da: Il Corriere del Mezzogiorno del 25 luglio
Qualche giorno fa, dopo la firma dell’accordo tra Comune e governo su Bagnoli, un vecchio operaio dell’Italsider ed ex sindacalista mi faceva riflettere su quanto fosse impossibile, in politica, scindere le questioni di metodo da quelle di merito. Si parlava, in particolar modo, delle modalità con cui il sindaco avesse improvvisamente accelerato il ritmo delle trattative, arrivando a raggiungere un’intesa con l’esecutivo senza aver mai interpellato non solo le assemblee e i comitati di quartiere che aveva promesso di coinvolgere, e al fianco dei quali si era schierato nella battaglia contro il commissariamento, ma persino il consiglio comunale, che di quanto stava accadendo sapeva, fino al giorno della firma, poco o nulla.
Fin qui, il metodo, ma nel merito dell’accordo lo scenario non è più consolante. Se da un lato è vero che il piano firmato dal Comune evidenzia dei passi avanti rispetto al progetto di Invitalia, dall’altro l’assenza di coinvolgimento della cittadinanza nelle decisioni si traduce in una serie di contraddizioni e deficienze rispetto alle proposte per le quali de Magistris sosteneva di essersi fatto portavoce della città: dalla poca chiarezza sulle dimensioni della spiaggia pubblica e il suo rapporto con i concessionari privati, alle gallerie commerciali sotterranee fronte mare; dal porto tra Coroglio e Nisida, al via libera per gli alberghi sull’isola, sono molti i punti su cui l’arrembante retorica del sindaco ha dovuto fare i conti, arretrando e non di poco, con la forza della macchina commissariale-governativa.
Ancora, si torna al metodo. De Magistris firma l’accordo senza consultare né gli organismi informali di cittadinanza né gli enti di rappresentanza locali competenti. Soltanto dopo, convoca un consiglio monotematico sulla questione. Le opposizioni, legittimamente (anche se lascia più di una perplessità l’assenza dei consiglieri Pd, considerando che l’accordo è firmato da un governo di cui proprio i democratici sono la forza principale), si rifiutano di partecipare alla seduta in segno di protesta, ma annunciano l’assenza con un paio di giorni d’anticipo, dando possibilità alla maggioranza arancione di organizzarsi. Eppure cosa accade? Che cinque consiglieri di maggioranza, chi in ritardo, chi assente, chi al mare o chissà dove, non si presentano e fanno saltare il consiglio per assenza di numero legale.
Ora, il buco nell’acqua di un consiglio che pretende di liquidare una questione come la riqualificazione di Bagnoli con una seduta informativa il 24 di luglio, è forse la cosa che suscita meno scalpore rispetto a quanto accaduto nell’ultimo mese. Riporta, però, a ragionare sul legame di cui sopra tra il metodo e il merito, invogliando una riflessione su come questa classe dirigente stia gestendo, in un momento così importante e delicato, il governo della città. Se quella che l’ha preceduta, è bene ricordarlo, è stata la classe dirigente dell’emergenza rifiuti e del finto Forum delle culture, dello sfascio del welfare cittadino e della frattura definitiva tra centro e periferia, quella attualmente in carica non perde occasione per dimostrarsi inconsistente nella sua debolezza politica, sempre ben ancorata alla linea dettata dal suo leader assoluto, senza mai che qualche dichiarazione generica di dissenso si traduca in atti concreti o in iniziative politiche degne di nota, cadendo infine, più di una volta, in grossolane defaillance come le assenze al consiglio di ieri.
Negli stessi giorni in cui veniva firmato l’accordo su Bagnoli, nel campo rom di Cupa Perillo, a Scampia, per ordine della Procura, le ruspe entravano e buttavano giù una serie di baracche, lasciando una parte dei suoi abitanti, come accaduto qualche settimana fa a Gianturco, senza un posto dove andare. All’emergenza abitativa delle comunità rom napoletane si sono interessati negli ultimi mesi tutti gli organismi internazionali, da Amnesty International alla Commissione Europea, denunciando l’immobilismo del Comune nell’opera di ricerca per una sistemazione alternativa ai cittadini rom sotto sgombero. Non un assessore, o un consigliere comunale, ha messo concretamente sul tavolo la questione o si è preoccupato di incalzare pubblicamente l’assessore alle politiche sociali Gaeta, lasciando che il “decoro urbano” venisse ripristinato in un silenzio assordante, coniugando ancora una volta, alla perfezione, metodo e merito. (riccardo rosa)
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