In vista delle Utopiadi che si terranno a Milano dal 25 al 27 ottobre, il CiO – Comitato Insostenibili Olimpiadi chiama a raccolta tutte le collettività, gli spazi sociali, i comitati, i gruppi di abitanti, le realtà dello sport popolare e di base in lotta contro il modello di saccheggio delle Olimpiadi di Milano-Cortina 2026. L’assemblea pubblica verso le Utopiadi si terrà a ZAM mercoledì 16 ottobre dalle 20:30. Pubblichiamo di seguito un articolo di un componente del CiO che fa il punto sulle lotte in corso e sulle molte dimensioni dell’insostenibilità delle Olimpiadi Milano-Cortina 2026.
A Milano e non solo, lungo il processo di avvicinamento alle Olimpiadi Milano-Cortina 2026, è attivo da tempo il Comitato Insostenibili Olimpiadi, CiO, che fa il verso ironico-critico al Comitato olimpico ufficiale. Si tratta di una rete che raccoglie vari soggetti: realtà dello sport popolare, centri sociali, collettività che si occupano delle trasformazioni della città, soggetti e gruppi che frequentano la montagna, reti d’intervento politico e sociale, in particolare sul diritto all’abitare, reti di attivismo critico ambientalista e partiti politici (Rifondazione comunista). Queste realtà convergono in manifestazioni come quella del 10 febbraio scorso e del 26 ottobre, a Milano, e in tante altre iniziative coordinate nei territori, montani e di pianura, della Lombardia, del Veneto, del Trentino, come per esempio quelle nelle Dolomiti e più in particolare a Cortina. Città e montagna, dunque.
Accomuna queste realtà un giudizio fortemente critico nei confronti del “modello olimpico”, che occorre leggere con attenzione, senza ridurlo banalmente alla kermesse sportiva e al mega-evento luccicante e attrattivo, che è il modo retorico e seduttivo con cui viene presentato. Le Olimpiadi sono una questione complessa, che tocca una molteplicità di aspetti: da quello sportivo (che non è, beninteso, quello dello sport di base e pubblico, che merita potenziamento e invece sperimenta privatizzazioni e chiusure di impianti pubblici, a Milano e non solo) a quello abitativo, passando per lo sfruttamento lavorativo, il cambiamento delle città, la gentrificazione e il consumo di suolo, per arrivare anche a quanto accade all’ambiente e al contesto montano. In sostanza, per il CIO le Olimpiadi sono indicative di un modello di sviluppo insostenibile sul piano economico, climatico, ambientale e sociale.
Per dire rapidamente dell’insostenibilità ambientale, basti accennare a fenomeni esemplari come il consumo di acqua per l’innevamento artificiale dovuto al cambio climatico-meteorologico o alla devastazione della foresta di larici a Cortina, oppure alla completa assenza di una valutazione ambientale strategica per un progetto di “rigenerazione urbana”, come quello dello scalo milanese di Porta Romana, venduto da Ferrovie dello Stato a un pool di privati (Coima, Covivio, Fondazione Prada), dove sta sorgendo il Villaggio olimpico che sarà poi riconvertito in un costoso studentato le cui rette – lasciate appunto alla discrezionalità dei privati – si sono rivelate insostenibili. Una valutazione ambientale strategica per quest’area è stata programmaticamente esclusa dal governo Draghi nel 2022, così come per tutte le realizzazioni delle grandi opere olimpiche allora già in cantiere.
Ma c’è anche un’insostenibilità economica, che è quella che ha portato storicamente a grossi disavanzi e passività nei bilanci (a Torino 2006 i costi contabilizzati sono stati 1.229 milioni, a fronte di costi effettivi per più di quattro miliardi), poi tradottisi in tagli ai servizi sociali, sanitari, abitativi. Ciò spiega la facile vittoria di Milano nella gara del 2019 per l’aggiudicazione delle Olimpiadi, quando Stoccolma – unica altra città in competizione – arrivò pressoché a ritirarsi, perdendo convinzione in corso d’opera. Quello che è un aspetto critico, la cosiddetta “eredità” degli impianti delle precedenti esperienze, che ne visti molti lasciati in abbandono, viene risolta a Milano affidandone sia la costruzione che la gestione ai privati, a valle dell’evento olimpico: vale per il PalaItalia a Santa Giulia, che diventerà poi auditorium in gestione a Ticketone per eventi spettacolari-musicali (il Comune l’avrà a disposizione per ben due giorni all’anno!), o per il Villaggio, come già detto. Ma – attenzione – ora i privati battono cassa col pubblico per gli extracosti, che si aggirano sul quaranta-cinquanta per cento. E troveranno soddisfazione, come il governo si è precipitato – per bocca di Salvini – a garantire. Alla faccia delle Olimpiadi a costo zero.
