Questo contributo nasce da un’esperienza collettiva che stiamo portando avanti da circa un anno, con l’intenzione di costruire uno spazio di azione e riflessione sul welfare pubblico. Il percorso ha avuto origine da una diffusa preoccupazione circa i processi di privatizzazione, e dal desiderio di scambiarci idee e pratiche di ricerca, di lavoro e di fruizione dei servizi per trovare delle strategie di ripensamento del welfare pubblico.
Al gruppo (che si è dato il nome di Laboratorio Welfare Pubblico) prendono parte persone che lavorano a diverso titolo nel welfare: chi nei servizi, chi in enti di ricerca (accademici e non). Ci siamo domandati: in che modo il mio modo di essere operatrice/ore in una cooperativa può favorire la privatizzazione e quali pratiche posso mettere in atto per promuovere il lavoro sociale in una cornice pubblica? E la mia maniera di fare ricerca o di tenere un corso universitario come può amplificare o porre un freno a questi processi?
Essenziale ci pare sforzarci di trovare una postura plurale, capace di tenere insieme aspetti che tendono a escludersi e sono invece intrecciati: le condizioni contrattuali e il senso del lavoro sociale; la lotta contro lo sfruttamento e le pratiche aziendaliste delle cooperative; quella contro le politiche che le foraggiano e incentivano; la critica del pubblico così come è; uno sguardo critico e auto-critico sulle esperienze emergenti del mutualismo e dei beni comuni; la lotta per i diritti dei cittadini-utenti e il riconoscimento della loro necessaria soggettività politica; l’analisi attenta delle politiche e la mobilitazione per contrastarle o sostenerle; la coltivazione di alternative locali e di sistema.
Come sempre, e ancor di più in contesti di grande precarietà come quelli del lavoro sociale e della ricerca, la soluzione non può che scaturire dalla costruzione di relazioni e alleanze. Con questo spirito abbiamo organizzato una scuola-laboratorio, un’iniziativa gratuita che si è tenuta l’1 e il 2 ottobre all’Università di Padova, e che ha visto partecipi cinquanta persone da tutta Italia. Tra le realtà presenti vi era anche il collettivo “Educatori uniti contro i tagli”, che ha dedicato una puntata del podcast “Signore e signori il Welfare è sparito” alla due giorni padovana.
DUE GIORNI DI SCUOLA-LABORATORIO
Durante la scuola-laboratorio sono quattro le questioni emerse con più forza:
- la costruzione di alleanze sociali più ampie, a partire da quella con utenti e famiglie;
- la difficoltà a condividere con colleghe/i strategie di azione e di trasformazione;
- l’inadeguatezza della formazione che chi lavora nel sociale riceve, schiacciata su aspetti tecnici e inefficace nell’offrire strumenti per una lettura critica dei contesti di lavoro;
- l’internalizzazione dei servizi come orizzonte possibile delle rivendicazioni.
Nell’affrontare queste questioni abbiamo immaginato un doppio livello: da un lato, la costruzione di alleanze a partire dai luoghi di lavoro; dall’altro, la costruzione di uno spazio pubblico più ampio.
Per le vertenze (per esempio su banca ore, supervisione, équipe, ore di spostamento da un servizio all’altro) abbiamo identificato come prima operazione necessaria la ricostruzione dei modi di funzionamento dell’intera filiera lavorativa, ovvero dell’insieme di istituzioni, enti e operatrici/ori che a vario titolo agiscono in un certo servizio. Questo permetterebbe una maggiore consapevolezza dei vincoli e degli spazi di azione, di riconoscimento e conflitto.
Per la costruzione di uno spazio pubblico più ampio, è emersa la necessità di continuare ad attraversare gli spazi già esistenti (sindacati, reti di attivismo, collettivi operanti sui territori), al fine di evitare una dispersione delle energie. Per questo è emersa la volontà di adottare una postura diversa, che implica un rifiuto attivo della competitività dentro e tra le realtà, a favore di contaminazioni e ispirazioni reciproche.
