Napoli è il primo comune del meridione in termini di presenze turistiche, quasi l’uno per cento del totale nazionale. «Se me l’avessero detto vent’anni fa non c’avrei creduto», sorride Raffaele, guida turistica dal 2013, quando ha potuto finalmente partecipare al tanto agognato concorso. «Già da ragazzino cercavo i turisti più spaesati per strada e mi divertivo a raccontargli cosa potevano fare. All’epoca, se ti avvicinavi per dare indicazioni, le persone si spaventavano. Oggi quegli stessi luoghi sono diventati una torre di Babele costruita in fretta e furia, un enorme ingorgo di persone ed esercizi commerciali in cui è difficile trovare un’offerta all’altezza. L’idea dominante è quella di creare esperienze e questo si traduce in strade affollate, vendita di prodotti ovunque, chiese chiuse e facciate di palazzi storici che cadono a pezzi. Il turismo può rappresentare una ricchezza, ma è sostenibile solo se fatto bene»
Il boom del turismo nel centro antico di Napoli è stato agevolato negli ultimi anni da tanti fattori; la sua precisa caratterizzazione, invece, ha preso corpo quando il fenomeno era ormai consolidato. Dal settembre 2016 al marzo 2017, durante l’amministrazione de Magistris, sono stati convocati a Napoli gli Stati Generali del turismo. Se nel rapporto finale “Destinazione Napoli 2020” si evidenziava la “mancata valorizzazione del patrimonio culturale”, nel programma operativo del piano strategico non era calendarizzata nessuna azione o investimento capaci di incidere nel merito della questione. Abbondavano, invece, azioni congiunte tra operatori del settore con un obiettivo ben definito: “trasformare la città in una destinazione turistica adottando un’ottica di mercato. Non basta essere una città dove arrivano i turisti, Napoli deve diventare una destinazione turistica”.
L’ESPLOSIONE
Fabio è una guida turistica dal 2004, ma a suo avviso il momento di svolta c’è stato nel 2014. «Uno dei fattori decisivi è stato avere il porto molto vicino al centro antico. Dal 2014 le crociere in alta stagione sono diventate sei al giorno: i tour del centro si sono moltiplicati, adattando l’offerta alle loro esigenze».
Nel periodo di poco successivo, anche l’aeroporto di Napoli ha visto un’impennata degli arrivi, da sei milioni di passeggeri nel 2016 a otto milioni e mezzo l’anno dopo, fino a un picco di dieci milioni nel 2019, prima della botta d’arresto causata dal Covid. «Nell’anno precedente la pandemia c’era lavoro per tutti – racconta Fabio –, numeri incredibili e in crescita progressiva. Pensavamo che dovesse solo scoppiare la terza guerra mondiale perché tutto si fermasse…».
Fino al 2015 l’attraversamento della città da parte dei turisti internazionali avveniva in modo diverso da quello attuale. La città era un punto di passaggio verso le isole, la Costiera Amalfitana o Pompei. Poi c’è stata la crescita improvvisa, e l’offerta turistico-commerciale si è plasmata sulle nuove esigenze.
Antonio non lavora come guida turistica da molto tempo, e la sua esperienza è legata all’esplosione dei grandi numeri di visitatori che attraversano il centro storico. «La situazione non è facile. Il centro di Napoli non è fatto per ricevere tutte queste persone. Le strade sono strette e troppo affollate, l’offerta commerciale è finalizzata solo al consumo e il discorso della vivibilità non può essere sorvolato, a cominciare dal rincaro degli affitti».
