(segue da: Per un servizio sanitario appropriato #1)
DEISTITUZIONALIZZAZIONE E INTEGRAZIONE SOCIOSANITARIA
Ogni contenitore, edificio, palazzina che ospita delle persone e le costringa a stare lì, è un segno grave di esclusione, discriminazione e razzismo praticato da quella società. Le strutture residenziali per quanto possano essere “addolcite”, svolgono una funzione di costrizione e di galera per il tipo di persone che si rinchiudono e si isolano: disabili fisici o sofferenti mentali, anziani, transessuali e in attesa di giudizio.
Il Servizio sanitario nazionale deve fare molta attenzione nel de-istituzionalizzare le proprie azioni, rendendo le prestazioni che eroga come derivanti da un approccio multidisciplinare e olistico. I tre campi nei quali si articola – prevenzione, assistenza distrettuale e assistenza ospedaliera –, non sono settori separati ma componenti flessibili di un insieme unico teso alla salvaguardia della Salute individuale e collettiva. I costi della capacità di accogliere i bisogni posti sono insignificanti, ma molto efficaci e conferiscono appropriatezza organizzativa al servizio capace di queste risposte.
Le diseguaglianze di salute evidenziano sempre più il peso negativo delle discriminazioni sociali nella tutela della salute. Infatti la malattia è presente di più nei gruppi svantaggiati, basti l’esempio che il diabete risulta più diffuso tra le persone senza titolo di studio o con la sola licenza elementare, in quelle con difficoltà economiche e nelle persone obese. Il servizio sanitario può garantire la porta unica di accesso alla popolazione con bisogno sociosanitario, quindi coinvolgere i servizi sociali degli enti locali per assicurare insieme la risposta al bisogno, che è prevalentemente complesso, quindi necessita di un approccio multidisciplinare.
PRIVATOCRAZIA E DIVARI TERRITORIALI
L’ALPI, cioè l’attività libero-professionale intramuraria, va intesa come strumento che concorre a garantire le risposte al bisogno/domanda senza creare discriminazione tra i riceventi e ampliando la possibilità di scelta tra gli assistiti dell’operatore sanitario che li segue nella cura. Non può essere usata per eliminare l’uniformità che deve funzionare all’interno del servizio sanitario. Accedere alle prestazioni libero professionali intramoenia permette alla persona assistibile di scegliere l’operatore sanitario di sua fiducia, non può comportare la riduzione dei tempi di attesa non rispettati nelle attività ordinarie, con evidente discriminazione tra le persone e contraddicendo la missione universalistica e solidaristica del servizio sanitario pubblico.
I tempi di attesa delle prestazioni sia ambulatoriali che di ricovero devono rispettare le regole definite, assicurando la prestazione entro i tempi stabiliti dai codici di priorità della ricetta redatta dal medico di medicina generale o dallo specialista. U urgente entro settantadue ore, B breve entro dieci giorni, D differibile entro trenta giorni per le visite o sessanta giorni per diagnostica strumentale, P programmata entro centoventi giorni. Al momento l’unica tutela è la possibilità di richiedere l’effettuazione della prestazione in ALPI a carico dell’Azienda sanitaria o ospedaliera che non è in grado di rispettare i termini di priorità in attività ordinaria.
La privatocrazia ha ormai sostituito completamente la democrazia nella Sanità, la quota di prestazioni non erogata dai servizi a gestione pubblica diretta viene effettuata da organizzazioni (società, associazioni, cooperative) profit o non profit, comunque di natura privata. Risulta evidente che molte attività, dalla pulizia delle stanze a interventi cardiochirurgici, non sono più governate dal pubblico. La quota erogata e governata dal privato risulta poi variabile tra le diverse regioni d’Italia.
Nei primi anni del servizio sanitario nazionale i cosiddetti Convenzionati coprivano circa il venti per cento delle attività, l’uniformità, l’universalità e l’unificazione erano state definite e conquistate da poco, grazie al superamento della frammentazione che esisteva nelle strutture sanitarie dell’epoca, con la evidente discriminazione di tutela tra le persone in ragione della stratificazione sociale (casse mutue). I tre pilastri su cui nasceva il servizio nazionale richiedevano il contenimento della quota assicurata dai Convenzionati, sia per evitare la mercificazione delle prestazioni sanitarie che per assicurare la riduzione degli squilibri esistenti.
