Durante la scorsa settimana, la procura regionale della Corte dei conti ha emesso un invito a dedurre per undici ex dirigenti dell’Asl Napoli 1. La Corte ipotizza i reati di falso ideologico, truffa ai danni dello stato e interessi privati in atti d’ufficio, nell’ambito della vicenda riguardante la costruzione dell’Ospedale del mare. Il danno alle casse dell stato ammonterebbe a ventisei milioni di euro. Di seguito una nostra inchiesta risalente al novembre 2010.
L’Ospedale del Mare, a Ponticelli (Napoli est), era candidato a essere uno dei più grandi ospedali dell’Italia meridionale. Costruito in zona sismica, a rischio eruzione, sarà realizzato con soldi pubblici per essere gestito da privati. La conclusione dei lavori era prevista per il 2009. Forse vedrà la luce nel 2014.
Questa è una storia poco nota, cominciata sette anni fa e non ancora conclusa. Ma non è una storia segreta, anzi, è sotto gli occhi di tutti. Si chiama Ospedale del Mare, il nuovo grande complesso ospedaliero da cinquecento posti, nato per sostituire e assorbire gli ospedali Loreto Mare, Ascalesi e Annunziata. Molto di più di un semplice ospedale.
Questa storia comincia, o almeno si formalizza, nel 2003, quando viene sottoscritto un importante accordo di programma tra la Regione, il comune di Napoli e la Asl Na 1 per realizzare un nuovo ospedale nella zona orientale di Napoli. Lo scopo è quello di avviare una complessa operazione di edilizia pubblico-privata, di dimensioni economiche e “fisiche” che non hanno precedenti.
Il primo elemento di novità è rappresentato dalla modalità di costruzione. Si opta per quello che tecnicamente viene definito project financing. In questo caso il soggetto pubblico che bandisce l’appalto non si limita a formulare una gara e pagare il dovuto a chi si aggiudica l’appalto e realizza i lavori. Pubblico e privato, per così dire, dividono le spese di costruzione. In cambio dell’anticipazione, il partner privato si vede affidato quel bene e i relativi profitti per un significativo periodo di tempo, in genere non meno di trenta anni.
In questo caso, il costo complessivo dell’operazione ammonta a una cifra compresa tra i centonovanta e i duecentodieci milioni di euro. Forse in lire può rendere meglio, quattrocentotrenta miliardi circa. L’accordo di programma prevede che oltre metà della somma, centodiciotto milioni di euro, sia garantita dalla Asl. Il resto è a carico del partner privato. Ma perché un privato dovrebbe avere interesse a compartecipare alla costruzione di un ospedale pubblico? In primo luogo perché in cambio il partner privato avrà inconcessione per venticinque anni la gestione dei servizi della struttura e della parte non dedicata ai sevizi sanitari. Infatti, pensare che quello di cui stiamo parlando sia solo un ospedale è riduttivo. Il progetto prevede di far sorgere nella zona di Ponticelli, in un’area di centoquarantamila metri quadri, un complesso composto da cinque blocchi, che oltre i reparti ospedalieri (degenze e operatorio) comprende una galleria commerciale e servizi, un albergo per centocinquanta posti, un parcheggio per circa milletrecento posti auto e un eliporto. L’ospedale dipenderà come presidio ospedaliero dall’Asl Napoli 1 Centro e tecnicamente rientrerà nel “III livello della rete dell’emergenza”.
L’Ospedale del Mare avrà una dotazione di cinquecentouno posti letto totali, con una distribuzione di 334 nella degenza ordinaria, 80 nella degenza di day hospital e day surgery, 37 per la terapia intensiva e 50 nella degenza di low-care (albergo). L’area prevista per il centro commerciale è di circa quattromilacinquecento metri quadrati, quella del futuro centro direzionale arriva quasi a cinquemila. È quindi destinato ad avere un bacino di utenza sovra provinciale. In cambio, come abbiamo detto, verranno inglobate in questo enorme complesso ben tre strutture ospedaliere con la relativa riduzione di un po’ di posti letto. Naturalmente, come tutte le storie che hanno per protagonista l’edilizia e la sanità, i tempi si allungano e le cose si complicano, in un intreccio la cui trama non sempre è chiara. Ad aggiudicarsi la concessione è un consorzio di imprese che ha per capofila la Astaldi Spa e come partner la Giustino Costruzioni Spa, la ing. C. Coppola Costruzioni Spa, ingg. F. & R. Girardi Costruzioni Civili Industriali Spa e la Siemens Spa. Questa associazione temporanea di imprese (ATI) si vede affidata la concessione il 21 ottobre del 2004.