In questi anni, diverse realtà cittadine hanno provato a studiare il fenomeno, evidenziandone le contraddizioni. Si tratta di un compito non facile, considerando la micro-economia che il fenomeno muove per le fasce di popolazione precaria (lavoro che tuttavia è malpagato, irregolare, non garantito) e quella più consistente che coinvolge i piccoli e grandi commercianti e proprietari immobiliari. Secondo l’Istat, nel periodo che va tra il 2015 e il 2019, a Napoli c’è stato un incremento del 35% delle abitazioni destinate al turismo, delle quali oltre il 70% nel centro della città. Tra il 2016 e il 2018 nella sola città di Napoli sono stati registrati più di duemila AirBnb e la tendenza all’acquisto di case per trasformarle in strutture ricettive è in costante crescita. Il risultato è la trasformazione del centro in un’area quasi inavvicinabile da un punto di vista degli alloggi privati. Contestualmente, la vendita di cibo e bevande ha conosciuto un’espansione senza pari, con ristoranti, esercizi di street food, friggitorie e bar che hanno preso il posto di botteghe e negozi di prossimità.
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Era il 1996 quando Rosaria muoveva i primi passi come guida turistica, radiolina alla mano, accompagnando gruppi di turisti tedeschi. «Nel 2004 – racconta – iniziai con tour strutturati al centro storico, ci osservavano con curiosità, erano ancora una rarità. Oggi cominciano a diventare una presenza ingombrante. Molti spazi che prima appartenevano ai napoletani sono stati consacrati al turismo. Prima gli autisti portavano i turisti a piazza Plebiscito, poi viravano verso Posillipo a fare la foto della cartolina di Napoli e via. Oggi lo spazio pubblico appartiene anche al turista».
Nonostante la crescita del fenomeno lungo tutto l’anno, secondo le guide la stagionalità è ancora un fattore decisivo. Il turismo a Napoli si concentra infatti tra il periodo di Pasqua e le prime settimane di novembre. Nel periodo natalizio c’è il picco di visite di turisti italiani, ma i numeri sono comunque inferiori rispetto alla primavera-estate. Una guida deve avere la capacità di spalmare i guadagni di otto mesi su dodici: «Devi lavorare più che puoi – dice Antonio –, ininterrottamente, preparandoti a stare fermo due-tre mesi in funzione di quello che arriva».
«Le guide turistiche della generazione precedente alla nostra – dice Raffaele – usavano i mesi di bassa stagione per fare le vacanze. Oggi con i guadagni più bassi molti di noi sono costretti a consacrare questo tempo allo studio e alla preparazione della stagione successiva, anche se con il moltiplicarsi dei voli low cost ormai la bassa stagione si concentra tra i mesi di gennaio e febbraio».
Secondo le stime della Regione, in tutta la Campania sono registrate duemila guide turistiche. Il dato tuttavia è parziale, perché la Regione registra le persone che hanno il patentino di guida, ma non quelle che effettivamente esercitano la professione. Il bonus per le guide turistiche erogato durante la pandemia è stato richiesto soltanto da settecento persone, un dato che fa capire quanto grigio ci sia nel settore.
Negli ultimi venti anni, il numero delle guide in Campania è raddoppiato, anche in un contesto di concorsi pubblici indetti con il contagocce. Prima del 2013, data dell’ultimo concorso regionale, erano mille, di cui, probabilmente, molte meno in attività. Prima del 2004, data del concorso precedente, si trattava di un piccolo mondo per eletti. «Quando ho iniziato a fare la guida – dice Rosaria – nei primi anni Duemila, il giro delle visite guidate era gestito da poche persone: o lavoravi con loro o non esistevi. Il turismo funzionava solo con i tour operator e qui in Campania c’erano delle famiglie che avevano contatti con loro e organizzavano tutto: dal trasporto alle visite. All’epoca tutto era concentrato tra Pompei, la Costiera e le isole, ma i guadagni erano buoni, bisogna ammetterlo».
