Piccole storie dalle montagne di Guerrero è una raccolta di brevi ritratti, testimonianze, narrazioni, messe insieme lungo la strada che conduce a Vicente, villaggio messicano così chiamato perché proprio lì pare abbia soggiornato Vicente Guerrero nel corso di una delle campagne militari per la liberazione del Messico. Vicente si trova nel municipio di Metlatonoc, nella Regione della montagna dello stato di Guerrero. A pochi chilometri da Vicente si trova il villaggio di Nopal, dove si muovono altri dei personaggi raccontati in questi testi.
Prima della loro comparsa, c’è stata lunga notte di viaggio, da Città del Messico a Tlapa. È un viaggio che tiene insieme due mondi distanti, quello dei grattacieli della città e quello delle strade fangose di montagna. Ma la notte è il tempo migliore per viaggiare, da queste parti: c’è un rischio minore di essere paralizzati nel traffico o nei blocchi stradali dei gruppi di manifestanti.
Lo stato di Guerrero era un tempo famoso per le spiagge di Acapulco, frequentate dalle star di Hollywood. Oggi è il catalizzatore mediatico di tanti disastri: dai cicloni alla povertà diffusa, dalla violenza al narcotraffico che occupa, con la forza delle armi, interi territori. Oggi, Guerrero, ha come principale fonte economica non più il turismo, ma la coltivazione e il commercio di droghe. In particolar modo, la Regione della montagna è un luogo isolato e difficile da raggiungere. Nella segregazione di quel territorio c’è la solitudine di un popolo rimasto ai margini dei processi di modernità e di occidentalizzazione che hanno coinvolto il Messico e l’America Latina. Qui, la polvere di secoli passati è ancora appiccicata ai vestiti dei suoi abitanti. Già dopo una notte di viaggio, s’è incollata subito anche ai miei.
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Laura e Luis
Laura e Luis sono una giovane coppia di sposi che vive a Vicente. Laura ha lo sguardo scaltro di chi ha studiato e vissuto in città. Quando sorride, mostra i suoi denti grandi e leggermente sporgenti. Sogna di trasferirsi a Tlapa con Luis, liberandosi della presenza della suocera che vive, con il figlio Uriel, sotto il suo stesso tetto. Luis è gracile e minuto come la sua sposa. Il suo sguardo rivela una grande insicurezza, temperata dalla sua mitezza, dalla semplicità e dalla bontà di cuore. Lavora nella tienda de gobierno situata vicino la casa commisarial. Lì vende prodotti a basso costo che il governo messicano dispensa alla gente della montagna. Alcuni restano invenduti, poiché si tratta di cibi che gli abitanti dei villaggi non prediligono. Luis, a differenza di Laura, vorrebbe rimanere a Vicente, poiché non è interessato a cambiare lavoro. La sua mansione, infatti, non gli comporta un grosso dispendio di energie. Apre e chiude il negozio a sua discrezione o quando un abitante del pueblo glielo chiede. E poi, in fondo, vivere insieme a sua madre gli procura tante sicurezze.
Laura e Luis sono entrambi piuttosto lenti nel prendere decisioni. Tuttavia, nonostante la loro conclamata lentezza, hanno già preso decisioni importanti. I due si sono conosciuti e innamorati a scuola, nella telesecundaria, anche se Luis ha poi interrotto gli studi, mentre Laura li ha continuati a Tlapa. Negli anni del fidanzamento erano costretti a vedersi di nascosto, poiché per la gente delle montagne non è concepita alcuna unione prematrimoniale e lo sposalizio è un accordo tra due gruppi parentali, spesso appartenenti a due villaggi diversi. Sono le famiglie che combinano i matrimoni e lo sposo, insieme ai suoi parenti, deve pagare una ricca dote per ottenere la moglie. Il costo di una sposa varia secondo il suo livello culturale: se è poco istruita vale di più. In questa compravendita ogni scelta d’amore è annullata e le donne si predispongono ad essere al servizio dei propri mariti.
Tra Laura e Luis tutto ciò non è avvenuto: semplicemente si sono scelti e si sono amati. Quando arrivò il momento di sposarsi, Laura ebbe tante resistenze perché Luis non gli appariva ancora come la persona giusta con cui condividere un’intera esistenza. Luis, infatti, non è capace di prendere decisioni e di affrontare i problemi; così come prima di fidanzarsi rimandava a sua madre le scelte da prendere per la sua vita, oggi demanda sempre a Laura la risoluzione di questioni importanti. Tuttavia, quella volta Laura chiese a Luis di fare la voce grossa: di parlare con i suoi genitori e dirgli che l’avrebbe sposata, senza nessun accordo familiare e senza nessuna compravendita. E così Luis superò le sue insicurezze e andò a parlare con i genitori della sua promessa sposa. Lo fece perché la ama veramente. Nana Faustina e Tata Joaquin, i genitori di Laura, persone dal grande cuore, accettarono. In fondo, già sapevano che i due s’incontravano di nascosto, ma glielo lasciavano fare.
