«Svegliati, hanno attaccato il presidio, dobbiamo andare». È l’1:45 di notte e a parlare è la mia coinquilina. Partiamo subito. Mentre arriviamo in motorino, vediamo le ambulanze andare nella direzione opposta. Stanno portando in ospedale quattro persone: due lavoratori, un coordinatore sindacale del Sudd Cobas e uno studente solidale, aggrediti a sprangate da cinque persone incappucciate. È successo a Seano, in provincia di Prato, martedì 8 ottobre. Un’aggressione di stampo mafioso, per intimidire i lavoratori in sciopero alla Lin Weindong e impedire loro di lottare per i propri diritti: gli aggressori, mentre si allontanano, urlano che la prossima volta torneranno con le pistole.
In poco tempo, lo spazio antistante la fabbrica si riempie. C’è preoccupazione e rabbia. Non è la prima volta che a Prato vengono mandate squadracce per picchiare chi prova ad alzare la testa: era successo a DS, a Gruccia Creations, Texprint, Dreamland, e poi ad Acca. A nulla erano servite le denunce. Nemmeno nel caso della Dreamland, quando il pestaggio è stato videoregistrato dalle forze dell’ordine presenti (ma non per questo intervenute: nemmeno per identificare i picchiatori). “La città non può più fare finta di niente: si deve svegliare”, dice Sarah Caudiero, coordinatrice del Sudd Cobas. Dal presidio ci si sposta per le vie del centro di Prato, dove si improvvisa un corteo. Cori, grida e pentole svegliano una città da troppo tempo addormentata. Vengono percosse le saracinesche, suonano alcuni allarmi; più il corteo avanza più il rumore cresce. È un momento liberatorio, la tensione e la rabbia che ognuno stava covando dentro di sé, trovano un’espressione collettiva.
Lo sciopero era iniziato due giorni prima: domenica 6 ottobre il sindacato di base Sudd Cobas aveva lanciato lo strike day. Cinque scioperi contemporaneamente, con quattro picchetti e blocchi delle merci in altrettante aziende. Le condizioni denunciate possono sembrare d’altri tempi e d’altri luoghi, ma nel distretto pratese sono la normalità: dodici ore di lavoro al giorno per sette giorni a settimana, senza malattia e ferie, senza contratto o con contratti a quattro ore. Regimi di lavoro insostenibili che ricadono su migliaia di persone migranti provenienti da Cina, Pakistan, Bangladesh e Nord Africa. Persone consapevoli che quella non è vita: “Veniamo trattati come animali”, dicono spesso descrivendo la propria condizione. Fuori dalla fabbrica c’è solo il tempo per mangiare e dormire, per riprodurre la propria forza lavoro, come avrebbe detto Marx, e spesso nemmeno per quello: il corpo e la mente si ammalano, giorno dopo giorno.
Eppure, le istituzioni locali continuano a promuovere azioni prive di effetti trasformativi. Un’accusa espressa a più riprese dal Sudd Cobas, ma rigettata dalla sindaca di Prato Ilaria Bugetti, secondo cui gli strumenti presenti sono adeguati e vanno nella direzione giusta, servono solo più risorse da regione e governo. Fa riferimento al progetto Lavoro Sicuro e allo Sportello anti-sfruttamento, di cui parla in modo edulcorato, per non dire mistificante, nella sua intervista a Novaradio. Non specifica, infatti, che il progetto Lavoro Sicuro si è sempre concentrato unicamente sulle condizioni di sicurezza interne alla fabbrica, e non sullo sfruttamento. I numeri dei controlli dell’Ispettorato del lavoro sono molto minori e per altro si concludono generalmente con una semplice sanzione che, una volta pagata, non impedisce agli imprenditori di tornare a sfruttare. Non vengono obbligati, infatti, a fare alcun contratto, e quando decidono di farlo (per pagare una sanzione inferiore), lo stipulano a quattro ore, così da avere ancora uno strumento di ricatto per imporne dodici ai lavoratori (lavorando le ore previste dal contratto, otterrebbero infatti una paga insufficiente). Allo stesso modo, non specifica nel suo comunicato come lo Sportello anti-sfruttamento stia intervenendo per far fronte a quelle “oltre cinquanta segnalazioni di sfruttamento” che ha ricevuto dall’inizio dell’anno. La realtà è che lo sportello agisce solo superficialmente e che fallisce platealmente anche in questo tentativo: a dirlo sono i suoi stessi funzionari. L’intervento di Andrea Cagioni, nel convegno annuale Lavoro Sicuro, lo fa capire molto bene: tra gennaio 2022 e novembre 2023, lo sportello ha seguito solo sessantacinque casi e di questi solo otto hanno portato poi all’attivazione di un percorso di protezione sociale. Numeri irrisori di fronte alle migliaia di persone sfruttate nel distretto. Inoltre, ha aggiunto sempre Cagioni, “è abbastanza frequente che una persona che emerge per sfruttamento lavorativo poi possa di nuovo, alla fine o meno di un percorso di promozione sociale, ritrovarsi in una condizione di sfruttamento lavorativo”. Una dichiarazione di impotente fallimento.