Nel 2005 erano trascorsi circa dieci anni dalla trasformazione delle Unità sanitarie in Aziende sanitarie con l’obbligo del pareggio di bilancio. Le azioni per “il superamento degli squilibri territoriali nelle condizioni sociosanitarie del paese” NON erano state attuate, anzi le diseguaglianze esistenti erano aumentate. Basti pensare che il finanziamento negli anni Ottanta era sostanzialmente sulla spesa storica, le regioni del nord continuavano a ricevere il finanziamento per un numero di posti letto molto più alto della media nazionale, mentre le regioni meridionali, avendo una forte carenza di strutture e personale e ricevendo un basso finanziamento, aumentavano il divario con le regioni più finanziate. A metà degli anni Novanta in Lombardia, Veneto ed Emilia Romagna vi erano molti più medici, infermieri e ausiliari sociosanitari per mille abitanti, di quanti ve ne fossero in Campania e Calabria. In quel periodo cambiò il finanziamento, divenendo a quota capitaria corretta per l’anzianità della popolazione regionale, ma senza tenere in considerazione i livelli di deprivazione sociali ed economici delle popolazioni locali. Le Aziende sanitarie ricevevano un finanziamento ulteriormente discriminante, contribuendo ad aumentare il divario e gli squilibri territoriali esistenti, in barba a quanto prevedeva la normativa.
In una condizione di differente dotazione del personale sanitario dipendente tra le diverse regioni, la legge finanziaria del 2006 definisce il tetto di spesa per il personale dipendente del servizio sanitario nelle varie regioni e provincie autonome come un costo massimo pari alla spesa del personale dipendente sostenuta dalle aziende sanitarie e ospedaliere nel 2004 maggiorata dell’1,4%!
È semplice comprendere che, avendo come tetto di spesa il costo sostenuto da ogni singola regione per un personale più o meno numeroso rispetto alla popolazione, le regioni con meno personale sono quelle più penalizzate e non potendo sostituire i pensionati, per prime iniziano a dover dismettere servizi sanitari a gestione diretta, allungando anche le liste di attesa per visite e prestazioni di diagnostica strumentale.
OBIETTIVO PEREQUATIVO NELLE DISEGUAGLIANZE
Il Servizio sanitario nazionale deve impegnare le sue risorse in primis per la riduzione delle diseguaglianze e discriminazioni esistenti tra le varie aree del paese. La priorità è affidata a quest’obiettivo, in quanto costituzionale e legislativo. La discriminante maggiore e più biasimevole è quella relativa alla morte, non può essere ammissibile che soltanto perché si nasca in un determinato posto, quel neonato vivrà due anni meno dei neonati di altre regioni.
La mortalità evitabile è suddivisa in prevenibile e trattabile. Le morti prevenibili sono quelle che, alla luce dei determinanti di salute (politiche sanitarie, stili di vita, fattori ambientali, status socio-economico) attivi al momento della morte, potevano essere evitate tramite interventi di sanità pubblica in senso ampio. Le morti trattabili, invece, sono quelle evitabili, alla luce delle conoscenze mediche e tecnologiche al momento della morte, con cure mediche ottimali. Se può essere complesso identificare i colpevoli della mortalità prevenibile, nel caso delle morti trattabili solo il sistema sanitario è imputabile. Il sistema di sorveglianza PASSI, operativo da quasi venti anni, permette di conoscere i comportamenti e gli elementi a rischio salute. Questi dati devono orientare le regioni e le Asl verso gli interventi da privilegiare nella programmazione e operatività sanitaria. Elementi indagati dal PASSI sono l’attività fisica, sovrappeso e obesità, consumi di frutta e verdura, consumo di alcol, abitudine al fumo, fumo passivo e smettere di fumare, rischio cardiovascolare, ipertensione arteriosa, ipercolesterolemia, diabete, calcolo del rischio e fattori di rischio multipli, dispositivi per la sicurezza stradale, guida sotto effetto dell’alcol, sicurezza in casa, diagnosi precoce tumore collo utero, diagnosi precoce tumore mammella, diagnosi precoce tumore colon-retto, vaccinazione influenza stagionale, vaccinazione antirosolia, percezione dello stato di salute e depressione.