Così Laura capì che Luis era la persona giusta perché aveva affrontato con coraggio la sua famiglia. Capì che ha bisogno del suo tempo, ma poi è in grado di superare le sue paure attraverso l’amore che prova nei suoi riguardi. La coppia sigillò il proprio sì, sposandosi con rito cattolico. Laura indossò per l’occasione un vero abito da sposa, cosa rara per la gente di queste terre. In questi luoghi il matrimonio non è quasi mai contratto per il diritto civile messicano, né celebrato cristianamente. È la comunità del villaggio che garantisce la validità del matrimonio. È la comunità che fa il diritto e le sue regole. Spesso gli abiti dello sposo e della sposa sono semplici, quasi a voler indicare che il giorno dello sposalizio è una festa tra le tante. Quasi a voler dire che il matrimonio è semplicemente un dovere che va adempiuto. Per Laura e Luis, invece, quel giorno fu speciale e indimenticabile.
Incontro Laura e Luis nella loro casa. Mentre entro nella piccola porta della loro abitazione, sbatto la testa sull’architrave in legno che la sostiene. Accedo alla camera da letto e, illuminati da una luce fioca, trovo la famiglia riunita: c’è Uriel che gioca con sua mamma, ci sono Tata Joaquin e Nana Faustina seduti su piccole sedie col sedile in paglia; infine ci sono Laura e Luis adagiati ai bordi del letto che vigilano come due guardie una bimba infagottata, al centro del materasso: si tratta della loro figlia, nata da un paio di settimane.
Anche la sua nascita è stata caratterizzata dalla lentezza: doveva nascere a marzo e invece è stata partorita alla fine di aprile, probabilmente a causa di un calcolo errato. Due settimane prima avevo atteso la sua nascita nella clinica di Tlapa, insieme a tutta la famiglia riunita. Eravamo accampati fuori all’edificio e insieme a noi c’erano decine di persone che attendevano i nascituri per giornate intere, ponendo stuoini e sacchi a pelo nella zona antistante all’ospedale. Dopo una lunga attesa, la bimba nacque e fu per tutti una grande gioia.
Laura esercita ancora una volta il suo diritto alla lentezza: sfoglia un libro che fornisce indicazioni sul nome da dare ai nascituri. La sua famiglia sta discutendo da giorni su quale nome dare alla bambina. Qui tra le montagne c’è la tradizione di dare ai propri figli un nome originale, che nessun altro ha. Laura pondera serenamente questa scelta e si è presa tutto il tempo necessario. In fondo non c’è fretta, anzi la velocità per los mixtecosè un concetto relativo: così come i germogli dei campi crescono lentamente, così anche le loro decisioni.
Comincio a sfogliare anch’io il libro dei nomi, dove è indicato il significato di ogni termine, suddiviso in base all’origine di ogni parola: nomi latini, nomi greci e nomi indigeni di provenienza nahuatl.
«Potresti chiamarla Dafne, significa Laura in greco», esclamo dopo un’attenta lettura.
I familiari cominciano a guardarmi perplessi.
«Come si pronuncia? Dacne?», mi chiede Luis.
«No, Dafne».
«Dac… ne».
«Di a effe e», gli dico, ma Luis proprio non è in grado di pronunciarlo.
«Mi piace questo nome», dice Laura, con sorpresa da parte di tutti, soprattutto di suo padre che avrebbe voluto si chiamasse Joaquina.
Alla fine la chiamerà Dafne Abril, perché nata nel mese di aprile. Un nome che nessuno ha, nemmeno le persone dei villaggi vicini.
Mi chiedo se Luis riuscirà mai a pronunciare tali parole. Mi chiedo se un giorno Laura racconterà a sua figlia di quel missionario italiano che le suggerì quel nome così strano. Mi chiedo se entrambi, un giorno, riusciranno a trasferirsi in città, liberandosi definitivamente di quei legami che li tengono avvinghiati alle loro famiglie. Qualsiasi cosa gli accadrà, comunque, lentezza e fermezza saranno sempre la loro forza. (delio montieri)
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