcali tanto nella prigione familiare quanto in quella sociale. Ma era il diciannovesimo secolo. Il cinema femminista prova in maniera diversa a rovesciare il paradigma patriarcale facendone una questione di sguardo, lavorando sulle esitazioni, sulla corporeità, sulle sensazioni, evitando i sensazionalismi e i principi di prestazione, vedi Sciamma, Arnold, Obermeyer, Rohrwacher e tante (e tanti) altre; non tanto inneggiando al piacere sessuale, ma sfumandolo, erotizzandolo e strappandolo soprattutto dall’ossessione dell’occhio maschile. La prostituzione gioiosa di Povere creature! è molto liberale, molto facile, rappresentata attraverso il corpo di un’attrice bellissima e senza peli sulle gambe, osservata da un occhio, se non patriarcale, nel migliore dei casi neutrale.
Potrebbe allora essere semplicemente, come sostenuto, un film sulla libertà individuale, che sorvola su tutti i problemi e le ricerche del femminismo contemporaneo e finisce con la vendetta e la vittoria di Bella, nemmeno “soggetto eccentrico” (per usare la splendida terminologia di Teresa De Lauretis, che trova un sugello insuperabile proprio nelle rappresentazioni cinematografiche), una protagonista che vede tutte le sue difficoltà superate quasi senza conflitto. Appunto, la spoliticizzazione dei sessi, ideale per il mondo contemporaneo che tenta disperatamente di nasconderli, i conflitti. A ogni modo, se per due ore si mette sul piatto la vita di una donna sulla via dell’emancipazione in maniera lapalissiana è chiaro che il giudizio debba battere lì, politico, estetico ed etico allo stesso tempo; ed è negativo. Sarebbe inopportuno discutere di carrelli e controcampi, fish-eye e zoom in un film iper-sceneggiato, debordante nella parola come quello di Lanthimos.
La seconda nota dolente è che Povere creature! rientra in quel filone di film pluripremiati che prevedono una curiosa sussunzione di questioni di sinistra (lotta di classe, ambiente, femminismo, razzismo), proposte con dei “correttivi” che mutilano ogni possibile radicalismo. Non è tanto una contrapposizione di liberalismo di sinistra versus estremismo, ma proprio di edulcorazione, attraverso il cinema, di problemi che si vivono tutti i giorni. Sono film che in alcuni casi presentano una carica nichilista talmente forte da rendere la critica alla borghesia poco più di uno schiamazzo cinico (Triangle of sadness, Palma d’oro 2022, o da noi il recentissimo Enea), oppure film ambigui su problematiche di razza e di classe (vedi Nomadland, Leone d’oro e Oscar 2021-22; e chissà se Io Capitano riuscirà a spuntarla nella cinquina per il miglior film straniero contro Wenders, Glazer, Catak e Bayona), realizzati e pensati per impietosire un pubblico che non andrebbe impietosito o divertito, ma invitato a riflettere sui problemi dell’arte e del mondo, come a nostro avviso riesce un film come Oppenheimer, che pure aveva dietro una super produzione, per citare un esempio altrettanto e anzi più commerciale. Crediamo e speriamo che dopo Povere creature! possa aprirsi un confronto a più larga scala, data l’eco del film, su cosa voglia veramente dire un film femminista, o più modestamente un buon film, senza riverberare il discorso sulle qualità tecniche, sulla bellezza dei costumi o sulla bravura degli interpreti, ché si legge purtroppo soltanto di questo. (salvatore iervolino)
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