A due anni di distanza dalla loro apertura, i Giochi Olimpici invernali Milano-Cortina 2026 confermano le previsioni di chi sin dalla candidatura ne ha denunciato l’insostenibilità sul piano economico, ambientale e sociale. Se c’erano ancora dubbi da questo punto di vista, quanto è successo nelle ultime settimane attorno alla vicenda della costruzione di una nuova pista per il bob e lo slittino a Cortina è emblematico della reale natura delle Olimpiadi 2026 e di quale impatto avranno non solo su territori ed ecosistemi, ma anche sui conti pubblici e sui bilanci degli enti locali coinvolti.
UN PROGETTO SIMBOLO
Il progetto originario era stato abbandonato per via delle forti e ripetute proteste del territorio e perché a più riprese nessuna impresa aveva presentato un’offerta in linea con il bando di gara. Il Cio (Comitato internazionale olimpico), già a partire dall’assegnazione dei Giochi, aveva più volte ripetuto che le Olimpiadi 2026 avrebbero dovuto contraddistinguersi per sostenibilità ambientale e per l’assenza di impianti inutili. Il progetto della pista, invece, non rispondeva a quei criteri e si caratterizzava per costi elevati (centoventi milioni di euro), oltre a essere sostanzialmente inutile, dato che le discipline del bob e dello slittino vantano in Italia qualche decina di atleti. Per questi motivi, il Cio aveva indicato la possibilità di usare uno degli impianti europei (Innsbruck, Sankt Moritz o Igls) nel caso in cui i gestori fossero disponibili a un “prestito” a costi minimi.
Nelle scorse settimane, però, dopo il fallito tentativo di recuperare la pista di Cesana, abbandonata dal 2006 e utilizzata per i giochi invernali di Torino, la competizione sovranista a destra tra Lega e FdI ha portato il vicepremier Salvini a uno scatto in avanti. Facendo sponda sui governatori leghisti di Lombardia e Veneto, rivendicando la necessità che le gare dei Giochi si svolgessero in Italia, e nonostante ci fossero soluzioni alternative a costi minori, il governo ha preso in carico la questione della pista con una nuova gara d’appalto per un impianto più semplice del progetto originario. L’impianto sarebbe stato in ogni caso costoso e non del tutto conforme agli standard previsti dal Cio per le piste di bob, a partire dalla lunghezza del tracciato. Alla gara ha preso parte un’unica impresa, la Pizzarotti Spa, che sì è aggiudicata l’appalto per un costo di ottantuno milioni di euro, cui vanno sommati Iva e oneri accessori. L’aspetto grave e preoccupante di questo bando è che l’opera verrà comunque realizzata a prescindere dal parere del Cio, quindi, anche in ritardo rispetto all’avvio dei Giochi o senza omologazione. In sostanza, il governo ha determinato un costo certo per le casse pubbliche a fronte dell’inutilità dell’impianto, dell’incertezza sull’uso per le Olimpiadi e della possibilità che venga bocciato del Cio. La ratifica del contratto d’appalto tra Pizzarotti e S.I.Mi.Co. (la Società Infrastrutture Milano-Cortina, che vede tra i soci governo ed enti locali interessati dalle opere olimpiche allo scopo di gestire gli appalti di impianti e infrastrutture) avvenuta il 31 gennaio ha confermato i contenuti del bando e avviato l’iter che dovrebbe portare all’apertura dei cantieri il prossimo 19 febbraio.
A nulla sono valse le pressioni del Cio e le dure critiche su tempi di realizzazione decisamente inferiori a quanto normalmente previsto per impianti simili e, soprattutto, sull’utilità di questa pista e sulla sua sostenibilità economica e ambientale. Così come sono state inascoltate le numerose voci che dal territorio, dal mondo ambientalista e da quello dell’economia denunciavano le contraddizioni e i punti oscuri di questo nuovo progetto, a partire dai costi. Infatti, agli ottantuno milioni più Iva per la realizzazione andranno aggiunti i costi per gli oneri accessori (parcheggi, collegamenti, servizi vari), i costi di manutenzione (non quantificati, e con ogni probabilità in capo al comune di Cortina) e i costi ambientali (che ne sarà del lariceto di Ronco? che succederà al sistema delle acque?).