Se poi ci si concentra sulle tipologie di opere – diffuse nei territori – connesse alle Olimpiadi, si vede che l’ottantacinque per cento delle risorse stanziate con questa finalità è destinato proprio alle “essenziali”, cioè quelle che potranno essere ultimate dopo la fine dei Giochi, e non a quelle definite “essenziali e indifferibili”, da completare entro il febbraio 2026. Un pretesto, insomma, per opere inutili o scarsamente efficaci, oltre che ambientalmente discutibili. Questo ci porta a rovesciare l’assunto secondo cui “si fanno le opere per fare le Olimpiadi”, per arrivare invece ad affermare, documentatamente, che “si fanno le Olimpiadi per fare le grandi opere”.
E poi c’è un versante sociale di questa insostenibilità. Ha che fare con il lavoro, da un lato, e dall’altro con la riconfigurazione delle città e dell’ambiente montano. Da un lato, per esempio, la questione della sicurezza nei cantieri (per il PalaItalia, a Santa Giulia, si lavora a ritmo continuo, su tre turni che coprono l’intera giornata, per recuperare i ritardi burocratici iniziali); ma, dall’altro, merita grande attenzione la questione del “volontariato per obbligo”, già sperimentato in occasione di Expo, con tanta flessibilità e scarsissimi diritti, ai danni di una popolazione giovanile attratta dai lustrini del grande evento. Saranno circa 18 mila i volontari e le volontarie attese per l’evento. Pochi giorni fa è partita la campagna per il loro reclutamento, lanciata da una foto di gruppo debitamente multiculturale in cui figura Sinner, che posa insieme a un gruppo di giovani. Uno sportivo milionario accanto a giovani che “lo fanno per la gloria”. Niente male!
Una “messa al lavoro” di giovani precari che fa il paio con la “messa a valore delle aree”, nella Milano investita dalla “rigenerazione urbana” drogata, che viene stimolata dall’amministrazione pubblica in nome dell’attrattività verso i gruppi finanziari e immobiliari ma che inizia a mostrare crepe evidenti, oltre che sul versante giudiziario-amministrativo delle licenze edilizie, soprattutto per i profondissimi guasti sociali che riversa sui ceti popolari di questa città, costretti all’espulsione dalla cerchia urbana anche più lontanamente periferica. E in questi processi le Olimpiadi, come si è visto anche di recente a Parigi, hanno un ruolo di fortissimo acceleratore e facilitatore, constatabile nel quadrante sud-est di Milano (l’asse Porta Romana-Corvetto-Rogoredo), peraltro interessato da più complessive operazioni di ristrutturazione, connesse alla mobilità, alla logistica, alle infrastrutture, alla forte presenza di edilizia popolare; fenomeni e processi che insistono su questo territorio cruciale.
Tutto questo configura un’emergenza abitativa che si sta facendo norma e quotidianità drammatica, con il corredo di mancate soluzioni istituzionali, sempre più temporanee, escludenti, insostenibili e burocratiche, e che dallo stillicidio diffuso di sfratti di nuclei familiari o di singole persone passa a mettere sempre più spesso in questione la sostenibilità di locazioni collettive, come per esempio per le case Ats di via Adige o in via Barzoni o per i complessi ex-Enpam, tra cui quello imponente (circa cinquecento alloggi) in via Sulmona, in zona Corvetto. Ma altrettanto si può e si deve dire dell’ambiente montano, che è sottoposto, sul piano del turismo e delle dinamiche estrattive, agli stessi processi che caratterizzano oggi le metropoli globali.
Processi insostenibili, già in atto, sintomi di un modello di sviluppo socialmente e ambientalmente negativo, su cui occorre costruire mobilitazione, consapevolezza, intervento politico insieme “situato” e prospettico. (stefano nutini)
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