Molti/e partecipanti hanno raccontato come per alcune/i colleghe/i il lavoro sociale sia vissuto come una missione (spesso incorporando le retoriche dei dirigenti: “siamo come una famiglia”, “siamo qui per la stessa ragione ideale”), mentre invece le pratiche sindacali siano percepite come estranee. In questa situazione, l’organizzazione collettiva, seppure possibile (come hanno testimoniato le Social Frogs piemontesi e le Educatrici Arrabbiate di Bologna, anche loro presenti alla due giorni), si rivela complessa. Da un lato, sindacati di base e collettivi hanno raccontato la fatica di coinvolgere colleghi/e nelle mobilitazioni, dall’altro alcune operatrici divenute dirigenti di cooperativa hanno raccontato la diffidenza di molte colleghe a diventare socie – una condizione che, sappiamo da molte ricerche, è del resto usata da molte di queste realtà come strumento di cooptazione anziché di reale partecipazione. In mezzo a queste due “mancate partecipazioni” (tanto alle mobilitazioni quanto alla gestione delle cooperative), è emersa la necessità di costruire spazi di condivisione rispetto al proprio lavoro, sia fuori dai contesti controllati dalla cooperativa, sia avvalendosi anche di strumenti esistenti ma poco praticati o ridotti a momenti di sfogo, quali le équipe e la supervisione.
Per quanto riguarda la formazione, abbiamo discusso di come quella universitaria sia improntata all’acquisizione di strumenti e tecniche di intervento, ma taccia su come (non) sia possibile mettere a frutto questo bagaglio in un mercato in cui la precarietà e l’esternalizzazione dei servizi deprimono le potenzialità di trasformazione del lavoro sociale. Le operatrici e gli operatori (o futuri tali) hanno poche occasioni per riflettere sui processi di privatizzazione, sugli interessi sottesi a questi processi e sull’impatto che producono sul lavoro e sulla qualità dei servizi (da segnalare la pubblicazione in questi giorni di un manuale di autodifesa per operatrici e operatori sociali da parte delle Camere del lavoro autonomo e precario di Roma). Per questo è emersa la necessità di organizzare degli incontri di autoformazione con la prospettiva di ideare dei moduli didattici alternativi.
Infine, a partire dalla consapevolezza dell’agonia e delle storture del welfare mix – improntate sulle logiche del massimo ribasso –, abbiamo affrontato il tema dell’internalizzazione dei servizi come orizzonte possibile, così come proposto da molte organizzazioni sindacali di base in una campagna nazionale lanciata nel 2019, in cui si rivendica che siano gli enti locali ad assumere operatrici/ori per far fronte alle loro iper-precarie condizioni di lavoro. Dell’internalizzazione sono stati analizzati anche i rischi legati al funzionamento attuale del settore pubblico, caratterizzato da una forte burocratizzazione, da protocolli standardizzati e da una carenza di risorse.
Ci siamo quindi chiesti cosa significhi per noi fare in modo che i servizi rientrino nell’ambito pubblico. Ci siamo presi la libertà di immaginare – e quindi rivendicare – un settore pubblico diverso da quello attuale, in cui esistano spazi – anche conflittuali – capaci di garantire diritti universali e di costruire emancipazione per chi questi spazi li attraversa. Ma questo è possibile solo in presenza di un lavoro pubblico di qualità e di servizi che favoriscano la partecipazione in maniera uniforme su tutto il territorio nazionale. Nonostante si sia a lungo sostenuto che il terzo settore fosse in grado di garantirlo, è evidente come queste speranze siano state frustrate, tanto dalle pratiche aziendali che hanno abbassato il costo del lavoro e la qualità dei servizi, quanto dall’abbandono di istanze politiche che hanno reso molti servizi luoghi privi della voce di chi ci lavora e di chi ne fruisce.
La domanda principale con cui ci siamo lasciati è stata quindi: come coltivare questo orizzonte di un settore pubblico diverso? Mentre, proprio in questi giorni, prima USB e poi un ampio coordinamento di sindacati di base hanno lanciato una piattaforma per il rinnovo del contratto collettivo nazionale delle cooperative sociali, la domanda è più che mai urgente.
CONCLUSIONI
Chi siamo dunque e cosa vogliamo fare? Vorremmo costruire da un lato terreni di incontro tra prospettive ed esperienze diverse, partendo dai rispettivi contesti di vita e di lavoro; dall’altro sviluppare (attraverso pratiche di con-ricerca) e mettere a disposizione strumenti di varia natura – teorici, pratici, comunicativi – per le singole realtà politiche che quotidianamente si attivano sui territori. Queste due prospettive – essere terreno e strumento – saranno la base per le iniziative dei prossimi mesi, in cui vorremmo dare continuità al lavoro svolto con chi ha partecipato alla scuola-laboratorio e, allo stesso tempo, conoscere ed entrare in relazione con nuovi soggetti. L’idea del Laboratorio Welfare Pubblico è quella di dar forma a uno spazio reticolare e poroso da attraversare e dal quale essere attraversate/i. Chi è interessato/a al percorso, puoi scriverci alla mail:
labwelfarepubblico@gmail.com
Leave a Reply