Ancora questo mese, nella galleria della Fondazione Mazzotta a Milano, è aperta la mostra “Warhol Beuys omaggio a Lucio Amelio”. Dei due artisti – il newyorkese Andy Warhol, star della pop art, e il tedesco Joseph Beuys, profeta della rivoluzione verde – molti già sanno, ma forse non tutti ricordano che a farli incontrare fu Lucio Amelio, napoletano non meno geniale.
La mostra documenta questo incontro che Amelio, al culmine della sua carriera di mercante d’arte, inventore e organizzatore di eventi culturali, organizzò a Napoli, il primo aprile 1980. Abituati all’aura istituzionale che oggi correda gli eventi di arte contemporanea, riesce difficile immaginare tre-quattromila fra artisti, studenti, appassionati e semplici curiosi che affollavano la piazza antistante la galleria Amelio dov’era convocato l’incontro pubblico dei due artisti. Ma era un’aria “movimentista” quella che girava intorno alle iniziative di Lucio Amelio, sin da quando, nel 1965, s’era inventato il mestiere di gallerista, combinando perizia mercantile e fervore da pioniere. Il suo sogno era aprire Napoli all’arte contemporanea e ai suoi rivoluzionari fermenti. E quell’incontro testimoniava il successo della missione.
Del profilo artistico della mostra di Milano poco saprei commentare, mentre di quello civile mi viene da ricordare che Amelio, agendo da privato cittadino – guadagnandoci bene come con sincerità ammetteva – realizzò il miracolo di aprire un nuovo spazio pubblico, se tale si può intendere anche la creazione di un ambiente aperto a nuove forme d’immaginazione e pratica artistica, come testimonia l’esperienza di tanti giovani che da quell’ambiente hanno quantomeno tratto impulsi.
Amelio è scomparso nel 1994, lasciando alla città la mostra Terrae Motus, che, chiamando a operare artisti di tutto il mondo, promosse dopo il sisma del 1980 come una sorta di laboratorio artistico permanente, un terremoto dell’arte appunto. E proprio negli anni novanta la politica istituzionale finalmente ha deciso d’incontrarsi con l’arte contemporanea, con l’esibizione di grandi opere a piazza del Plebiscito e l’apertura di un museo, il Madre. Eppure la sensazione è quella di un paradosso: come il privato cittadino aveva in modi originali creato non solo un mercato ma, in senso più ampio e ricco, soprattutto un ambiente pubblico dell’arte contemporanea, così invece la politica ha fondato recinti dove opere e artisti fanno mostra di sé, per l’ammirazione del pubblico, la soddisfazione e la gloria dei governanti. Spazi formalmente pubblici ma sostanzialmente privati.
Visitando l’Omaggio a Lucio Amelio, ci si può commuovere nel ricordare come in quella esperienza si sia almeno intravista la possibilità che mediante l’arte si aprano nuovi spazi mentali, culturali, sociali, anche fisici, e può venire da arrabbiarsi facendo caso a come oggi nella stessa città sia intesa la dimensione pubblica dell’arte. (francesco ceci)
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