Chi sciopera non chiede di essere ricollocato altrove, vuole rimanere nel proprio luogo di lavoro, a condizioni diverse: quelle stabilite dalla legge e dai contratti nazionali di settore. Negli ultimi sei anni sono state tante le vittorie di chi nel distretto ha avuto il coraggio di alzare la testa, soprattutto all’interno di tintorie, stamperie e aziende di logistica. Quella lanciata domenica con lo strike day è invece una nuova sfida: il sindacato prova a entrare nei capannoni dei pronto moda (a conduzione prevalentemente cinese), dove i lavoratori sono pochi e le persone disposte a iscriversi al sindacato ancora meno. Lo sciopero inizia di domenica, perché non esistono giorni festivi. Ci si prepara a resistere: si presidiano i cancelli delle imprese, si portano tende, gazebo, tavoli, sedie, coperte, acqua; ma anche striscioni, bandiere, casse per la musica. Lo sciopero, però, è travolgente: in soli due giorni quattro delle cinque aziende hanno già intavolato trattative. Il coraggio si fa contagioso e nei giorni seguenti operai dei capannoni vicini chiedono spontaneamente di entrare in sciopero. Il risultato è che lunedì 14 ottobre, dopo otto giorni di sciopero, in sette diverse fabbriche sono già stati firmati accordi 8×5. A non voler trattare rimane solo la Lin Weindong.
“Abbiamo sindacalizzato quello che tutti dicevano non essere sindacalizzabile”, dice Luca Toscano, coordinatore del Sudd Cobas. È stato possibile grazie alla comunità di lotta che si è creata in questi anni e che è pronta a mobilitarsi a sostegno degli scioperi: decine di persone pronte a contribuire alla cassa di resistenza, a fare turni in presidio, a dormire la notte davanti ai cancelli della fabbrica. Lavoratori e studenti, di svariate nazionalità, uniti per una vita più bella, decisi a non fermarsi finché tutti potranno averne una. L’aggressione al picchetto può essere interpretata come una reazione a tutto questo: un tentativo, fuori tempo massimo, di arginare il Movimento 8×5 (otto ore, cinque giorni). Ha ottenuto l’effetto opposto: i giorni seguenti, infatti, sempre più persone vengono in presidio. Per la prima volta, si avvicinano anche cittadini comuni, portando cibo, bevande, coperte o semplicemente fermandosi a chiacchierare. Anche il mondo cattolico fa un primo passo, grazie al parroco di San Giusto (Prato), che dal giorno dopo l’aggressione porta sempre pranzo e cena, pasti che vengono preparati a rotazione dalle persone della parrocchia. Il peso dei media è determinante: giornali e televisioni sono presenti in ogni momento della giornata, e raggiungono un pubblico molto ampio.
La manifestazione per la libertà sindacale e contro la mafia lanciata per domenica 13 ottobre trova così grande spazio di diffusione. Il clima è di festa: lo sfruttamento a Prato non era mai stato tanto sotto i riflettori. Oltre tremila persone arrivano al presidio e sfilano per le strade di Seano, tra quei capannoni dove ancora tanti lavoratori sono costretti a fare dodici ore al giorno. Un corteo di lotta, durante il quale si dà vita a un momento di forza ben riuscito: arrivati di fronte all’azienda W.I., alcuni lavoratori della fabbrica escono e iniziano un nuovo sciopero, montando subito gazebo e tende (la mattina seguente ottengono già i contratti indeterminati a otto ore). Alla testa del corteo vi sono gli operai e chi ha lottato con loro in questi anni, una macchia di gilet gialli e arancioni, con scritto “8×5”. Per alcuni di loro questa è la prima domenica libera da anni e hanno deciso di passarla lottando con chi ancora non ce l’ha. Subito dietro agli operai iscritti al Sudd Cobas, c’è il movimento Insorgiamo, dei lavoratori ex Gkn, da sempre solidali e presenti. Poi le amministrazioni, le associazioni, i sindacati e i partiti. Sono presenti anche il Pd di Prato e il comune di Prato, soggetti che per anni hanno ignorato o, peggio, ostacolato la lotta del Sudd Cobas. C’è inoltre la Cgil Toscana e persino il presidente della regione. Una partecipazione, la loro, non certo spontanea, ma frutto dei cambiamenti nei rapporti di forza raggiunti dal Sudd Cobas all’interno del distretto, tali da riuscire oggi a obbligare i vari soggetti in gioco al riconoscimento e alla legittimazione del ruolo e delle pratiche del sindacato.
A non presentarsi, come annunciato nei giorni precedenti, sono invece Cisl, Uil (a ogni livello) e la Cgil di Prato: i confederali non condividono queste metodologie di lotta, preferiscono accompagnare i lavoratori nella denuncia e nella ricerca di percorsi di protezione sociale, con tutte le incertezze e i tempi prolungati che questo richiede. In un’intervista sul Corriere fiorentino il segretario della Cgil di Prato arriva persino a rivendicare il fatto di non aver scioperato in questi anni. Finalmente, però, l’opinione pubblica comincia invece a vedere negli scioperi e nei picchetti gli strumenti per cambiare veramente la realtà di sfruttamento. Ed è esattamente questo che il Sudd Cobas chiede alle istituzioni, davanti a un nutrito gruppo di giornalisti prima dell’inizio del corteo: non tanto le ovvie condanne delle aggressioni, ma l’affermazione della libertà di sciopero e degli strumenti che questo prevede. Un cambio di passo rispetto alla criminalizzazione costruita negli anni precedenti, quando a essere dipinti come violenti erano gli sfruttati che provavano a cambiare la propria condizione e non gli sfruttatori. Se qualcosa comincerà a muoversi, al di là degli annunci e delle passerelle, si vedrà nei prossimi mesi, quando l’attenzione mediatica sarà calata. E lo vedremo il 26 ottobre, giorno della convergenza europea contro i negozi di Montblanc, lanciato dal Sudd Cobas. Intanto, il presidio fuori la Lin Weindong continua. (marco ravasio)
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