Sarà proiettato domani, lunedì 14 dicembre (ore 20,30, cinema Modernissimo), 87 ore, un documentario di Costanza Quatriglio. Il film, alla prima proiezione napoletana, racconta le ore precedenti la morte di Francesco Mastrogiovanni, all’interno del reparto psichiatrico dell’ospedale San Luca, Vallo della Lucania.
da: Repubblica Napoli del 13 dicembre
Una stanzetta d’ospedale, un corpo legato a un letto, cinghie ai polsi e alle caviglie, mortificato, nullificato. Medici e infermieri che entrano da una porta con oblò sempre chiusa, indifferenti, come non ci fosse un uomo, solo un oggetto, un pezzo di carne, e nessuno sguardo di cura, solo una prassi di contenzione che lo lascia ininterrottamente immobilizzato, limitandosi a cambiare le flebo per la sedazione. Le immagini, quelle delle nove telecamere di sorveglianza, restituiscono un orrore della realtà che si è consumato tra il 31 luglio e il 4 agosto del 2009, lungo ottantasette ore, le ultime mentre quell’uomo, per un arresto cardiocircolatorio, giace esanime ancora legato, e nessuno nemmeno si accorge che è morto. Sono le stesse immagini, tremende e scioccanti, che la regista Costanza Quatriglio ha utilizzato per il documentario “87 ore”, il film sugli ultimi giorni di Francesco Mastrogiovanni, morto nel reparto psichiatrico dell’ospedale San Luca, di Vallo della Lucania. Lunedì 14 dicembre sarà proiettato per la prima volta a Napoli, dalle 20,30 al cinema Modernissimo, nel corso di una serata che si concluderà con un dibattito cui parteciperanno, con la regista, la nipote di Mastrogiovanni, Grazia Serra, i 99 Posse che hanno realizzato le musiche e Riccardo Nuory di Amnesty International Italia, che ha patrocinato il film.
In parte conosciamo queste immagini che, per volontà dei familiari e del comitato “Verità e giustizia per Mastrogiovanni”, erano state parzialmente trasmesse in tv e poi sul sito de “L’Espresso”. Il film della Quatriglio, che si iscrive nella importante tradizione dei grandi lavori del cinema civile italiano, restituisce la vicenda nella sua complessità, dal momento in cui Mastrogiovanni viene prelevato su una spiaggia di un campeggio cilentano attraverso un enorme dispiegamento di forze dell’ordine che coinvolge carabinieri, polizia municipale e guardia costiera. Come se quel maestro elementare fosse un pericoloso latitante, eppure non aveva commesso alcun crimine. Piuttosto, si era costruito su di lui un discorso che, a partire dalla sua adesione giovanile alle idee anarchiche, lo identificava come soggetto pericoloso a sé e agli altri. E, come troppo spesso ancora accade, quello che dovrebbe essere uno strumento eccezionale, con esclusiva valenza sanitaria, di tutela delle persone con sofferenza psichica, il trattamento sanitario obbligatorio, si trasforma in un mandato di cattura, uno strumento che nulla ha a che fare con la cura e risponde invece al mandato securitario di una società fondata sulla paura e il rifiuto della diversità.
Chi fosse Francesco Mastrogiovanni lo dicono queste parole di una lettera di un suo ex studente ricevuta e resa pubblica dalla nipote, Grazia Serra: «Ho avuto la fortuna di avere tuo zio come insegnante alle elementari. Lo chiamavamo tutti il gigante buono. Alunni, genitori e insegnanti. Ancora rido se penso che il prof doveva piegarsi per entrare in aula e infatti ho l’immagine impressa di noi che lo aspettavamo per assistere alla scena. Per accettare quell’incarico doveva essere una persona volenterosa… siamo stati per anni una classe che non trovava un maestro perché all’interno c’erano mille problematiche. Soltanto lui e il successivo ci hanno saputo prendere».
Per marzo è attesa la sentenza d’appello di un processo che, in primo grado, ha condannato a pene che vanno dai due ai quattro anni, per i reati di sequestro di persona, omicidio colposo e falso in cartella, sei medici dell’Ospedale San Luca (mentre ha assolto i dodici infermieri imputati). La giustizia, siamo certi, farà il suo corso. Questo film, però, ha una valore che evade la specificità del caso e si fa denuncia di un sistema di abusi, soprusi, cancellazione dei più elementari diritti, proprio di una psichiatria che, nei servizi territoriali, negli ospedali, nelle cliniche, tradendo la rivoluzione basagliana, pone come propri obiettivi non la cura e la presa in carico, ma l’intervento sintomatologico e la custodia.
“87 ore” dovrebbe essere oggetto di discussione e dibattito nelle università, innanzitutto quelle destinate alla formazione di medici e infermieri, ormai annichilite nel loro solipsismo accademico, come pure nelle aule istituzionali, chiamando alla loro diretta responsabilità sindaci complici della burocratizzazione delle prassi dei TSO e quanti, ministri della repubblica, presidenti e assessori regionali, partecipano allo smantellamento del welfare che determina riduzione e chiusura dei servizi. E dovrebbe chiamare i nostri parlamentari a un profondo esame di coscienza, a fronte della perdurante incapacità di introdurre nel nostro ordinamento il reato di tortura. Perché la morte di Francesco Mastrogiovanni è determinata da prassi e logiche di tortura, e non troverà vera giustizia finché questo non potrà essere riconosciuto. (antonio esposito e dario stefano dell’aquila)
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