È qualcosa che sta venendo fuori un po’ alla volta, che ci viene lentamente svelato a colpi di inaugurazioni e convegni intrisi di retorica elettorale, ma sembrerebbe che un piano vero ci sia.
L’accelerazione del cantiere della fermata capolinea Piscinola/Secondigliano della Linea 1 per una natalizia re/inaugurazione della parte bassa dell’ingresso – la metropolitana in effetti già ci arriva da parecchi anni a Scampia –, quello che fino a poco fa era presidiato da camionette dell’esercito e su cui oggi troneggia oltre alla scritta SCAMPIA, quella ancora più imponente REGIONE CAMPANIA, come a riscrivere una cartografia, a ricordare che il quartiere fa parte della regione, ad ammetterlo ufficialmente tra i suoi territori. Significa anche, più semplicemente, che Scampia è punto di snodo tra la città e la sua area metropolitana perché da lì parte la cosiddetta Linea Arcobaleno, la Metro Campania NordEst che collega, ormai da tempo, Napoli ad Aversa, passando per Giugliano. Migliaia di persone possono muoversi con il trasporto pubblico e senza spaventarsi se devono fare il cambio, appunto, a Scampia.
L’accelerazione del cantiere della futura università, legata alla facoltà di Medicina, un cilindro vuoto a cui siamo ormai affezionati perché lo vediamo lentamente comporsi, una finestra, una tegola, un infisso, e anche perché è un ottimo punto di riferimento per dare indicazioni stradali a chi arriva a Scampia per la prima volta.
Il futuro abbattimento delle Vele – di cui alcuni parlano come se fosse imminente ma che nel frattempo continuano a essere insalubri abitazioni per molte persone – e il lento trasferimento di una parte degli abitanti nelle nuove palazzine gialle, che colpiscono per il fatto di essere già (o ancora) così spoglie e che offrono riparo dalla pioggia grazie ai porticati che ti accompagnano per un bel pezzo nonostante la scivolosa pavimentazione.
L’attenzione verso l’Auditorium di Scampia per il quale il presidente della municipalità fa grandi proclami, spazio da “restituire al quartiere” di cui però si sono accorti solo a causa della lunga permanenza dei rom scampati all’incendio di Cupa Perillo. In ogni caso, nessuno lo aveva tolto al quartiere, se non una inadeguata amministrazione: è sempre stato lì, in attesa di essere riempito.
Grandi proclami anche per la pulizia dell’area di Cupa Perillo, per l’apertura dell’asse mediano, la gioia delle grandi opere che porteranno la civiltà in un luogo dove continuano a insistere alcune centinaia di persone che probabilmente verranno coinvolte in tale pulizia, spazzate via dalla ventata di bonifica che sta soffiando sul quartiere e i suoi abitanti. I rom, che sono lì da trent’anni, appartengono a un altro pianeta, non possono partecipare a questa festa, nessuno li ha invitati.
Assistere al convegno “Le periferie del mondo tra arte e legalità” nell’istituto alberghiero Vittorio Veneto di Scampia, in cui altissime cariche della Regione – compreso il presidente che ha fatto una sorpresa a tutti –, dell’EAV, dell’ufficio scolastico regionale e dell’ottava municipalità, hanno dedicato un’intera mattina ad ascoltare e rispondere alle domande degli studenti – che in molti casi avevano sfumature di scetticismo e disillusione tipica dei ragazzi verso le altisonanti promesse degli adulti – è stato molto istruttivo e addirittura folgorante.
Diamo solo un piccolo spazio agli ambigui e paternalistici messaggi lanciati dal palco sul rapporto tra istituzioni pubbliche e cittadini, del tipo “perché le istituzioni dovrebbero occuparsi di voi se voi non valete qualcosa? Perché le istituzioni dovrebbero incaricarsi di un problema di periferia se non siete voi a farglielo presente? È un po’ come la relazione tra padri e figli, se il figlio piange il padre lo ascolta, se il figlio merita il padre lo premia”, secondo uno schema a metà tra il meritocratico e il feudale come se le pubbliche istituzioni fossero legittimate a decidere a chi dare e a chi togliere secondo criteri variabili e soggettivi, e non occuparsi e tutelare indiscriminatamente tutti i cittadini.