Un momento di rottura è rappresentato dalla promulgazione della legge europea (97/2013) che ha aperto il sistema delle abilitazioni al territorio nazionale. Antonio, per esempio, da tre anni ha preso il patentino in Calabria. Per ottenerlo bisogna superare un esame di abilitazione che fino al 2013 aveva un carattere regionale: ogni candidato doveva sostenere un esame sulla storia dell’arte, i patrimoni e gli itinerari della propria regione. In Campania gli ultimi esami di abilitazione sono stati quelli del 2004 e del 2013, il cosiddetto “maxi-concorso” a cui parteciparono circa diecimila persone. Oggi, invece, l’esame si basa sul patrimonio dell’intero paese e dà la possibilità di esercitare la professione su tutto il territorio.
Antonio racconta delle tante incomprensioni che questo ha creato. «Si arriva pure alle mani, a volte. La divisione tra guide regionali, che hanno preso il patentino in Campania, e nazionali, che hanno preso il patentino altrove, porta grandi rivalità. Senza contare che una recente legge europea permette di esercitare ovunque la professione nei confini Schengen, aprendo quindi le porte anche alle guide straniere. Questo stato di tensione contribuisce anche al fatto che non si riesca a far emergere nessuna rivendicazione collettiva, neanche quando nel 2020 ci siamo ritrovati tutti a casa».
Come se non bastasse il fatto di portare al collo il patentino rilasciato della Regione Calabria, Antonio si attira sguardi poco amichevoli da parte dei colleghi anche a causa del modello di visita guidata che propone e che ha portato in città insieme al collega Raffaele. «In molte metropoli europee questa modalità esiste da tempo, mentre qui a Napoli sono stato il primo». I “free tour” sono dei tour gratuiti dove i guadagni per le guide arrivano dalle mance che i turisti decidono di lasciare. «Per anni ho lavorato alla Controra – continua Antonio –, un ostello della gioventù a Napoli, e mi sono reso conto che, fino a una decina d’anni fa, c’era pochissimo, a parte i grandi tour operator, in termini di visite guidate in centro. Quasi nessuno degli ospiti dell’ostello ci andava, indipendentemente da quanto tempo passassero in città. Così è nato il progetto, che per me significa rendere una visita turistica accessibile a chiunque, anche se molti nel giro ci guardano con sospetto». Va detto che, nonostante i numeri da capogiro, molte guide criticano il tariffario regionale. La cifra standard per mezza giornata di lavoro, fino a venticinque visitatori, è di novanta euro, contro i centoventi della Regione Lazio.
«Noi offriamo anche i tour canonici – dice Raffaele –, tra Spaccanapoli, via Toledo, eccetera, ma portiamo anche i turisti a visitare angoli del centro ancora “poco battuti”, anche nell’ottica di non ingorgare le strade. Esiste un gran numero di giardini, chiostri e altri beni culturali che dovrebbero essere accessibili ma non lo sono. Il Covid non ha fatto che peggiorare una gestione di questi beni già di per sé scellerata. Penso, per esempio, all’Archivio di Stato, con i suoi chiostri bellissimi e un altrettanto bel giardino interno che però non sono visitabili».
Nel corso degli ultimi anni, Raffaele ha scritto a enti pubblici, confraternite e istituzioni, cercando di ottenere risposte a domande per lui paradossali. «L’imprenditoria privata in questi anni ha prodotto una quantità indescrivibile di attività nel settore gastronomico. La cosa grave è che le istituzioni non abbiano pensato a bilanciare l’offerta. Ci sono tesori chiusi al pubblico come la Quadreria dei Girolomini, i cui lavori vanno avanti da decenni. O la chiesa dei santi Cosma e Damiano, ristrutturata, inaugurata e poi chiusa. Una gestione meno superficiale del patrimonio permetterebbe al turismo di essere più sostenibile, meno concentrato geograficamente in poche strade e culturalmente più ricco».
Che la città stia cambiando, insomma, è un dato di fatto. Ma non è mai troppo tardi per fermarsi e, come dopo un’esplosione, riflettere sulle ceneri per capire da dove cominciare a ricostruire. O quantomeno, se il fuoco incrociato non si è ancora fermato, dove trovare riparo. (eva de prosperis)
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