Dal 17 ottobre scorso gli studenti della Jawaharlal Nehru University di New Delhi, una delle principali università indiane, sono in sit-in permanente per chiedere la riapertura di studentati, laboratori e biblioteche dell’università chiusi dal 22 marzo. La mobilitazione, lanciata sui social con gli hashtag #UnlockJnu e #ReclaimJNU, è stata immediatamente ostracizzata da Jagadesh Kumar, il rettore vicino alla destra hindu, la cui risposta è arrivata con una circolare in cui bolla l’atto come irresponsabile e lesivo all’immagine della prestigiosa università. L’iniziativa simbolica del sit-in ha l’obiettivo di riprendere la mobilitazione politica della comunità studentesca che negli scorsi anni ha animato le piazze di New Delhi e si è interrotta con l’arrivo della pandemia.
Le rivendicazioni degli studenti sono una risposta alla difficoltà di seguire i corsi in modalità telematica, all’impossibilità di accedere al materiale di studio e al pericolo di dover abbandonare l’università per problemi economici. I dati del World Economic Forum mostrano che solo il 4,4% delle famiglie residenti in zone rurali ha un computer e il 14,9% ha accesso a internet, mentre nelle zone urbane il 14,9% delle famiglie ha un computer e il 42% ha accesso a internet. Questa tendenza generale si aggrava all’interno della JNU, dove la facilità di accesso al welfare universitario ha attratto studenti provenienti da famiglie in condizioni di disagio economico e sociale.
La situazione ha influito anche sulle attività degli studenti perfezionandi, ovvero la maggior parte della popolazione universitaria. Con l’interruzione della totalità dei servizi, le attività di ricerca hanno subito una battuta d’arresto dovuta all’impossibilità di accedere alle biblioteche. L’amministrazione dell’università in un primo momento ha avallato le richieste dei perfezionandi, cambiando poi idea a inizio settembre con l’imposizione di una tassa di 187 rupie per gli studenti indiani e di 44 mila rupie – seicento dollari, pari a circa due mesi di affitto a Delhi – per gli studenti stranieri, da pagare in caso di ritardo nella consegna delle tesi.
Alle scelte fatte delle amministrazioni universitarie in questi mesi, si somma il progetto di “Politica nazionale sull’educazione” approvato quest’estate dal governo centrale, che segna un punto di non ritorno. La direttiva ministeriale mostra l’intenzione di de-finanziare l’università pubblica in nome di una cooperazione tra pubblico e privato, di escludere in modo sostanziale i gruppi sociali svantaggiati e di ridefinire i piani di studio in senso nazionalista. «Il 60-70% delle nostre proposte è stato inserito nella riforma», hanno dichiarato con entusiasmo alcuni esponenti della destra suprematista hindu sulla propria rivista di riferimento, The Organiser. Anche il premier Narendra Modi ha mostrato la propria soddisfazione in occasione di un incontro ristretto con alcuni studenti, definendo la riforma «il seme culturale della nuova nazione».
Le misure che allarmano gli studenti indiani si inseriscono in un più ampio progetto politico. Le mobilitazioni dello scorso anno sono ormai un lontano ricordo. Il lungo inverno della pandemia è stato sfruttato dal governo per mettere fuori gioco alcuni degli attivisti politici più in vista del movimento: studenti, ricercatori e professori progressisti sono stati arrestati dalla polizia di New Delhi con accuse di incitamento all’odio, terrorismo e azioni illegali legate alle giornate passate alla storia come “Delhi riots”. Fra questi c’è anche l’ex-studente della JNU Umar Khalid, in carcere da metà settembre senza che nessun processo sia stato ancora aperto a suo carico. Secondo il più recente rapporto di Scholars at Risk, la rete internazionale di monitoraggio della libertà di pensiero e ricerca in ambito universitario, la JNU è tutto fuorché uno spazio libero dalle ingerenze politiche del governo, dalle violenze dei suprematisti hindu e dall’arbitrio delle forze di polizia.
A provarlo ci sono le violenze del 5 gennaio perpetrate dai suprematisti hindu ai danni degli studenti di sinistra, su cui le indagini della polizia di New Delhi si sono risolte in un’assoluzione dei picchiatori. Un’altra conferma delle ingerenze del governo nella vita della JNU proviene dai tentativi di dare un nuovo significato agli spazi aperti all’interno del campus, come nel caso della recente inaugurazione della statua del monaco hindu Vivekananda alla presenza del premier Modi, o l’intitolazione di una strada interna all’università all’ideologo del suprematismo Hindu V.D. Savarkar.
Con la recente ripresa delle mobilitazioni sociali in India, la JNU ha ricominciato a occupare uno spazio centrale nella produzione politica dell’opposizione al progetto nazionalista hindu di Modi e affiliati. In occasione dello sciopero nazionale del 26 novembre, indetto dai sindacati agricoli del Bharatiya Kisan Union, la mobilitazione studentesca si è spostata dal cancello Nord dell’università al centro della città. Appena giunti sul posto, gli studenti sono stati individuati e posti in stato d’arresto preventivo dalla polizia di Delhi, col pretesto che avrebbero potuto fomentare disordini nella città blindata.
La paura che un manipolo di studenti possa mettere a soqquadro la violenta idea di armonia dell’Hindu Rashtra – idea di nazione per soli hindu – progettato da Modi non è solo un espediente retorico; i movimenti di opposizione alle nuove leggi di cittadinanza e l’attuale sciopero hanno dimostrato che le basi sulle quali si poggia l’idea di nazionalismo hindu possono essere contrastate solo da un fronte di lotta unito, eterogeneo nella sua composizione e compatto nell’azione politica. (luca mangiacotti)
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