Aggiungiamo anche un sottile malessere nell’ascoltare l’uso strumentale che si è fatto di alcune figure – in particolare Felice Pignataro – che negli ultimi decenni hanno generato una vera rivoluzione: culturale, collettiva, sociale nel quartiere, facendo scuola e diffondendo metodo, spirito, il fuoco dell’utopia che fa andare avanti anche se controcorrente e con gran fatica.
Ma ciò che resta è soprattutto l’angoscia di chi si rende conto di essere arrivato troppo tardi perché schiacciato su singole questioni sempre troppo urgenti, e di non aver colto che qualcosa si sta muovendo sopra le nostre teste per condurci verso un cambiamento con la C maiuscola. Quindi ho cominciato a chiedermi, in modo quasi ossessivo: verso quale modello di sviluppo va, può e vuole davvero andare Scampia?
È una domanda difficile persino da fare in un quartiere che ha attraversato lunghe epoche oscure e che si può solo abbozzare per provare a insinuare qualche (utile?) domanda, senza però annichilire la speranza che nutrono i suoi abitanti e tutte quelle persone che negli ultimi quarant’anni si sono battute per un destino migliore per questo posto.
È difficile contrastare l’entusiasmo che si sente nell’aria e ti prende attraversando il nuovo piazzale fuori la metropolitana dove ti accolgono i bellissimi Angela Davis e Pasolini di Jorit, una scelta non banale – da alcuni coloriti commenti si deduce che non sono i personaggi più popolari e riconosciuti e chissà se vederli significherà poi anche approfondirli e coglierne lo spirito sovversivo e anticonformista. Chissà se il fatto di fissarli lì alla fine non serva tanto per ispirare una nuova rivoluzione culturale quanto per rovesciarne completamente il significato, il metodo, la visione.
A questa fastidiosa sensazione di non riuscire a godersi mai le cose per quello che sono, si sono aggiunte le considerazioni di amici che dall’Ungheria alla Spagna si occupano di conflitti urbani e processi di rigenerazione delle periferie attraverso cartografie collettive critiche realizzate con gli abitanti e in particolare i bambini, a cui mandavo le foto dei murales in progress che, dopo il positivo stupore iniziale, hanno mostrato preoccupazione su come i murales possano influire sui processi di gentrificazione e turistificazione.
A Scampia? Il tema sembra lontanissimo, eppure forse non lo è, i tour sono già attivi, la divertente clip di un film dell’anno scorso non è poi così surreale. E comunque, che male ci sarebbe se questo portasse soldi e sviluppo? E subito spontaneamente la domanda successiva: a beneficio di chi? Di quelli che sapranno organizzarsi e lanciarsi nel mercato o più democraticamente per innalzare il livello di benessere di tutti? E quali strategie di sopravvivenza attuerà o sta già attuando la criminalità in questo nuovo scenario?
Giornate come questa sembrano portatrici proprio di una carica di innovazione all’altezza dei tempi che corrono: stanno arrivando fondi, i vostri amministratori e i principali enti pubblici locali sono qui con voi, ci sono aziende interessate a fare investimenti nelle aree presto disponibili, ci saranno più negozi, più aree commerciali – quindi meno lavoro nero, meno sfruttamento, meno criminalità e più dignità? (Su questo nessuno può sbilanciarsi, anche se la presenza e il discorso serio e misurato dell’ex procuratore nazionale antimafia e assessore regionale alla sicurezza Franco Roberti sono stati una boccata d’aria). E dunque la promessa di sviluppo passa per questo? Fondi, investimenti, grandi opere? Non solo, anche un’attenzione agli aspetti artistici e culturali, perché comunque le tradizioni del quartiere sono conosciute e rispettate: a questo proposito, a chi potremmo intitolare la nuova piazza?
La questione è che, nonostante l’alto numero di scuole, attività, attivismi, discorsi, percorsi, processi di comunità, cura e valorizzazione dello spazio pubblico, nonostante Scampia sia ancora all’avanguardia, simbolo e centro propulsore di una pratica politica, pedagogica, culturale che da tutto il mondo vengono a osservare e studiare, non sembrano ancora esserci alternative valide, forti e radicate, da opporre a un modello di sviluppo che promette, in sostanza, maggiore possibilità di consumi e la produzione di beni da vendere, libri o cibi con il marchio Scampia.
Risuona allora quel vecchio dilemma posto da quel Pasolini che ci passa sotto gli occhi tutti i giorni e che a questo punto possiamo provare ad ascoltare: stiamo parlando di sviluppo o di progresso? (emma ferulano)
Leave a Reply