Nel maggio del 2005 subentra all’ATI una società denominata Partenopea Finanza di Progetto Spa (PFP) il cui socio di maggioranza è sempre la stessa Astaldi. Il 15 novembre dello stesso anno, il giro di valzer si chiude, o per meglio dire, si riapre. La PFP appalta all’ATI formata da Astaldi (mandataria), Giustino Costruzioni, Coppola Costruzioni e Ingg. F. & R. Girardi (mandanti) la progettazione esecutiva e la realizzazione (con la formula cosiddetta “chiavi in mano”, cioè con tanto di fornitura degli arredi e delle apparecchiature mediche), per un importo complessivo di centosessantacinque milioni di euro. Rispetto al precedente raggruppamento che si era aggiudicato la concessione manca solo la Siemens. Particolare interessante è che la società è stata costituita in data 28 ottobre 2005, cioè meno di un mese prima dell’affidamento dei lavori.
Così tra un passaggio di consegne e la costituzione della nuova ATI, arriviamo nel mese di gennaio 2006, il giorno 18 per l’esattezza, in cui le aree espropriate dalla PFP sono consegnate alla Astaldi (praticamente se le consegnano da soli) e vengono avviate le attività preliminari e di impianto di cantiere. Sono necessari, a questo punto, ancora due mesi perché venga approvato il progetto esecutivo. Così a fine marzo del 2006 sono avviati i lavori, che secondo programma andavano conclusi nel 2009. Un obiettivo ambizioso, rinviato di almeno un paio di anni. Forse. Anche perché ancora nel 2009 la Regione impegnava i propri tecnici per prescrizioni al progetto esecutivo. Come a dire che molto è stato definito, ma molto ancora resta da definire. Infatti, l’evolversi dell’impresa è stato irto di difficoltà tra rilievi tecnici, sub-appalti e inchieste della magistratura.
La criticità più grande emerge nell’estate del 2009 quando si apre un contenzioso tra l’ATI e l’Asl. Il nuovo commissario ad acta, l’ingegnere Ciro Verdeoliva, avvia alcune verifiche sul progetto e sull’andamento dei lavori. Al centro del contendere le difficoltà nei pagamenti, che secondo le imprese giustificano un ritardo di tre anni nella consegna, e una controversa variante in corso d’opera. Una variante che – secondo un’interrogazione parlamentare – ammonterebbe a diciassette milioni di euro. Sta di fatto che si rischia lo stallo e le imprese minacciano la richiesta di rescissione del contratto. Per alcuni mesi i lavoratori delle imprese di sub-appalto rimangono fermi e senza stipendio. A ottobre, ancora in fase di stallo, l’euro-parlamentare Rivellini rivela che manca il parere relativo al bunker radiologico, nonché quelli che dovrebbero essere forniti dal comune di Napoli, dall’Arsan e da parte del consiglio superiore dei lavori pubblici.
Rivellini, all’epoca Pdl, ora giunto sulle sponde finiane, sostiene che in passato «sono state prodotte delle autocertificazioni irregolari, perciò bisogna prima attendere l’esito delle verifiche della magistratura, e solo dopo potranno essere richiesti i pareri mancanti». Il commissario non smentisce i problemi, ma garantisce che i pareri arriveranno. Alla fine i lavori riprendono, anche se non è chiaro come siano stati sciolti i nodi del contendere, ma lo scenario rimane incerto. L’unica cosa evidente è che nessuno vuole o può assumersi la responsabilità di ripensare l’impianto dell’opera.
Ma i nodi critici non si fermano a questo. Un’inchiesta dalla magistratura porta, lo scorso anno, a una serie di rinvii a giudizio di tecnici e funzionari della Asl Na 1. A finire sotto la lente di ingrandimento degli inquirenti, in particolare, i rapporti tra un funzionario, un consigliere regionale e un ingegnere che, secondo l’accusa, avrebbe avuto un ruolo sia nella fase precedente che in quella dell’esecuzione dei lavori. A ottobre del 2009, le indagini giungono a conclusione. Secondo il pubblico ministero Novelli i costi per la costruzione furono aumentati impropriamente a beneficio delle imprese concessionarie. L’ipotesi di reato, come si dice tecnicamente, è di falso e truffa, e coinvolge dodici persone tra funzionari Asl, direttore dei lavori e vertici della Partenopea Finanza di Progetto. Di fatto, sostiene l’accusa, invece di favorire l’interesse pubblico, si sarebbe lavorato per favorire l’interesse delle imprese, limitando l’importo delle penali addebitabili alla concessionaria in caso di ritardo, attribuendo alla Asl il pagamento della commissione di collaudo, riconoscendo voci di spesa non previste.
