Alla cinquantesima ora chiusi a palazzo San Giacomo, gli occupanti di piazza Miraglia che avevano preso possesso dell’ufficio dell’assessore Panini e di altre stanze di questo genere, erano già delle celebrità. Si erano sprecate analisi e commenti, chilometri di articoli, servizi giornalistici tra il pietismo e l’insulto. Poi a un certo punto l’assessore ha smesso di prendersela sul personale ed è andato a parlarci, con queste famiglie. Le ha trovate sistemate alla buona, gli adulti per terra, i più piccoli sui divanetti. Nel suo ufficio. La retorica dei panni stesi (questa volta dalle signore occupanti, su piazza Municipio) è difficile da eludere, e gli articoli dei giornali locali si soffermano sul colore, con la solita fatica a entrare nel merito.
Prima, durante e dopo Panini, tra i corridoi dove i bambini giocavano a nascondino e mondialito, si erano visti andare e venire agenti della Digos, consiglieri comunali e altri figuri di questo genere. E naturalmente giornalisti, staffisti, collaboratori di ogni titolo e dimensione, tutti smossi dal (e risucchiati nel) vortice social. Panini dice che c’è bisogno di “qualche altro parere positivo” per concludere la trattativa. Gli occupanti rispondono che finché non arrivano, questi pareri, loro rimangono lì. L’obiettivo è l’inserimento immediato nella delibera 1018/2014, quella sull’albergaggio sociale, mai realmente messa in atto dal comune, e l’individuazione a stretto giro di due stabili dove andare a dormire, lasciando il poco ospitale (e sotto sgombero) edificio di piazza Miraglia. «Permesso intanto. Mentre vi attivate noi cominciamo a sistemare i letti, che si è fatta una certa». Tutto rimandato al giorno dopo.
San Giacomo è peggio di Versailles. Nei corridoi qualcuno sostiene che Panini sia stato bacchettato dall’alto. Chi vuole rompere, enfatizza; chi pacificare, minimizza. Consiglieri di maggioranza parlano male uno dell’altro, piccole beghe, frasi sibilate, detto e non detto. Il livello del dibattito (non si può nemmeno chiamare politico) è sotto lo zero. «Sembra che siamo gli unici a parlare di cose serie», riflette qualcuno tra gli occupanti. Il pettegolezzo istituzionale sembra un “distrattivo”, dato che a fronte di questo cicaleccio, le proposte concrete sono imbarazzanti: palazzi cadenti, edifici confiscati alla camorra. No, così facendo da qui non esce nessuno. E infatti così è. Buonanotte.
Il giovedì ci si sveglia con i virgolettati del sindaco: «Quegli occupanti sono miei ospiti». Angela non la prende tanto bene: «Se fossimo stati ospiti non ci avrebbero fatto dormire a terra, noi e i nostri figli. Ma questo dipende dal concetto di ospitalità del sindaco». Le ore sono diventate più di sessanta, intanto, e nessuno tra i padroni di casa ha chiesto se serviva un cuscino, un caffè, una bottiglia d’acqua. L’ospite puzza dopo tre giorni di solito, però se nessuno ti ha invitato dura anche meno. «Un mese fa de Magistris ci disse: “Entro dieci giorni vi trovo una soluzione”. Se stiamo qua evidentemente non ha mantenuto la parola».
Dopo le interviste, ancora incontri. Panini si vede e non si vede, in compenso a tavola c’è la bolognese. Poi arrivano le venti righe ufficiali: le famiglie sono inserite nella delibera, saranno sotto tutela del Comune in caso di sgombero. Finalmente si può uscire di qui, abbiamo smesso di puzzare in casa nostra, ma ora comincia un’altra battaglia. «Non vogliamo aspettare di essere cacciati via dalle case, il Comune ci faccia proposte fattibili sugli edifici in cui intende sistemarci, e lo faccia in fretta. Tanto in vacanza non ci andiamo, noi». (raffaele aiello)
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