“Ma il morbo infuria
Ma il pan le manca…
Sul Ponte sventola
Bandiera bianca!”.
(A. Fusinato, L’ultima ora di Venezia, 1849)
Una serie di pazienti con polmonite a eziologia ignota vengono segnalati dalle autorità sanitarie di Hubei, in Cina, il 31 dicembre 2019. In un primo momento i pazienti registrati con questa nuova, misteriosa forma di malattia sono ventisette [1]. Il 5 gennaio le autorità sanitarie di Wuhan segnalano cinquantanove casi di una polmonite virale severa a eziologia ignota per la quale non c’è ancora evidenza di trasmissione interumana [2]. Il Chinese Center for Disease Control and Prevention (CDC) annuncia, il 7 gennaio, che è stato isolato un nuovo virus, denominato 2019-nCoV, responsabile dell’esplosione del focolaio di polmonite [3]. In seguito a questa segnalazione la malattia viene denominata Coronavirus Disease 2019 (Covid-2019) dall’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) e il virus responsabile SARS-CoV-2 dal Comitato Internazionale per la Tassonomia dei Virus [4].
Nei giorni successivi il numero dei pazienti colpiti sale rapidamente a quarantuno, sette dei quali ammalati in maniera critica, con il primo decesso ufficiale nel report dell’11 gennaio. Le autorità cinesi segnalano la situazione all’OMS, riportando che alcuni pazienti colpiti sono commercianti e addetti alle vendite di un mercato ittico [5]. I ricercatori si concentrano per delineare un primo quadro epidemiologico di questo nuovo, preoccupante evento, rintracciando molti cluster di infezione familiari, che fanno pensare alla possibilità del contagio interumano [6]. Il 3 febbraio 2020 i casi segnalati sono 17.496, con 362 decessi e una distribuzione geografica che interessa venticinque paesi. Con una popolazione che supera di molto quella di New York e il suo ruolo di snodo dei trasporti, la città di Wuhan è un eccezionale brodo di coltura per l’esplosione del contagio, amplificata dalla coincidenza con il picco di viaggi per il capodanno cinese, che accelera la diffusione dei virus allevati nella pancia della megalopoli.
Dal 16 febbraio in poi i casi totali di Covid-19 aumentano rapidamente, con una crescita aggressiva del numero di casi totali e dei nuovi casi giornalieri, sicuramente correlata alla messa in atto dei test diagnostici; ma le reazioni dei governi occidentali, nonostante la velocità del contagio, sono di sufficienza anche se molti indizi suggeriscono che potrebbe andare in un altro modo.
Un elemento fondamentale nell’affrontare un’epidemia sono le informazioni derivanti dalle esperienze pregresse. In alcuni casi, come l’HIV-1 e l’Ebola, l’approccio risulta difficile proprio per la novità della patologia e l’assenza di eventi simili pregressi con i quali confrontarsi. Nel caso della pandemia da SARS-Cov-2 un “vantaggio” era proprio costituito dal fatto che l’agente patogeno è un “cugino” dei due Coronavirus che avevano dato vita alle epidemie di SARS, nel 2002-2003 nella provincia di Guandong e quella di MERS in Arabia Saudita nel 2012.
La SARS è stata la prima epidemia su vasta scala del XXI secolo, che provocato circa ottocento morti e un totale di 8.098 casi in un arco temporale di nove mesi. La Middle East Respiratory Syndrome (MERS) è stata in seguito descritta in Arabia Saudita nel 2012, e ha colpito ventisette paesi, con un totale di ottocento vittime circa su 2.506 casi [7]. Le due epidemie condividevano molti tratti comuni, come l’agente patogeno, il periodo di incubazione e i meccanismi biologici che hanno provocato in entrambi i casi severe sindromi respiratorie. Quello che differenzia le due epidemie da Coronavirus degli anni passati da quest’ultima, invece, è la contagiosità molto più elevata del SARS-CoV-2 che, infatti, ha infestato il pianeta in maniera molto rapida sfruttando alcuni fattori antropici come la globalizzazione dei commerci e la grande rete di mobilità tra i paesi del mondo. Alcuni animali come i pipistrelli disseminano i virus tramite le loro feci durante il volo, gli aeroplani trasportando individui infetti ai quattro angoli del globo.
