Lo sgombero delle palazzine di via dell’Avvenire, a Pianura, occupate per anni da una comunità di immigrati dell’Africa Occidentale, rivela uno scenario in cui più che l’intolleranza verso lo straniero, sembrano essere stati determinanti i milioni stanziati per la ricostruzione del quartiere
Dopo il crollo di Gianturco e la morte di due cittadini polacchi, è tornato a galla un altro vecchio problema che lega edilizia pubblica napoletana e immigrazione: quello delle palazzine di via dell’Avvenire a Pianura. Pochi giorni dopo la scomparsa di Aleksandra e Ceslav, infatti, lo scorso aprile, le palazzine sono state sgomberate, e gli immigrati che le occupavano allontanati dall’edificio, per trovare una sistemazione temporanea nell’ex autoparco di Via Brin. Entro la fine di giugno il Comune avrebbe dovuto assicurare loro un alloggio definitivo, ma così non è stato. All’origine dello sgombero, comunque, sembra non esserci stato solo un problema di sicurezza o intolleranza, ma una storia più complicata che riemerge dopo qualche anno.
La comunità di via dell’Avvenire è costituita soprattutto da africani (in maggioranza provenienti da Burkina Faso e Costa d’Avorio), arrivati a Pianura a inizio anni Novanta, quando una parte dei napoletani residenti in precedenza avevano abbandonato le case. «La convivenza con gli abitanti del quartiere non ha mai creato problemi – racconta Jamal, responsabile immigrazione della Cgil in Campania – fino alla nascita di strani episodi di intolleranza, a partire dal settembre del 2007». Tutto comincia, infatti, con alcune incursioni notturne, lanci di sassi e bottiglie incendiarie, scritte con minacce di morte ovunque. Qualche settimana dopo, alcuni manifesti di Alleanza Nazionale compaiono sui muri del quartiere, denunciando la situazione di degrado, in riferimento alla presenza dei duecento immigrati.
La comparsa improvvisa dei manifesti sembra quasi un segnale, e pochi giorni dopo qualche decina di cittadini – non solo abitanti della zona – scende in strada in maniera movimentata, per chiedere lo sgombero degli edifici. Con loro, il consigliere regionale Pietro Diodato, suo fratello Nicola (consigliere municipale) e il consigliere comunale Andrea Santoro, tutti esponenti di AN della zona flegrea. Durante quella giornata gli immigrati vengono sottoposti a un vero e proprio assalto: asserragliati nelle loro case subiscono dalla folla minacce di una “nuova Ponticelli” (in riferimento all’incendio del campo rom nella periferia nord di Napoli che si era verificato poco tempo prima), lanci di oggetti, fino all’aggressione ai danni del mediatore culturale Emiliano Di Marco, dopo gli insulti e le minacce ricevute proprio da Diodato. Di Marco racconta di come la propria denuncia «precisa e dettagliata, in cui vengono fornite foto, nomi e cognomi, non abbia avuto seguito, e anzi sia stata chiesta addirittura l’archiviazione da parte della procura, proprio pochi giorni prima delle ultime elezioni regionali».
In ogni caso lo sgombero chiesto con forza da Diodato e dai suoi non avrà luogo sul momento, ma quella giornata segna l’inizio di una campagna contro gli immigrati guidata da noti esponenti di una certa destra napoletana. Una campagna che per la sua violenza e per la sua improvvisa esplosione mostra alcuni punti oscuri, a cominciare dagli interessi per le opere di riqualificazione della zona, e in particolare per i fondi del cosiddetto “contratto di quartiere”. Si tratta di otto milioni e mezzo di euro che il governo Berlusconi aveva stanziato per la riqualificazione del centro storico di Pianura, e altre opere che in realtà non sono mai state realizzate. Alla presentazione del progetto, nel 2008, oltre al sindaco Iervolino, erano presenti i pianuresi Diodato e Santoro, oltre a Giorgio Nugnes, ex assessore alla protezione civile, poi morto suicida in seguito all’inchiesta MagnaNapoli.
Ma cosa c’entra tutto questo con la rivolta del 2007, che si sarebbe probabilmente ripetuta dopo il crollo di Gianturco, se il comune non avesse sgomberato le palazzine? Perché mai qualcuno avrebbe dovuto voler cacciare gli immigrati da Pianura? La risposta la fornì su un piatto d’argento proprio l’ex assessore Nugnes: «Le palazzine di via dell’Avvenire sono parte integrante nell’ambito del recupero della legge 219, sulla ricostruzione post-terremoto: insistono infatti in una zona che doveva essere riqualificata, e per questo verranno utilizzati gli otto milioni di euro del contratto di quartiere, e il finanziamento di dodici milioni dalla regione». Con gli immigrati dentro, le palazzine non sarebbero state “riqualificabili” a suon di appalti, né acquisibili da parte di privati.
Privati come Giorgio Amabile, per esempio, che ha invece acquistato le palazzine ai numeri civici dieci e dodici, nel febbraio 2009. Amabile è il cugino dello stesso Diodato che si batte tenacemente per lo sgombero delle palazzine, per magari vederle “riqualificate” da amici e parenti. Amabile, peraltro, è una faccia piuttosto nota sia alle forze dell’ordine che alle organizzazioni camorriste, noto come ‘O marocchino, ex affiliato alla Nuova Camorra Organizzata di Raffaele Cutolo, e condannato a sette anni per associazione a delinquere, tentato omicidio, incendio doloso, porto di esplosivi, danneggiamento ed estorsione. I rapporti tra Amabile e Diodato (come spiega una inchiesta aperta a riguardo dalla Dda) non sono solo di parentela: la moglie dell’ex cutoliano, Gaetana Volpe, è stata infatti in affari proprio con Diodato nella società Competizione Sport S.a.s. Non mancano insomma le relazioni e gli interessi tra chi voleva a ogni costo restituire “Pianura ai pianuresi” e chi era pronto a usufruire della “restituzione” gestendo la riqualificazione della zona.
Elementi nuovi, infine, vengono dall’indagine della magistratura sugli scontri della discarica di Pianura: i pm, infatti, hanno ritenuto sospetto l’atteggiamento di Diodato, che dopo essersi espresso a favore della riapertura del sito, mutava atteggiamento quando “si conclamava che il provvedimento antimafia per la società Elektrica S.r.l. avrebbe determinato la mancata erogazione di indennizzi o compensi per l’uso dell’invaso”. Il sospetto, insomma, è che una volta scoperta l’impossibilità di un ricavo per l’Elektrica, Diodato abbia deciso che non era più il caso di “restituire” anche la discarica, ai pianuresi. Ma cosa c’entra Diodato con l’Elektrica? E Amabile? Sempre per i magistrati, dietro la mancata riapertura della discarica (e quindi dietro gli scontri) ci sarebbe tra gli altri, un socio occulto della Elektrica, società che aveva la proprietà della discarica di Contrada Pisani. Ebbene, il profilo del misterioso socio è quello di un “uomo noto alle forze dell’ordine, ex affiliato alla NCO di Cutolo, e che agirebbe con il sostegno del consigliere regionale di AN Pietro Diodato”. Non resta che arrovellarsi il cervello per capire chi possa mai essere quest’uomo. (riccardo rosa)
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