Inoltre, dalle indagini, è emerso che mancavano i pareri favorevoli all’approvazione del progetto da parte delle amministrazioni coinvolte. Anzi, in alcuni casi i pareri sarebbero stati addirittura negativi. Sarà ora il processo a chiarire se vi siano state colpe, ma quali che siano le responsabilità i danni sembrano orami irreversibili. Prima di tutto per la scelta del luogo dove costruire l’ospedale.
La questione della collocazione della struttura è stato sollevata da Benedetto De Vivo, docente di geochimica ambientale alla Federico II di Napoli, e riguarda il rischio sismico della zona in cui l’ospedale è stato costruito. Secondo il professor De Vivo, l’ospedale «risulterà infatti inserito (…) a un centinaio di metri di distanza da quella che viene delimitata come zona rossa dalla Protezione civile per quanto riguarda il rischio Vesuvio. In particolare, sarà distante circa sette chilometri e mezzo dal cratere del Vesuvio, ricadendo comunque nella zona gialla, così come risulta delimitata dalla Protezione civile».
La senatrice Donatella Poretti dei Radicali ha presentato un’interrogazione parlamentare sul rischio sismico dell’area. A dire il vero si tratta di una seconda interrogazione dopo che a un’altra interrogazione, presentata la legislatura precedente, aveva ricevuto una risposta insoddisfacente. Cosa chiede la Poretti, accogliendo le forti preoccupazioni del professor De Vivo? La senatrice radicale chiede di sapere «se il dipartimento della Protezione civile abbia chiesto pareri di esperti vulcanologi per stabilire i confini della zona rossa e, in caso affermativo, se tali pareri siano di dominio pubblico e se siano state prese in considerazione le denunce lanciate dai professori del dipartimento di scienze della terra dell’università di Napoli». Dubbi che sarebbe interessante sciogliere, ma ai quali, nel corso degli ultimi due anni, il governo non ha trovato il tempo di rispondere.
Evidentemente, però, il rischio non deve essere infondato e l’allarme, forse per l’autorevolezza di chi l’ha lanciato, deve avere impensierito i sostenitori dell’Ospedale. Che la zona sia a rischio sismico è cosa nota agli stessi progettisti, tanto è vero che la struttura è retta da ben trecentoventisette “isolatori sismici”, un record europeo. Questi “cuscinetti antisismici” devono sorreggere una struttura il cui peso, in condizioni sismiche è superiore a centomila tonnellate. Lo stesso capo della Protezione civile, il sottosegretario Bertolaso, sempre attento alle vicende campane, ha dichiarato lo scorso anno che l’Ospedale del Mare è l’unico ospedale anti-sismico in Italia e rappresenta un modello da replicare. Ma non ha chiarito come e perché sia stata scelta una zona a rischio eruzione, né è chiaro quanto ha inciso sul costo dell’opera questo imponente apparato di sicurezza.
Ora se questa storia avesse un finale, almeno potremmo trarre delle conclusioni dall’intera vicenda. Purtroppo è ancora presto per scrivere la parola fine. Il sub-commissario alla sanità campana, Giuseppe Zuccatelli, presentando il nuovo piano ospedaliero non ha avuto esitazioni, annunciando che l’ipotesi è ancora valida e che l’obiettivo è rendere operativo l’Ospedale del Mare entro il 2014. Tre anni servono per completare i lavori, mentre un quarto è necessario per trasferire i presidi ospedalieri che chiudono (Ascalesi, Loreto mare, Incurabili, San Gennaro) all’interno della nuova struttura. L’Ospedale del Mare, ha dichiarato il sub-commissario, è «un imperativo categorico, un dogma». Non sembra pensarla allo stesso modo l’Astaldi che, secondo una nota diffusa dalla Cgil a fine settembre, avrebbe in programma il licenziamento di duecento operai impegnati nella costruzione dell’ospedale.
Difficile dire come andrà a finire. Se si arriverà al termine della costruzione di questa struttura, aprendo così la complessa partita che riguarda la sua gestione, o se questo ospedale si andrà ad aggiungere alla lista delle grandi incompiute. Comunque vada, saranno ancora molte le pagine da riempire per raccontare di come ciò che nasce per essere cura, troppo spesso si trasforma in malattia. (dario stefano dell’aquila)
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