Oltre alle due esperienze pregresse, l’origine dell’epidemia in Cina ci ha fornito un evidente “vantaggio” che andava sfruttato per contenere al massimo la diffusione del contagio. Nonostante alcune incertezze iniziali, infatti, la macchina sanitaria cinese si è messa in moto attuando un piano di prevenzione duro e, da quello che vediamo oggi, efficace. Il 23 gennaio la città di Wuhan viene messa in quarantena e diverse province cinesi mettono in campo misure drastiche per contenere la diffusione del virus. Il 30 gennaio l’OMS proclama lo stato di emergenza internazionale. Venti giorni dopo il riscontro dei primi casi, il governo locale intensifica le misure restrittive nonostante le quali il numero dei contagi cresce rapidamente. In Europa la reazione è lenta e macchinosa, nonostante i moniti dell’OMS e una riunione straordinaria dei ministri della salute che si tiene a Bruxelles il 13 febbraio. Intanto comincia la danza macabra dei dati, frutto di metodi di conteggio non standardizzati mentre a metà febbraio i morti in Cina sono 1.600 su un totale di circa 70 mila contagiati. In Italia il problema viene ampiamente sottovalutato anche da una parte del mondo scientifico. Il prof. Massimo Galli, dell’Ospedale Sacco di Milano, rassicura la popolazione affermando categoricamente, il 10 febbraio, che il Coronavirus non arriverà in Italia. Se lo dice lui il governo è tranquillo e non è costretto a dare cattive notizie a Confindustria, che resisterà alla richiesta di blocco delle attività produttive fino alla fine, nonostante migliaia di infetti, morti e un sistema sanitario al collasso. Anche la dottoressa Gismondo, direttrice del Laboratorio Diagnostica Bioemergenze dello stesso ospedale, minimizza il problema riducendolo a una “normale influenza stagionale” e dando il via a una querelle tra scienziati trascinatasi fino a oggi. È chiaro che la portata di queste affermazioni sia del tutto funzionale al ritardo del governo che sa di non riuscire a sostenere uno sforzo economico come quello del lockdown, durante il quale dovrebbe garantire un reddito a chi non può lavorare oltre a sostenere un sistema sanitario fatto a pezzi negli ultimi trent’anni. Intorno al 20 febbraio, intanto, vengono individuati i focolai italiani di Castiglione d’Adda, in Lombardia, e Padova, l’inizio di una lunga serie che metterà in ginocchio il nord del paese. La prima area che viene sottoposta a provvedimenti di isolamento è quella del lodigiano ma la consapevolezza nel paese ancora manca, le attività proseguono normalmente, gli stadi, i centri commerciali e i mezzi di trasporto sono pieni. Il virus viaggia indisturbato e l’Italia, con cento casi confermati a pochi giorni dal primo caso rilevato, è il paese europeo più colpito.
La quarantena arriva il 9 marzo, oltre due mesi dopo l’annuncio delle autorità cinesi, un mese e mezzo dopo la quarantena di Wuhan e l’annuncio dell’OMS. Un ritardo difficilmente accettabile che lascia sul campo numerosi interrogativi su quanto sia costato in termini di vite umane e costi di gestione dell’emergenza “a valle” e non “a monte” con misure preventive immediate. Non ultima la domanda di fondo, la diffusione del SARS-CoV-2 era, come sostengono molti, un evento inatteso e imprevedibile? Su questi termini si gioca gran parte della partita. Era sicuramente un evento inatteso, perché nessuno lo aspettava. Ma non era un evento imprevedibile, anzi. (antonio bove – continua…)
LEGGI ANCHE:
Pandemia #1. Il fantasma di Virchow
[1] Wuhan Municipal Health Commission, 31 Dic 2019
[2] Wuhan Municipal Health Commission, 5 Jan 2020
[3] Zhu N. et al., A novel coronavirus from patients with pneumonia in China, Engl N., Med J., 2019
[4] World Health Organization, Coronavirus Disease 2019 (COVID 2019). Situation Reports, Feb 2020
[5] Pneumonia of unknown cause, WHO, 30 Gen 2020
[6] Chan JF. et al., A familiar cluster of pneumonia associated with the 2019 novel coronavirus indicating person-to person transmission: a study of a family cluster, Lancet 2020
[7] Ashour HM. et al., Insights into the recent 2019 novel Coronavirus (SARS-CoV-2) in light of past human Coronavirus outbreaks, Pathogens 2020
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