La realizzazione della pista a Cortina, insieme alle altre nocività che le Olimpiadi porteranno nella valle d’Ampezzo (tangenziali, villaggio olimpico, nuovi impianti e collegamenti sciistici, speculazione immobiliare), è quasi un simbolo dell’insostenibilità dei Giochi 2026, che si può osservare anche in molti altri campi. Come leggere il commissariamento della stessa S.I.Mi.Co. da parte del ministero delle infrastrutture e la nomina di Anas come super-commissario come mezzo per ridurre ulteriormente i controlli degli enti locali e degli organismi preposti su appalti, cantieri, procedure, sicurezza, costi (oltre che come lotta di potere interna alla destra)? Con la scusa della fretta, dell’emergenza, delle opere ferme o ancora da avviare (come in Valtellina) si ricorre al solito commissariamento a scapito di trasparenza, controlli e sostenibilità economica, come già avvenuto per altri grandi eventi. Se poi allarghiamo il campo agli aspetti ambientali e sociali su cui le Olimpiadi hanno un impatto, l’insostenibilità per i territori coinvolti e le popolazioni che li abitano appare ancora più evidente: dalle vallate alpine che vivono fenomeni di gentrificazione al pari della metropoli Milano, sacrificata a turismo e speculazione finanziaria e immobiliare, ai territori montani e di pianura consumati per tangenziali, varianti, parcheggi, nuove strade e altre infrastrutture.
LA MOBILITAZIONE DIFFUSA
A due anni dall’inizio dei Giochi 2026, il Comitato Insostenibili Olimpiadi, rete nata a Milano per contrastare gli scempi olimpici, chiama alla mobilitazione diffusa nelle città e nelle vallate alpine, contro un evento insostenibile che sottrae risorse a sport, sanità e casa per tutti e tutte. Ancora una volta si lotta contro un grande evento che devasta in maniera irreversibile paesaggi montani e sistemi idrogeologici, che consuma suolo e accelera nuovi investimenti per impianti e sistemi di innevamento artificiale per la pratica dello sci alpino, laddove la crisi ambientale e climatica testimonia ogni giorno la situazione quasi emergenziale dell’innevamento sulle Alpi e, di conseguenza, delle riserve d’acqua per noi tutte e tutti. I territori interessati dai Giochi Olimpici, d’altronde, ne stanno già pagando i costi. In Veneto, la Regione finanzia strade e sostiene il business del turismo sciistico mentre taglia spese e strutture al servizio sanitario. Nel frattempo, a Milano assistiamo alla violenta trasformazione dell’intero quadrante sud-est della città, caratterizzato da una forte presenza di case popolari, sotto i colpi di investimenti miliardari. Il progetto è di realizzare, oltre al Villaggio Olimpico sull’ex Scalo Romana, anche il PalaItalia a Santa Giulia e il “fashion district” che sta sorgendo a sud dello Scalo stesso, spingendo verso l’alto i costi degli affitti e degli immobili e creando, in sostanza, i presupposti per una vera e propria sostituzione degli abitanti e del tessuto sociale esistente.
A Milano le proteste troveranno sbocco in un corteo che partirà da piazzale Lodi, dove sorge lo Scalo Romana, alle ore 15 di sabato 10 febbraio. Ulteriori iniziative per denunciare l’insostenibilità dei Giochi si terranno anche in altre località d’Italia (Venezia, Tirano, Bergamo, Val Camonica) e in Francia (Parigi, Briançon), dove si terranno le Olimpiadi 2024 e quelle invernali 2030. Su cio2026.org si può trovare il documento politico che presenta il Comitato Insostenibili Olimpiadi, nonché gli appelli, i materiali e il calendario delle iniziative previste. (laboratorio politico offtopic – milano)
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