Per ridurre le diseguaglianze di salute, in particolare sulla sopravvivenza e sulla mortalità evitabile, bisogna rendere operative le equipe di comunità, che in questa fase di ricostruzione del servizio sanitario pubblico, sono da costituirsi con un infermiere e un operatore sanitario dedicati alla presa in carico – in un bacino di persone pari a 25 mila abitanti – di pazienti fragili, sia per l’età (ultrasettantenni) che per patologia (diabetici, ecc.). Sul territorio distrettuale per ogni 25 mila abitanti ci dovrà essere una equipe di comunità, quando la densità abitativa è inferiore a 201 ab/kmq si integra un infermiere. Per esempio, in una regione come la Campania che conta poco meno di sei milioni di abitanti, vanno organizzate 240 equipe di comunità con 250 infermieri e 240 operatori sociosanitari dedicati completamente alla presa in carico assistenziale sul territorio e a domicilio, per ogni necessità sociosanitaria che presentino i pazienti fragili nel bacino di riferimento. L’infermiere e l’operatore faranno riferimento ai medici di medicina generale e agli specialisti ambulatoriali e ospedalieri. Gli interventi avranno sempre la finalità preventiva, pur se spesso risulteranno di prevenzione terziaria per evitare complicazioni o aggravamenti. La prevenzione primaria e secondaria (educazione alimentare, stili di vita, diagnosi precoce e screening) è la ragion d’essere dell’infermiere di comunità.
AGGIORNAMENTO DEI PRINCIPI E OBIETTIVI DELLA LEGGE 833/1978
L’articolo 1, i Principi, e l’articolo 2, gli Obiettivi della legge 833/1978 che istituisce il Servizio sanitario nazionale, sono tuttora vigenti.
Il servizio sanitario nazionale nell’ambito delle sue competenze persegue:
a) il superamento degli squilibri territoriali nelle condizioni socio-sanitarie del paese;
b) la sicurezza del lavoro, con la partecipazione dei lavoratori e delle loro organizzazioni, per prevenire ed eliminare condizioni pregiudizievoli alla salute e per garantire nelle fabbriche e negli altri luoghi di lavoro gli strumenti ed i servizi necessari;
c) le scelte responsabili e consapevoli di procreazione e la tutela della maternità e dell’infanzia, per assicurare la riduzione dei fattori di rischio connessi con la gravidanza e con il parto, le migliori condizioni di salute per la madre e la riduzione del tasso di patologia e di mortalità perinatale e infantile;
d) la promozione della salute nell’età evolutiva, garantendo l’attuazione dei servizi medico-scolastici negli istituti di istruzione pubblica e privata di ogni ordine e grado, a partire dalla scuola materna, e favorendo con ogni mezzo l’integrazione dei soggetti handicappati;
e) la tutela sanitaria delle attività sportive;
f) la tutela della salute degli anziani, anche al fine di prevenire e di rimuovere le condizioni che possono concorrere alla loro emarginazione;
g) la tutela della salute mentale, privilegiando il momento preventivo e inserendo i servizi psichiatrici nei servizi sanitari generali in modo da eliminare ogni forma di discriminazione e di segregazione, pur nella specificità delle misure terapeutiche, e da favorire il recupero e il reinserimento sociale dei disturbati psichici.
Il motivo dell’efficienza del servizio, usato per far accettare la trasformazione in aziende, non ha giustificato il ricorso alle esternalizzazioni, infatti dopo due o tre cicli annuali di appalto si perde sia l’efficienza che la qualità dei servizi dati in concessione. Il rispetto di questi obiettivi e principi assicura un sistema sanitario pubblico coerentemente appropriato. Gli aspetti di universalità, uniformità e unicità sono raggiungibili con una organizzazione territoriale a gestione unificata della prevenzione, dell’assistenza distrettuale e ospedaliera. Il metodo guida per salvaguardare la salute sarà quello dell’appropriatezza clinica e organizzativa, rigettando quello mercantile delle aziende. L’abrogazione legislativa del tetto di spesa sul costo del personale e un finanziamento intelligente dei servizi sanitari, cioè maggiore nelle realtà più svantaggiate e dotate di meno personale della media nazionale per abitanti, concorreranno a tutelare la salute senza discriminazioni e a ridurre le diseguaglianze di salute, che invece caratterizzano il sistema mercantile delle prestazioni sanitarie. Il Servizio sanitario va gestito direttamente dal pubblico con l’obiettivo di un margine residuale di spesa di un quinto, destinata alle esternalizzazioni e all’accreditamento di enti privati sia profit che non profit. Il Servizio sanitario va finanziato con almeno il nove per cento del Pil, con una redistribuzione che privilegi le regioni attualmente più svantaggiate. (vincenzo caporale)
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