Ai Rencontres d’Arles per qualche anno ho prestato la mia vista a Patrice, un fotografo marsigliese che divenuto cieco non ha smesso di esserlo. Tra stasi e scatti s’avanzava a braccetto, naufragando dolcemente in ogni immagine che il mio sguardo riteneva degna. Non mi è chiaro ancora se lì ho imparato a vedere o a tradurre. A ogni modo qualcosa ho imparato, per esempio che nella vita non bisogna mai arrendersi, in barba al buio che ci avvolge da ogni direzione.
La cecità è arrivata gradualmente, al tempo in cui girai queste immagini ancora vedeva delle ombre sfocate: se ne andava per un’idea diciamo. Una volta chiuso il sipario, per gestire l’impatto, oltre agli ansiolitici s’è fatto musulmano, anche perché il corano premia con un posto speciale in paradiso chi aiuta i non vedenti, e nella moschea tutti si prendono cura di lui. Ci sono andato pure io qualche volta, fingendomi muto per evitare di dover dire le preghiere. Ha sposato un’algerina (è il suo terzo matrimonio) e hanno avuto una bambina. Per darle il benvenuto, come d’usanza, ha ucciso un animale.
[fine primo tempo]
Patrice ha voglia di scherzare, la parte che non vedrete nelle immagini qui sotto mostra come – dopo aver liberato una papera che lui stesso aveva rapito – fa finta di cadere nel lago, per il gusto di non vedere le facce di quei presenti di cui, questo sì, sente bene le voci. L’orecchio gli si affina via via che l’oscurità avanza.
Patrice mi ha chiesto pure di montare un film che ha girato quando ha perso la vista. Il film si chiama Invisible e finisce quando nasce Sarah, la sua quinta figlia: il padre la tiene in braccio e le dice: «Hai degli occhi stupendi, lo so». (cyop&kaf)
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